L’amore sanguinante che non vuol morire

LOVE-LIES-BLEEDING di Don DeLillo (regia di Giuseppe Isgrò)

Non sono un critico teatrale, per cui la premessa, doverosa, è che prendiate le mie parole, a proposito di questo spettacolo, che ho visto al teatro Elfo Puccini mercoledì 12 marzo 2025, con il beneficio d’inventario, come il contributo di un semplice appassionato, e non quello di un esperto. Quando scrivo di cinema e di letteratura, sì, posso definirmi un esperto; quando scrivo di teatro, no, sono un semplice cultore della materia.

Amo andare a teatro. Non ci vado molto frequentemente, perché gli impegni e la scrittura spesso non me lo consentono, ma quando posso e quando capita l’occasione giusta, non me la faccio scappare. Questo “Love-lies-bleeding” mi ha attratto fin da subito, da una parte per l’importanza del tema (l’eutanasia e il cosiddetto “fine vita”), dall’altra per il nome dell’Autore, quel Don DeLillo decisamente più noto come romanziere che come autore di teatro. Autore che, lo dico subito, non ho mai particolarmente amato. Non sono tra quelli che si strappano le vesti per lui e che salutano ogni suo romanzo come un capolavoro. Anzi, sono piuttosto critico nei confronti del DeLillo scrittore, ma questo non vuol dire che non sia curioso di scoprire e conoscere il suo universo teatrale, anzi, di più: questo non vuol dire che il suo pensiero non mi affascini.  

Ebbene, “Love-lies-bleeding” è stato una piacevole sorpresa. La scrittura di DeLillo si è rivelata profonda e tagliente più che nei suoi romanzi, e la commedia (nera, nerissima) si è dipanata sul palcoscenico in modo fluido e interessante, scene brevi che si susseguivano l’una all’altra mescolando tempi e momenti nelle vite dei protagonisti, ma senza che il pubblico si perdesse, anzi, la regia sembra essersi premurata anzitutto che il pubblico rimanesse ben agganciato a una messa in scena che, a parte qualche flashback, è caratterizzata da una sorta di unità aristotelica di luogo, tempo e azione.

Ho detto “il pubblico”: ma ci sono, a ben vedere, due pubblici in “Love-lies-bleeding”. Il primo è quello classico, rappresentato da noi spettatori seduti in platea; il secondo è il “convitato di pietra”, il corpo privo di reazioni, di emozioni e chissà, forse di anima, del “protagonista assente”, Alex Macklin, artista di poco pregio, quattro volte marito di altrettante donne (due delle quali, la seconda e la quarta, Toinette e Lia, in scena come personaggi, e due invece fuori dal campo della scrittura e della messa in scena), uomo ambiguo e spesso volgare, uomo dalla vita disordinata, con un figlio (della prima moglie) che ha l’impressione di non averlo mai realmente conosciuto. Uomo, infine, ridotto all’ombra di sé stesso da due ictus, uno più devastante dell’altro, tanto che egli, in scena, è “interpretato” da un manichino che se ne resta seduto al centro del palcoscenico per tutta la durata della rappresentazione mentre, attorno a lui, le figure delle due mogli e del figlio si affannano a cercare di decidere se donargli la “dolce morte” o se restare con lui, dopotutto, fino alla fine naturale della sua vita – che potrebbe durare ancora anni.    

Dramma degli affetti, dilemma etico, commedia macabra e gioco al massacro: “Love-lies-bleeding” è un po’ tutto questo, è un intreccio di ricordi e sentimenti, di ipotesi e sensazioni (lui ci sente ancora? È ancora tra noi oppure la sua anima se n’è già andata? E se la sua anima c’è ancora, è giusto liberarla, tramite eutanasia, dalla prigionia di un corpo ormai inerte?), è un turbinante e colorato affaccendarsi attorno a un corpo semi-morto, non-ancora-morto, è un valzer d’amore in cui affetto e risentimento si mescolano fino a sembrare fatti della stessa sostanza – e forse è davvero così. Forse l’amore decade sempre in risentimento, e forse era davvero impossibile amare una persona come Alex Macklin, che “rivive” in alcuni flashback (volto dell’attore coperto da una maschera) e rivela tutta la sua umana, umanissima meschinità, tutta la sua bukowskiana semplicità (a me ha dato l’impressione di essere quasi più un personaggio di Bukowski che di DeLillo!).

Presente anche quando è assente, e viceversa, Macklin è appunto il “convitato di pietra” di un ritrovo parentale (due mogli e il figlio) che si autoassume l’incarico più difficile di tutti, quello di decidere se egli deve continuare a vivere, e se sia effettivamente vita quel respirare senza parlare, quel guardare senza vedere, quell’ascoltare senza poter rispondere. Dove finisce la vita e dove inizia la morte? Viene detto più volte, nel testo; egli è sospeso in un limbo, non è più né di qua né di là. E occorre decidere se aiutarlo a restare aggrappato alla vita, come sembra intenzionata a fare la giovane ultima moglie Lia (molto brava Liliana Benini!), o se dargli una spinta verso l’altra parte, verso quel mistero che è la morte, come sembrano propensi a fare – pur in disaccordo su modi e tempi – il figlio Sean (Daniele Fedeli, ottimo) e la seconda moglie, la nevrotica Toinette (Francesca Frigoli, decisamente brava).

E allora, quell’amore che giace sanguinante, il titolo dello spettacolo, che poi è il nome di una pianta, quell’amore agonizzante è l’amore che, a diverso titolo, tutti e tre i personaggi hanno provato o provano per Alex Macklin, è l’amore che non vuole saperne di spegnersi, che non può essere sottoposto a eutanasia, perché è questo, se vogliamo, il vero tema: porre fine alla sua vita migliorerebbe le nostre, di vite? E a che titolo qualcuno può arrogarsi il diritto di star meglio sopprimendo una persona? Ma è ancora “una persona”, per la quale si può provare amore? Coi suoi occhi accesi e spiritati, ben “interpretati” dal manichino che lo impersona, Alex Macklin è vivo tra di noi, o è solo un simulacro – il simulacro di quell’amore arrabbiato che gli si agita attorno?

“Love-lies-bleeding” è un buono spettacolo, che consiglio senza remore: ben interpretato da tutti e tre gli attori, che riescono a ricostruire, in scena, una certa colloquialità quasi più cinematografica che teatrale, e ben diretto, con economia di mezzi che non diventa mai povertà espressiva, è arricchito da una colonna sonora molto bella, fatta di pezzi melanconici e ironici, e da un impianto scenografico di luci molto interessante. Unica pecca: la durata. Forse 15-20 minuti in meno avrebbero fatto di questo spettacolo un’autentica bomba. Non che sia un problema il fatto che duri circa due ore: ma una maggiore asciuttezza, in certi passaggi (in particolare nei flashback sulla vita passata di Macklin), avrebbe dato, a mio parere, ancora più nerbo a una messa in scena molto ben curata e indubbiamente sentita, e partecipe.

Verdetto, da semplice appassionato? Consigliato! Andate a vederlo!               

Love-lies-bleeding