# 234 – Murakami Haruki – LA RAGAZZA DELLO SPUTNIK (Einaudi, 2013, ediz. orig. 1999, pagg. 216)
Sumire, aspirante scrittrice che vive nel mito di Jack Kerouac, è innamorata di Myu, una donna matura, sposata, ricca, raffinata e molto bella. Allo stesso tempo, di Sumire è innamorato il narratore della vicenda, un giovane maestro elementare – senza nome – che non riesce a fare breccia in Sumire come Sumire non riesce, a sua volta, a far breccia nell’algida (e forse frigida) Myu. E in questo terzetto di personaggi che si inseguono senza vedersi, che si cercano senza successo, che scappano (inconsapevolmente) l’uno dall’altro si consuma une delle storie d’amore più sottili e irrisolte di tutta la produzione murakamiana, come se tre satelliti, persi nello spazio più profondo, cercassero di incontrarsi contro ogni probabilità.
Quando si misura con temi delicati come l’amore non corrisposto o quella sensazione di mancanza che la vita spesso riserva, Murakami non delude mai. Lo scrittore giapponese, infatti, è bravissimo nel tratteggiare caratteri ben incisi con poche, efficaci descrizioni, e con una scrittura disadorna eppure affascinante, semplice ma capace di veicolare istanze che di semplice non hanno nulla.
Ancora una volta, i personaggi di Murakami sembrano vivere in “mondi” diversi, tra i quali non è possibile alcuna comunicazione, e in questo sta il loro dramma: essi si percepiscono, si intuiscono, ma non riescono a conoscersi e a godere l’uno dell’altro (“Il fatto di non poter dividere con lei la gioia dell’unione fisica, ovviamente, era stato per me molto duro” dice il protagonista-narratore, parlando di Sumire. “Se avessimo potuto avere anche quello” – conclude – “sono sicuro che saremmo stati molto più felici”). E più che in altri libri dell’Autore, la metafora che è alla base del racconto – lo Sputnik, il satellite sperimentale sovietico, che partì nel 1957 con a bordo la povera cagnetta Laika, destinata a morire nello spazio, vera, eroica pioniera della ricerca spaziale – appare perfetta nella sua glaciale consistenza, nella sua meccanica compiutezza.
Sumire è una specie di Laika in orbita attorno all’amore degli altri, senza mai poterlo toccare e condividere: non ottiene l’amore di Myu, e non si accorge di quello del narratore, figura sì un po’ scialba (in pura tradizione murakamiana), ma anche stranamente efficace nel suo raccontare laconico, distaccato e disilluso. A un passo dalla (reciproca) felicità, i personaggi di questo malinconico e dolce romanzo ne sono anche separati da una barriera invisibile (che forse, dopotutto è la scrittura stessa), una barriera che non permette loro di entrare in contatto, di completarsi a vicenda. In questo senso, “La ragazza dello Sputnik” è quasi un thriller incentrato sulla ricerca di un contatto che si sposta sempre, che si dilaziona, che non si realizza. E, allo stesso tempo, il libro – ancor più di altri dello stesso Autore – assume i contorni di un sogno, come se raccontasse le esistenze parallele, nel vuoto di senso che è la vita, di tre personaggi diversissimi eppure, loro malgrado, accomunati da qualcosa, da una “porta” che li metterebbe in comunicazione, se solo riuscissero a trovarla.
Invece, in fuga uno dall’altro, i personaggi di questo delicato libro sono come le guardie e i ladri di un noir metafisico, che si inseguono e si braccano arrivando a sfiorarsi senza mai afferrarsi, finendo quasi per allearsi inconsapevolmente in nome di un presunto “bene comune” che poi sfuma dinanzi all’irrazionale, alla casualità e al destino. L’abbiamo scritto spesso: c’è un che di costituzionalmente inafferrabile nella letteratura di Murakami Haruki, qualcosa di non detto non tanto per scelta dell’Autore, quanto piuttosto perché non può essere detto, perché deve essere lasciato al centro del romanzo come enigma inesplicato, sorta di buco nero attorno a cui ruota tutta la materia del libro, compresi il suo Autore e i lettori.
Se non piace questa enigmaticità di fondo, che nelle opere migliori dello scrittore giapponese assume i caratteri di una dolcissima malinconia e in quelle peggiori, invece, somiglia più a un ripetitivo vaneggiamento, allora Murakami non è lo scrittore che fa per voi. Se invece ambite a perdervi un po’ dietro al sottile mistero dell’esistere (e dell’amare), allora sceglietelo senza meno, e “La ragazza dello Sputnik” potrebbe essere un ottimo punto d’ingresso per scoprire il mondo di questo garbatissimo e delicato Autore.

(Recensione scritta ascoltando i Pixies, “Where Is My Mind”)
PREGI:
economia di personaggi (tutta la vicenda ruota attorno al narratore senza nome e alle due donne che gli orbitano attorno) e di mezzi espressivi (la scrittura è piana e delicata, e si fa leggere che è un piacere) fanno di questo romanzo un autentico rosolio. Belle anche le ambientazioni “esotiche” (in questo caso la Grecia) che a volte fanno capolino nell’opera di Murakami, grande viaggiatore
DIFETTI:
come al solito, nei romanzi di Murakami si ha la sensazione che ad andare troppo a fondo si finirebbe per scoprire un vuoto (di senso, oltre che di trama) che è poi quel “cuore enigmatico”, a tratti un po’ troppo New Age, di cui parlavamo poco sopra. O lo si accetta oppure… meglio cambiare letture!
CITAZIONE:
“In questa vita imperfetta abbiamo bisogno anche di una certa quantità di cose inutili. Se tutte le cose inutili sparissero, sarebbe la fine anche di questa nostra imperfetta esistenza.” (pag. 6)
GIUDIZIO SINTETICO: ***
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…