LA SCIMMIA SULLA SCHIENA – William S. Burroughs

# 357 – William S. Burroughs – LA SCIMMIA SULLA SCHIENA (BUR, 2008, ediz. orig. 1953, pagg. 250)

A metà tra narrativa e autobiografia, Burroughs racconta, attribuendole a un personaggio dal semplice nome “Lee” (e il libro uscì inizialmente, nel 1953, con in copertina lo pseudonimo “William Lee”) le sue molteplici esperienze con le droghe, dalla cocaina all’eroina, dal peyote allo yagé. Il viaggio del protagonista tra spacciatori e fornitori di sostanze stupefacenti, con tutti gli espedienti per procurarsi il denaro necessario, diventa anche un percorso di ricerca della “droga perfetta”, quella che consenta un totale distacco dell’anima dal corpo, e un’esaltazione estrema della sensorialità. Ricerca che, in un certo senso, occuperà tutta la vita dello scrittore, guru e padre fondatore della cosiddetta “Beat Generation”.

Uscito nel 1953 col titolo “Junk”, poi cambiato in “Junky”, termine gergale americano che indica il tossicodipendente, reso in italiano con la strana ma tutto sommato azzeccata locuzione “La scimmia sulla schiena”, giustificata dalla descrizione degli effetti devastanti dell’astinenza per un tossicodipendente, è il romanzo (se così si può definire) d’esordio di William Burroughs, che sarebbe diventato senz’ombra di dubbio uno dei più importanti scrittori del Novecento americano.

Pur rendendomi conto che non sia giusto considerarlo così, non posso evitare di vedere nella “Scimmia sulla schiena” il prodromo di “Pasto nudo”, il più famoso tra i libri di Burroughs e di gran lunga il suo capolavoro. Moltissimi elementi presenti in quest’opera prima, infatti, verranno ripresi in “Pasto nudo” e portati a estreme conseguenze, con un radicalismo non solo tematico, ma anche e soprattutto stilistico che lascia ancor oggi, a tanti anni di distanza, letteralmente a bocca aperta.

Effetto che invece “La scimmia sulla schiena”, purtroppo, non ottiene, soprattutto letto oggi. Se nel 1953 questo esordio dovette rappresentare un discreto pugno nello stomaco per lettori certo non abituati all’immediatezza con cui l’Autore parla di droghe e di tossicodipendenza, oggidì, soprattutto dopo “Pasto nudo” e i suoi seguiti, la lettura di “Junky” non risulta, fatalmente, altrettanto sconvolgente. Anzi, il libro si caratterizza per una strana compostezza, determinata tanto dall’aplomb stilistico (un Io narrante estremamente classico ed espositivo) quanto dal tono oggettivo con cui vengono descritti effetti e caratteristiche delle varie droghe. Se è vero che anche in calce a “Pasto nudo” Burroughs inserì una sorta di trattazione saggistica ricapitolativa della sua dipendenza da sostanze stupefacenti, è però altrettanto vero che, rispetto a “Junky”, il successivo lavoro dello scrittore americano ha un approccio stilistico completamente diverso e, questo sì, decisamente sconvolgente.

Nella “Scimmia sulla schiena”, viceversa, è quasi impossibile notare uno stacco tra il romanzo e la sua appendice saggistica, intitolata “Una cura che elimina la tossicodipendenza”, perché il romanzo è già, a tutti gli effetti, una sorta di strano saggio esperienziale sulle droghe e sui loro effetti, nonché sul tipo di vita che, nell’America degli anni ’50, si ritrova a vivere un tossicodipendente.

Scritto da Burroughs mentre si trovava in Messico e profondamente ispirato alle sue personali esperienze di consumatore di droga, questo libro è un bizzarro ibrido tra una letteratura quasi diaristica e una narrativa classica, che tende a mettere distanza tra sé e la materia del racconto. Distanza che in realtà non c’era, se si pensa che proprio durante la stesura di “Junky” Burroughs incorse nel celeberrimo e controverso episodio dell’assassinio di sua moglie, a sua volta tossicodipendente, sposata da poco, cui lo scrittore sparò accidentalmente in un maldestro tentativo di imitare Guglielmo Tell con una pistola e un bicchiere da cognac.

Non c’è nulla di fiammeggiante, però, nel primo libro di questo straordinario Autore, solo una sequela di episodi di degrado e di astinenza che, ribadisco, leggere in un volume dovette apparire al pubblico del 1953 come qualcosa di atipico e innovativo, oltreché disturbante, ma che al giorno d’oggi non suscita la medesima reazione di sconcerto e di curiosità (anche un po’ morbosa).

Pubblicato grazie all’interessamento dell’amico Allen Ginsberg, cui Burroughs inviava i capitoli man mano che li ultimava, “La scimmia sulla schiena” è un libro indubbiamente importante ma, e non ho paura di dirlo, non altrettanto bello, anzi, al contrario, rispetto a quelli che entusiasmano sono molti di più i passaggi noiosetti e ripetitivi, soprattutto se lo si legge dopo aver già scoperto la vera “poesia della droga” rappresentata da “Pasto nudo”, di cui questo romanzo d’esordio (e non è un merito da poco) è sicuramente un testo preparatorio, nel quale si preannunciano molti dei temi che, nel successivo capolavoro, sarebbero stati potenziati da una scrittura assai più affascinante ed enigmatica, sfaccettata e abissale.

Leggere Burroughs, intendiamoci, non è mai inutile; e così, anche scoprire “Junky” dopo i suoi lavori successivi non è una perdita di tempo. A lettura ultimata, però, ci si accorge fatalmente di aver sottolineato e trattenuto nella memoria nient’altro che i passaggi che anticipano “Pasto nudo” e altri libri di maggior spessore concettuale e stilistico, come se “La scimmia sulla schiena” fosse il socchiudersi di una porta che Burroughs avrebbe aperto veramente solo in seguito – e con risultati ben più duraturi e impressionanti.      

(Recensione scritta ascoltando i Pink Floyd, “Brain damage”)

PREGI:
nitido e preciso nell’affrontare la tossicodipendenza, privo di abbellimenti e di ipocrisie, il libro ha il suo pregio principale proprio nella capacità, pur in anni di perbenismo e di autocensura, di portare in primo piano un tema come l’abuso di stupefacenti

DIFETTI:
stranamente noiosetto e ripetitivo, è un romanzo-saggio di taglio palesemente autobiografico che, alla fine, non fa che introdurre temi e concetti che verranno sviluppati molto meglio altrove

CITAZIONE:
“La morfina agisce dapprima sul dorso delle gambe, poi alla nuca, un’ondata di rilassamento che si diffonde e allenta i muscoli come staccandoli dalle ossa, per cui si ha l’impressione di galleggiare senza contorni. […] Passò dinanzi a me una serie di immagini, come se assistessi alla proiezione di un film: un bar enorme, illuminato al neon, che si espandeva sempre e sempre più, fino a includere strade, traffico e lavori di riparazioni stradali; una cameriera che serviva un cranio su un vassoio; stelle in un limpido cielo. L’urto fisico del timore della morte; il respiro che veniva a mancare; la circolazione del sangue che cessava.” (pag. 43)

GIUDIZIO SINTETICO: **

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO