# 355 – Ryū Murakami – AUDITION (Asiasphere, 2013, ediz. orig. 1997, pagg. 233)
Produttore di documentari di mezz’età, Shigeharu Aoyama è vedovo da sette anni e ha un figlio quindicenne, Shigehiko, molto maturo per la sua età. Il tranquillo ménage tra padre e figlio cambia quando Aoyama decide di risposarsi e, all’uopo, organizza – grazie alla collaborazione dell’amico Yoshikawa – un’audizione per aspiranti attrici, inventando di sana pianta un film destinato a non essere mai prodotto. L’audizione, insomma, è solo una scusa per visionare belle ragazze e sceglierne una da impalmare. Individuata la candidata ideale nella bellissima e saggia Asami Yamasaki, ex-ballerina ventiquattrenne dall’infanzia tormentata (subì abusi dal patrigno), Aoyama inizia a frequentarla e se ne innamora perdutamente, nonostante i dubbi del suo amico Yoshikawa e di altre persone del suo entourage, che lo mettono in guardia da una ragazza tanto bella quanto misteriosa, tanto apparentemente indifesa quanto sotterraneamente inquietante. Che segreto nasconde Asami? E lo scoprirà in tempo Aoyama, prima che sia troppo tardi?
Belli o brutti che siano, i libri di Ryū Murakami non lasciamo mai indifferenti. È questa la principale caratteristica di un Autore che ha costruito l’intera carriera (tanto di scrittore quanto di regista) sulla natura spesso controversa, provocatoria e coraggiosa delle sue opere, libri (e film) nati che sconvolgere, per stupire, e mai per accontentare pronamente il pubblico, ma sempre per colpirlo dritto in volto con trame non scontate, personaggi non banali, risvolti mai risaputi o conformisti. “Audition” non fa eccezione, anzi, è se possibile uno dei libri più audaci del poliedrico Ryū.
Lo scrittore Ryū Murakami Il regista Miike Takashi
Uscito nel 1997, questo romanzo è diventato un film di culto nel 1999 per la regia di Takashi Miike, uno dei più noti e talentuosi registi giapponesi, e ha finito per imporsi all’attenzione del grande pubblico più nella sua versione cinematografica (non molto fedele all’originale) che in quella letteraria (più sottile e persuasiva). A stupire, nel libro, è l’incredibile economia di effettacci della scrittura di Ryū, laddove invece nel film tutta l’ultima parte (ma non solo) è dominata da uno splatter impressionante.
Attenzione: non si vuol sostenere che il film sia brutto. Nel suo genere, anzi, è tra i migliori, e indubbiamente riesce a veicolare la profonda inquietudine del romanzo in immagini potenti, a tratti terrificanti, approdando a un finale tesissimo e quasi insostenibile per gli stomaci deboli. Però, a mio avviso, il libro di Murakami è più sottile nel tratteggiare il rapporto tra Aoyama e Asami, e trova le sue scene più riuscite nel corteggiamento del quarantaduenne produttore nei confronti della bellissima ragazza conosciuta tramite un falso provino, espediente oggettivamente bieco dal quale Aoyama cerca di riscattarsi con una sincerità assoluta nel confessare le proprie esperienze e le proprie aspirazioni.
La forza del libro risiede perlopiù nella figura enigmatica e inquietante di Asami, di cui l’Autore non nasconde l’avvenenza, creando un reticolo di seduzioni tanto convincente da farci cascare in pieno anche il lettore, soprattutto il lettore maschio, che non può negare la sottile eccitazione che si prova leggendo certe pagine, immaginando certe prospettive… Il cuore del libro, allora, è proprio questo: la messa in scena dello sguardo maschile (possessivo e accalappiatore) in una società come quella giapponese degli anni ’90 nei quali il potere (economico e politico) è ancora saldamente in mano ai maschi, una società tutto sommato intensamente tradizionalista nonostante le influenze culturali occidentali.
Il tutto, senza trasformare il personaggio di Aoyama in una grottesca caricatura del patriarcato (termine che, francamente, mi ha stufato già da tempo, pronunciato continuamente e a sproposito da una marea di persone), ma anzi, tratteggiandolo come un uomo tutto sommato timido e insicuro, a suo modo profondamente rispettoso dell’altro, quasi ossessionato dalla volontà di capire e di curare (con l’amore, secondo la sua interpretazione, ovviamente) i traumi infantili di Asami, povera ragazza che non ha avuto nulla dalla vita.
Nel racconto, preciso quasi all’inverosimile, di questa relazione sperequata (non solo per età, ma anche per vissuto e aspirazioni) sta la riuscita del romanzo di Murakami, ancor più che nel violentissimo finale. Essendo uno scrittore che rifiuta di avvitare i propri romanzi attorno a semplici “messaggi”, Ryū Murakami offre con “Audition” un libro ambiguo e irriverente, un altro tassello della sua personalissima disamina della società giapponese, un’opera che può essere letta senz’altro in chiave tematica (reazione femminile al maschilismo radicato di un Paese intero e di tutta la sua storia) ma che, per fortuna, sfugge a formule di comodo e a messaggini da biscotto della fortuna, e accetta tutta l’insondabile complessità di un personaggio come Asami, che da donna-oggetto, reificata dalla truffaldina audizione, diventa donna-carnefice che abita gli incubi di una popolazione maschile forse troppo abituata a comandare e a fare il bello e il cattivo tempo.
La facilità con cui Aoyama e Yoshikawa si autoassolvono per l’espediente del falso provino (in fondo, cosa facciamo di male?) e la timorosa correttezza con cui Aoyama conduce la sua danza di corteggiamento attorno ad Asami, infatti, sono i tratti più geniali di un libro che sa evitare qualunque didascalismo e che affida al lettore l’incarico di trarre una morale (ammesso che ci sia) da questa vicenda psicotica e malsana, da questo intreccio di malattie – quella palesemente mentale di Asami e quella tutta sociale di Aoyama e Yoshikawa.

(Recensione scritta ascoltando Nicolas Denis, “Prospective”)
PREGI:
sottilissimo ed ellittico, è un romanzo che entra sotto pelle e inietta un liquido misterioso a base di inquietudine e paura, minando pian piano le certezze del protagonista assieme a quelle del lettore, fino a una chiusa oggettivamente esplosiva – per quanto non completamente esplicata
DIFETTI:
non per tutti i gusti il finale splatter, decisamente forte anche se non come nel film, in cui il regista ha optato per un tono più horror
CITAZIONE:
“Asami era molto più bella che in fotografia, da mozzare il fiato. […] ‘Che voce meravigliosa’, pensò subito Aoyama. E il giudizio di Yoshikawa non doveva essere molto dissimile, almeno a giudicare dallo sguardo rapito che rivolse all’amico. Era una voce che si riversava fin dentro l’anima, irradiando ogni angolo del corpo, né sottile né acuta, né profonda o rauca, bensì fluida e cristallina, addirittura lievemente metallica.” (pagg. 65-66)
GIUDIZIO SINTETICO: ***
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…