Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 156
SEQUEL, CROSSOVER, RIPRESE LETTERARIE
Quando gli scrittori citano e si citano
Ed McBain – ULTIMA SPERANZA (1998)
Di cosa parla: Jill Lawton si presenta dall’avvocato Matthew Hope di Calusa, Florida, per rintracciare suo marito Jack: l’uomo si è trasferito al Nord per cercare lavoro e da tempo non dà più notizie di sé. Jill, sospettando che il consorte si sia innamorato di un’altra, è intenzionata a chiedere il divorzio. Sembrerebbe un caso piuttosto ordinario, se non fosse che di lì a poco su una spiaggia viene rinvenuto il cadavere di un uomo nelle cui tasche si trovano i documenti di Jack Lawton. Jill, però, chiamata a riconoscere il corpo, afferma che non si tratta di suo marito. Le indagini conducono l’avvocato Hope a contattare l’87° Distretto: la collaborazione con il detective Steve Carella porterà alla luce un mistero ben più intricato…
Commento: Tecnicamente si chiama crossover: è quella tecnica narrativa, in voga anche nei fumetti, nei film dei supereroi e nelle serie televisive, di incrociare in una stessa storia personaggi appartenenti a saghe diverse (in tv il primato, in termini cronologici, spetta alla Signora in giallo catapultata in un episodio di Magnum P.I.). Qui è l’avvocato Hope, impegnato nell’ultimo dei tredici libri incentrati su di lui (come si deduce dall’allusivo titolo originale), a incontrare Carella e quelli dell’87° Distretto, protagonisti di una delle più prolifiche serie poliziesche di sempre con più di cinquanta romanzi all’attivo. Sul piano della scrittura, il mestiere di McBain è notevole, specie nell’intreccio delle diverse vicende che si compongono via via, pagina dopo pagina, fino al finale: più che l’enigma in sé, quello che interessa all’autore è la caratterizzazione dei personaggi (con una maniacale attenzione all’abbigliamento). Scrittura molto cinematografica (oltre alle centinaia di libri, McBain ha all’attivo anche diverse sceneggiature: su tutte quella de Gli uccelli di Hitchcock), incisiva, chirurgica, precisa nei dialoghi, senza fronzoli ma anche senza gli effettacci tipici di tanti thriller americani e non solo.
GIUDIZIO: **½
Joël Dicker – IL CASO ALASKA SANDERS (2022)
Di cosa parla: Aprile 1999. Una ragazza in preda a uno shock entra nella stazione di servizio di Mount Pleasant, pacifica località del New Hampshire. Ha appena assistito a un terribile spettacolo: sulla riva del lago, dove stava correndo di prima mattina, un orso dilaniava il corpo di una giovane donna. All’arrivo sul posto, si scoprirà l’identità della vittima: si tratta di Alaska Sanders, e non è stata uccisa dall’orso, ma da un colpo in testa che, nel corso della notte, qualcuno le ha assestato. La soluzione arriva presto: il colpevole si autoaccusa prima di uccidersi e dopo aver indicato il nome del suo complice. Ma undici anni più tardi il sergente Gahalowood e lo scrittore Marcus Goldman, che già hanno collaborato in passato sul caso di Harry Quebert, saranno costretti a riaprire le indagini e a rimettere tutto in discussione…
Commento: In italiano moderno si chiamano sequel. Un tempo, semplicemente, accadeva che a un libro di grande successo ne facesse seguito un secondo, e magari un terzo, un quarto, ecc. per soddisfare editori e lettori ma anche per dare più ampio spazio alle ambizioni o alle necessità dello scrittore. Il fenomeno risale agli albori del romanzo moderno: è accaduto al Don Chisciotte (Cervantes scrisse il secondo libro dopo che un altro autore, tutt’oggi sconosciuto, ne aveva già pubblicato un seguito), ma anche al suo predecessore, il Lazarillo de Tormes, che ebbe ben due continuazioni. Da quando ci sono i diritti d’autore, i sequel sono prerogativa dell’autore e spesso danno origine a vere e proprie saghe. Nel caso del nostro libro, si può ben dire che Dicker torna sul luogo del delitto, dopo lo strepitoso La verità sul caso Harry Quebert. Lo scrittore gioca ancora una volta a rispecchiarsi nel suo alter ego Marcus Goldman (che, nel frattempo, aveva raccontato ne Il libro dei Baltimore una storia di famiglia). Dicker è abilissimo nel coinvolgere il lettore in una spirale di continui colpi di scena, ribaltamenti e rivelazioni e dimostra anche qui di aver pienamente assimilato la lezione della serialità televisiva americana. Difficile non cogliere, nelle vicende che ruotano intorno al delitto brutale di Alaska Sanders, la lezione di Twin Peaks, sebbene Dicker, a differenza di Lynch, si muova nel pieno rispetto delle regole del giallo investigativo, che razionalmente guida il lettore alla scoperta della verità. Ma la provincia americana popolata di personaggi che hanno quasi tutti qualche torbido segreto da nascondere è la stessa che più di trent’anni fa fece capolino nella coscienza televisiva collettiva attraverso l’omicidio di Laura Palmer e i misteri che le ruotavano intorno. Certo, Dicker – nato e cresciuto a Ginevra – può sembrare in ritardo e scontare una certa mancanza di originalità, ma tenere in piedi e saper sciogliere in modo convincente una storia per seicento pagine non è cosa da poco: ci vuole tecnica e considerato che, fatto salvo qualche cedimento (la riapparizione di Harry Quebert nel finale appare poco giustificata), il tutto regge, si può dire che a Dicker non manchi il mestiere.
GIUDIZIO: ***
PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
La letteratura è un unico grande libro (lo dice, tra gli altri, Jorge Luis Borges ne La biblioteca). E le riprese, le citazioni sono antiche come la letteratura stessa. Prima della messa a punto del diritto d’autore, anzi, citare significava mettersi al riparo di una auctoritas e dare valore alla propria opera: il mito dell’originalità nasce con il Romanticismo e va di pari passo con lo sviluppo del mercato librario, frutto della società borghese ottocentesca. Anche i grandi scrittori del passato hanno sempre sentito l’esigenza di rifarsi alle idee degli altri. Persino Dante, prima di citare sé stesso autoinvestendosi, già in vita, del ruolo di autorità indiscussa (lo fa a più riprese nella Divina Commedia, riportando alla lettera gli incipit di sue canzoni), aveva collocato la sua poesia – quella che lui stesso, nel Purgatorio, definirà, con un’altra chiara allusione a sé stesso, come “stil novo” – all’ombra di venerabili maestri e colleghi. Così, ad esempio, nella Vita nova, un noto sonetto inizia con un’esplicita ripresa del testo fondativo dello stilnovismo, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli, ma nel seguito si riconoscono chiari riferimenti alle poesie dell’amico Guido Cavalcanti (Voi che per li occhi mi passaste il core), senza tenere conto che Dante stesso autociterà questo suo stesso sonetto, combinato con un altro passo della canzone di Guinizzelli (Foco d’amore in gentil cor s’aprende) nelle celeberrime parole (Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende)di Francesca da Rimini nel quinto canto dell’Inferno:
Amore e ’l cor gentil sono una cosa,
sì come il saggio in suo dittare pone,
e così esser l’un senza l’altro osa
com’alma razional sanza ragione.
Falli natura quand’è amorosa,
Amor per sire e ’l cor per sua magione,
dentro la qual dormendo si riposa
tal volta poca e tal lunga stagione.
Bieltate appare in saggia donna poi,
che piace a li occhi sì, che dentro al core
nasce un disio de la cosa piacente;
e tanto dura talora in costui,
che fa svegliar lo spirito d’Amore.
E simil face in donna omo valente.
Autocitarsi può sembrare un vezzo, una civetteria, persino un’esibizione narcisistica. Ma talora, nei rari casi di scrittori provvisti di autoironia, significa anche prendersi in giro. Come fa Guido Gozzano ne L’esperimento, testo che è una vera e propria autoparodia di una delle sue poesie più celebri, L’amica di nonna Speranza. Lo stesso Gozzano, in una lettera, la presentava così: “Ho abbozzato una stiticissima poesia su Carlotta Capenna, dove finisco per chiavare la medesima sul divano chermisi, ma non riesco a partire nella paura che entrino da un momento all’altro li zii dabbene…”. La poesia in realtà propone una sorta di gioco di ruolo (in chiave erotica: nulla di nuovo, dunque, nelle perversioni moderne), in cui il poeta immagina di far travestire la donna cui si rivolge con gli abiti della Carlotta dei tempi andati:
Svesti la gonna d’oggi che assottiglia
la tua persona come una guaina,
scomponi la tua chioma parigina
troppo raccolta sulle sopracciglia;
vesti la gonna di quel tempo: i vecchi
tessuti a rombi, a ghirlandette, a strisce,
bipartisci le chiome in bande lisce
custodi delle guancie e degli orecchi.
Poni a gli orecchi gli orecchini arcaici
oblunghi, d’oro lavorato a maglia,
e al collo una collana di musaici
effigïanti le città d’Italia…
T’aspetterò sopra il divano, intento
in quella stampa: Venere e Vulcano…
Tu cerca nell’immenso canterano
dell’altra stanza il tuo travestimento.
Poi, travestita dei giorni lontani,
(commediante!) vieni tra le buone
brutte cose borghesi del salone,
vieni cantando un’eco dell’Ernani,
vieni dicendo i versi delicati
d’una musa del tempo che fu già:
qualche ballata di Giovanni Prati,
dolce a Carlotta, sessant’anni fa…
L’esperimento fallisce, però, soffocato dal riso che travolge il poeta al pensiero dell’entrata degli zii e tutto resta un gioco, infantile e nostalgico, anzi un gioco nel gioco, che invita semmai a rileggere il testo di partenza che lo stesso Gozzano ha fatto oggetto della sua autoparodia:
Rido! Perdona il riso che mi tiene,
mentre mi baci con pupille fisse…
Rido! Se qui, se qui ricomparisse
lo Zio con la Zia molto dabbene!
Vesti la gonna, pettina le chiome,
riponi i falbalà nel canterano.
Commediante del tempo lontano,
di Carlotta non resta altro che il nome.
Testi citati
Dante Alighieri – AMORE E ’L COR GENTIL SONO UNA COSA, in “Vita nova”(1292-1294)
Guido Gozzano – L’ESPERIMENTO (1911)
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…