# 251 – Sándor Márai – LA RECITA DI BOLZANO (Adelphi, 2000, ediz. orig. 1940, pagg. 264)
1756: Giacomo Casanova, appena evaso dai Piombi, il terribile carcere di Venezia in cui era finito per aver esercitato cabala e stregoneria e per aver barato al gioco, prende alloggio in una modesta locanda di Bolzano, assieme al suo sgradito, e sgradevole, compagno di fuga, l’abate Balbi, un religioso volgare e amante delle donne e del cibo. Nella sonnolenta Bolzano novembrina, Giacomo si annoia, ma deve mettere insieme i soldi necessari per recarsi a Monaco di Baviera e, da lì, in altre capitali europee dove conta di far brillare la propria stella letteraria. Convinto dall’abate Balbi, e guardato con immensa curiosità e con timore reverenziale dall’intera popolazione della cittadina montana, Casanova si mette a vendere consulti su temi come l’amore, il successo, la vita e la morte. Insomma, uno psicologo ante litteram (e quasi altrettanto truffaldino!). Ma tutto cambia quando nella sua stanza giunge il Conte di Parma, antico avversario al quale Giacomo contese – perdendo – l’amore della bella e giovane Francesca, che ora è diventata sua moglie. Cosa vorrà da lui il Conte? Sfidarlo di nuovo a duello, come fece anni prima a Pistoia, incurante delle sue settantadue primavere? Oppure denunciarlo all’Inquisizione, o alle autorità veneziane? La proposta del luciferino Conte è di tutt’altra natura, riguarda proprio Francesca, e costringerà Giacomo a indossare una maschera (l’ennesima) e a impegnarsi in una recita in piena regola, al termine della quale nessuno avrà vinto e nessuno – forse – avrà perso…
L’ungherese Sándor Márai (1900-1989) è uno di quegli scrittori che si possono, a buon titolo, definire “Autori di culto”, perché, seppur abbiano firmato poche opere (in italiano sono apparsi, che io sappia, solo tre romanzi, di cui il più celebre è sicuramente “Le braci”), sono riusciti, anche grazie a un abile lavoro editoriale, a imprimere il proprio nome nella mente di un cospicuo numero di lettori, o di aspiranti lettori, visto che Márai è uno di quei nomi che “dicono qualcosa” anche a chi non ha mai letto nulla di suo. Merito indubbio di Adelphi, che lo ha scoperto e pubblicato in italiano, e merito, ovviamente, anche dello scrittore stesso, che è bravo e merita attenzione. Non è mai facile valutare l’opera di un Autore di cui si è letto poco, ma ci proviamo, prendendo come obbligatorio punto di partenza la figura, storica, di Giacomo Casanova, l’avventuriero veneziano del XVIII secolo che tanto fece parlare di sé, sia bene che male, in diverse corti europee.
Márai sfrutta la celebre fuga dai Piombi come spunto iniziale per un’opera intimista e cesellata, caratterizzata praticamente da un’unica ambientazione (la stanza di Giacomo alla Locanda del Cervo di Bolzano) e da capitoli riflessivi e rievocativi, nei quali lo stesso Casanova, il Conte di Parma, lo scandaloso abate Balbi e la bella Francesca tornano col pensiero ad avventure passate, a lontani duelli, a vecchi amori. La scrittura dell’Autore ungherese è indubbiamente elegante e raffinata, e sa far parlare con una certa efficacia personaggi di tre secoli fa, calandoli in un’ambientazione perfetta perché descritta con pochi tocchi: la sonnacchiosa e provinciale Bolzano del 1756, in qualche modo, scaturisce dalle pagine del libro, come anche la Venezia che Giacomo ha dovuto abbandonare (seppur a Venezia siano dedicate veramente poche righe). Apprezzabile anche l’economia di personaggi che attraversano questa strana commedia, questa “recita” nella quale si ha l’impressione che la stanza dell’avventuriero veneziano sia proprio un palcoscenico, né più né meno, sul quale si alternano le figure del racconto, componendo piano piano un puzzle fatto di gelosia e paura, di rimpianto e di avventura, di passato (il duello a Pistoia, nel quale Casanova rimase gravemente ferito) come di futuro (la vita libera e brada che sembra spalancarsi davanti al Cavaliere di Seingalt e al suo improbabile scudiero, l’abate Balbi).
Se però la prima metà del libro funziona, suddivisa com’è in capitoli brevi, pregnanti e incalzanti, la seconda parte, che si apre sostanzialmente con la visita del Conte di Parma, è decisamente più lenta e involuta, dominata da capitoli mastodontici (“Il contratto”, da solo, prende 66 pagine!) e da lunghi monologhi (del Conte, di Francesca, dello stesso Casanova) che onestamente stancano un po’, anche perché si intuisce subito che il rovello del libro, il perno attorno al quale ruota tutto non sarà un fantasmagorico colpo di scena, bensì qualcosa di molto più semplice e banale.
Nulla di male nel voler evitare una struttura “a chiave” che avrebbe trasformato il libro in un giallo (cosa che Márai certo non desiderava); però va ammesso che la pazienza del lettore, nella seconda parte, è messa più d’una volta a dura prova, e se è vero che i temi toccati dal libro (il Tempo, la natura dell’amore, il significato dell’invecchiamento e della morte) sono solidi e robusti, nonché ben affrontati, è altresì vero che per lunghi tratti il romanzo si attorciglia un po’ attorno ai pochi dati di una trama quasi inesistente, e purtroppo conosco un solo scrittore in grado di spingersi a tanto: Marcel Proust. Non se ne abbia a male Márai, ma le vette proustiane, pur essendo “La recita di Bolzano” un libro nient’affatto malvagio, sono molto lontane.
(Recensione scritta ascoltando i Pink Floyd, “On the Turning Away”)
PREGI:
una scrittura sapida e consapevole, che fa emergere bene caratteri e contraddizioni dei personaggi, e che tratteggia ambienti e situazioni in maniera allo stesso tempo minimale e compiuta
DIFETTI:
una seconda parte troppo lenta e involuta, un finale tutto sommato monco e la strana decisione (seppur all’inizio l’Autore se ne discolpi, dichiarando che il libro non punta assolutamente a essere un’opera storiografica) di dare a Casanova dei tratti sbagliati: viene descritto basso, quando era molto alto; gli si attribuiscono quarant’anni, quando nel 1756 egli ne aveva trentuno, essendo nato nel 1725; viene citata la figura della marchesa d’Urfé, che Giacomo avrebbe incontrato solo successivamente, a Parigi… Peccato, una scelta davvero difficile da comprendere!
CITAZIONE:
“La scrittura è la forza più grande che esista, la parola scritta è più forte del papa e del re, è più forte del doge. […] Credo nell’amore e nella mutevolezza della fortuna. E credo nella scrittura, perché la scrittura ha potere sul destino e sul tempo. […] Passano le donne, tramontano gli amori. Sfumano le emozioni, e la polvere del tempo ricopre le tracce delle azioni compiute. Ma la scrittura rimane.” (pagg. 61-62)
GIUDIZIO SINTETICO: **½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…