# 338 – Alina Reyes – IL MACELLAIO (Guanda, 1989, pagg. 74)
Una ragazza (alter ego dell’Autrice?) che studia Belle Arti si è trovata un comodo lavoretto estivo part-time: cassiera in una macelleria. Intanto che aspetta il ritorno di Daniel, il ragazzo di cui è innamorata, amico di suo fratello con il quale suona in un gruppetto rock, la giovane passa il tempo dipingendo piccoli quadri dettagliati e subendo la corte, per nulla velata, del macellaio, di cui non sappiamo neanche il nome. Decisamente più anziano di lei, il macellaio le sussurra continuamente all’orecchio profferte volgari ed esplicite, e si atteggia a seduttore anche con le clienti, purché piacenti, nonché con la macellaia, ovvero la moglie del titolare del negozio. Cederà la ragazzina alle prime armi al fascino maschio e rude di quest’uomo navigato?
Desta anzitutto una certa meraviglia leggere, nel risvolto di copertina, che questa esilissima opera prima (l’Autrice, classe 1956, aveva all’epoca 33 anni) figurò tra i finalisti del Premio Goncourt nel 1989. Delle due, l’una: o quell’anno la scelta era davvero ridotta, oppure si è voluto, in qualche modo, omaggiare l’esordio piccante di una promettente scrittrice.
Ovviamente, che l’Io narrante della giovane protagonista senza nome rispecchi l’Autrice stessa è una pura ipotesi, nulla lo comprova, e anche in quel caso il libro non ne perderebbe e non ne guadagnerebbe: non valuto le opere a seconda del grado di autobiografismo che contengono. Ciò detto, che libro è questo “Macellaio”, cui si ispirò Aurelio Grimaldi nel 1998 traendovi un atroce film con Miki Manojlović e Alba Parietti?
Presto detto: si tratta di una novella erotica dal linguaggio abissale e dalla trama quasi inesistente, a meno che non si voglia considerare trama la storia di una ragazza che studia pittura e che, innamorata di un amico del fratello col quale ha perso la verginità, ma che poi l’ha mollata per le vacanze estive, passa il tempo dipingendo e lavorando in una macelleria nella quale il macellaio la insidia con tutti i mezzi possibili e immaginabili, ma soprattutto sussurrandole sibillinamente i suoi programmi erotici nel caso in cui la ragazza decidesse di concederglisi.
L’Autrice è brava a tratteggiare, con pochi tocchi, l’ambiente allo stesso tempo algido e sanguigno della macelleria, e sa indubbiamente raccontare il desiderio visto dal lato femminile, regalando alcuni momenti di effettiva tensione erotica e alcune interessanti riflessioni sul sesso e sul desiderio, nonché sulla carne, intesa come corporeità e simboleggiata, in modo fin troppo ovvio, dai tagli di manzo e maiale che vengono lavorati nel retrobottega. Il libro, però, suddiviso addirittura in due parti, è di una esilità davvero eccessiva, e non permette all’erotismo di montare come dovrebbe.
Se nella prima parte, infatti, a giocare un ruolo da protagonista è anzitutto il desiderio, espresso dalle melliflue parole del macellaio oltre che dalle sue azioni, sempre cariche di significati nascosti e profondamente sessualizzate (la prima scena, non a caso, descrive il taglio orizzontale di una fetta di carne di manzo, nella quale l’esperto macellaio apre una profonda fessura), la seconda parte è dominata invece dalla consumazione, assai più banale, di quell’atto che in precedenza era stato solo sapientemente evocato e, per quanto l’Autrice si sforzi (non senza un certo successo, devo dire) di rendere le descrizioni degli amplessi più interessanti e profonde della media, la novella finisce fatalmente per diventare nient’altro che il racconto di un rapporto sessuale tra un uomo maturo e una ragazzina, che gli si concede, peraltro, nell’attesa che ritorni il fidanzatino e con l’impressione (chi l’avrebbe mai detto?) di stare rovinando tutto nel cedere alla passione.
Fortunatamente, il discorso (tutto femminile) sui sensi di colpa e sulla forza travolgente del desiderio è appena accennato, e il racconto non diventa mai una lamentela o un fatuo atto di (auto)accusa. Però, a mio avviso, resta un po’ poco sia per ambire al Goncourt che per farsi ricordare nell’ambito delle novelle erotiche, genere e forma di racconto molto praticati, soprattutto dalle scrittrici.
Alina Reyes non scrive male, intendiamoci, e “Il macellaio” si legge senza fatica in un viaggio in treno tra Varese e Milano; che cosa rimanga, però, di questa lettura, e che cosa, alfine, l’Autrice volesse realmente comunicare con questo bozzetto di sessualità femminile sbandierata e un po’ eccessiva, non è dato sapere. Di certo, il film di Grimaldi non c’entra nulla col racconto, del quale è, casomai, una sorta di sequel, vista l’età della protagonista (la Parietti nel 1998 non era certo più una ragazzina) e l’ambientazione laccata e patinata da alta borghesia.
(Recensione scritta ascoltando Lee DeWyze, “Blackbird Song”)
PREGI:
estremamente lineare nella costruzione e abbastanza approfondito nello scavo psicologico sul tema del desiderio (soprattutto femminile), è un piccolo libro erotico forse sopravvalutato ai tempi ma perlomeno capace di concentrarsi sulla carnalità e sulla “fisica” dell’amore, anziché abbandonarsi a vacue elucubrazioni, e non (troppo) patinato
DIFETTI:
la prima parte è decisamente migliore della seconda, che in pratica si riduce tutta alla descrizione di una serie di amplessi. Non adatto, ovviamente, a vegani e vegetariani!
CITAZIONE:
“Ma ciò che manteneva il macellaio in vita era il suo desiderio, la rivendicazione della carne costantemente nutrita e materializzata di quando in quando attraverso quel soffio fra la sua bocca e il mio orecchio. E a poco a poco […] sentivo il suo desiderio diventare il mio.” (pag. 19)
GIUDIZIO SINTETICO: **
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…