Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 173
DILEMMI MORALI
Tra il bene e il male che cosa conviene in letteratura?
Graham Greene – UNA PISTOLA IN VENDITA (1936)
Di cosa parla: Raven è un sicario di professione. Quando riceve l’ordine di ammazzare niente meno che il ministro della guerra di un paese straniero, non esita e porta a termine il suo compito. Certo, per un piccolo intoppo ha dovuto uccidere anche la sua segretaria, ma i veri problemi per lui devono ancora cominciare. Una volta ricevuta la ricompensa da un intermediario, scoprirà ben presto che i soldi che gli sono stati rifilati sono falsi. Ricercato dalla polizia, dovrà ingegnarsi non poco: le sue certezze vacilleranno dopo l’incontro con Anne, una ragazza di cui si serve per coprire le sue tracce e che dovrebbe eliminare come scomoda testimone, ma dalla quale resta colpito oltremisura. Raven decide a fidarsi di lei, ignaro del fatto che la giovane donna è la fidanzata del poliziotto incaricato di rintracciarlo…
Commento: “Per ragioni e in proporzioni diverse, a Una pistola in vendita competono tutte e tre le qualifiche di genere: thriller, noir e divertimento”. L’acuta osservazione di Domenico Scarpa, se da un lato aiuta a inquadrare il romanzo dal punto di vista della sua appartenenza al sistema letterario, dall’altro invita a considerare questo libro (e altri dello stesso Greene, come il precedente Il treno di Istanbul o il successivo Brighton Rock) innanzitutto per il suo valore principale: la felicità narrativa. È in primis un libro che si legge d’un fiato, capace com’è di catturare il lettore fin dal primo bellissimo capitolo (il racconto dell’assassinio commissionato a Raven) e di coinvolgerlo nel vortice delle conseguenze, tutte prevedibilmente ben poco fortunate, che toccano al killer. Anche perché, alternando la storia del sicario (fondamentale per l’identificazione del personaggio il dettaglio del labbro leporino) e quella di Anne e del suo fidanzato poliziotto Jimmy Mather fino a farle drammaticamente incrociare, Greene non lascia scampo alla curiosità di sapere cosa accadrà nella riga, nella pagina, nel capitolo successivo. Lo scrittore inglese, al solito, crea un cortocircuito tra la vicenda in sé (e i suoi personaggi) e il punto di vista morale. È, in fondo, il meccanismo di base della suspense che, come teorizzava Hitchcock, non è un fatto razionale ma emotivo. Insomma, è difficile non stare dalla parte del cattivo, malgrado sia un assassino spietato, e quando veniamo a sapere con Anne – che, a sua volta, lo spalleggerà anziché averne paura e denunciarlo – delle origini di Raven, della sua infanzia segnata da dolori e traumi, ecco che facciamo fatica a comprimere quel moto di simpatia che ci accompagna, subdolamente, fin dell’inizio. In qualche modo, ci troviamo a tifare per la sua salvezza, per la sua redenzione, per la sua conversione. Forza del cattolicesimo di Greene, dirà qualcuno. Potenza della letteratura, ribattiamo noi: quando uno scrittore è bravo come Greene, un romanzo non è una parabola, ma ben altro. È un thriller, è un noir. È, soprattutto, un divertimento.
GIUDIZIO: ***
Joe Haldeman – GUERRA ETERNA (1974)
Di cosa parla: 1997. L’umanità è in guerra. I nemici sono i temibili e misteriosi Taurani, di cui non si sa nulla. Ignoto è anche il motivo del conflitto, dato che tra terrestri e Taurani non è possibile nessuna forma di comunicazione. William Mandella, studente di fisica, è costretto, come tanti altri giovani, a farsi soldato. Nonostante non condivida nulla della vita militare e del trattamento riservato dagli alti comandi dell’esercito, partecipa, attraverso il condizionamento indotto da droghe, al primo scontro con i Taurani. Muovendosi nello spazio a velocità vicine a quelle della luce, Mandella attraversa i secoli invecchiando di pochi mesi alla volta. E così, quando, secoli dopo, torna sulla Terra, la trova totalmente trasformata. Ma non c’è spazio per lunghi soggiorni, dato che la guerra, complici i salti temporali, continua e, di balzo in balzo, il soldato semplice farà carriera e si innamorerà, ricambiato, di una donna che, però, rischia di perdere da qualche parte nello spazio…
Commento: Tema: come trasformare un’istanza civile, un dovere morale, un nobile sentimento (l’antimilitarismo, nello specifico) in letteratura vera, ossia in un racconto intelligente nelle premesse, fantasioso nello sviluppo, coerente nelle conclusioni. Lo svolgimento, nelle mani di uno scrittore che abbia anche l’ambizione di intrattenere i suoi lettori, può essere brillante come quello escogitato per questo romanzo da Joe Haldeman. Americano, forte di studi scientifici, l’autore mette a frutto l’esperienza da soldato in Vietnam (dove fu ferito) grazie a un’idea tanto semplice quanto efficace: sfruttando – in chiave fantascientifica, s’intende – le opportunità offerte dalla relatività, Haldeman fa della guerra eterna (quella narrata nel libro dura, alla fine, più di milleduecento anni) l’orizzonte unico, ineluttabile di un’umanità che finisce per assuefarsi a una prospettiva tanto atroce quanto divenuta del tutto naturale. Se certe modalità di manipolazione (dall’uso delle droghe alla comunicazione che passa attraverso i mass media) sono debitrici di classici del genere, da Huxley (citato esplicitamente) a Orwell, è il ritmo frenetico della storia, con il suo proiettarsi sempre più avanti nel tempo, il vero punto di forza del libro. Haldeman non fa sconti, fin dall’incipit (“Questa sera vi mostreremo otto sistemi per uccidere un uomo senza far rumore”), nel denunciare le contraddizioni, anzi le assurdità della guerra, veri salti logici che, al pari dei salti temporali cui si sottopongono al di là della loro volontà i personaggi, si occultano innanzitutto nel linguaggio, retorico e mistificatorio, di chi la guerra l’ha voluta e non può o non vuole fermarla. Guerra che, per inciso, neanche si sa perché sia scoppiata. A salvare l’umanità (ma quale umanità è quella del 3100?) resta forse solo l’amore, come suggerisce il finale, ma a che costo! E Haldeman, che, da bravo scrittore di fantascienza, sa che non si scrive un romanzo per mandare un messaggio, lascia a noi ingenui lettori, ancora convinti di dover trovare una nobile giustificazione alla letteratura di intrattenimento, il compito di riempire gli spazi.
GIUDIZIO: ***
PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Ammazzare o non ammazzare: questo è il dilemma. Considerare il delitto da un punto di vista estetico, e non morale, è un gioco? È satira? È umorismo britannico? La domanda aleggia nel celebre saggio (ma è poi davvero un saggio?) dello scrittore inglese Thomas De Quincey L’assassinio come una delle belle arti, punto di riferimento ideale per buona parte della letteratura gialla che, proprio nel XIX secolo, muove i primi passi. In fondo, quando leggiamo un romanzo o un racconto giallo, specialmente se si tratta di un giallo classico di scuola anglosassone, firmiamo un patto implicito con l’autore: “Io – dice lo scrittore a noi lettori – vi parlo di omicidi, di assassini, di morti in serie, ma non spaventatevi troppo: il delitto è un pretesto per un grande gioco di società. Quel che conta sono gli indizi, le indagini, la scoperta della verità”. Per questo, quanto più i misteri abbondano e quanto più stravaganti, insospettabili, imprevedibili sono il crimine, il movente, il colpevole, tanto più il divertimento è assicurato.
Ora, però, la tesi di De Quincey, che celebra la bellezza dell’omicidio, il suo essere – a certe condizioni – un’opera d’arte, è davvero una giocosa provocazione? Giorgio Manganelli è categorico al riguardo: nulla di più sbagliato di quest’interpretazione. De Quincey è serissimo nelle sue argomentazioni, perché, da letterato, egli non può che occuparsi del lato oscuro dell’uomo, rifuggendo dalla morale e sobbarcandosi, anzi, l’unico compito che gli è proprio: cogliere il bello per restituirlo nelle forme dell’espressione artistica.
E così, se nelle prime due parti del suo trattato, De Quincey, mascherandosi dietro le relazioni della fantomatica Società degli intenditori d’assassinii, prova a giustificare le sue, apparentemente paradossali, tesi sulla valutazione estetica dell’omicidio, nel bellissimo poscritto dà prova del valore propriamente estetico del delitto raccontando mirabilmente due casi di assassinio che fecero scalpore nella Londra di inizio Ottocento. Il che dimostra, ancora una volta, che l’ombra che ci abita è il motore della vita stessa, ciò che desta il nostro interesse, la nostra curiosità. L’arte è solo l’altra metà di quell’ombra, confine sottilissimo tra il necessario rifiuto morale e sociale del male da un lato e la sua invincibile attrazione, che è questione di seduzione, di forme, di bellezza appunto. A pensarci bene, nulla di giocoso in tutto ciò: di tragico, semmai. Come nell’Amleto, appunto.
Se il dilemma è, dunque, espressione dello spirito della tragedia, non ci si può stupire che esso animi spesso i versi del più grande poeta greco di epoca moderna, Konstantinos Kavafis, il quale ha tratto ispirazione da personaggi e scrittori dell’antichità per fornire letture nuove di sentimenti, gesti ed emozioni tramandati attraverso i secoli. Così, ad esempio, rifacendosi nel titolo alla celebre icastica formula con cui Dante bolla papa Celestino V (secondo quella che è l’interpretazione di gran lunga più diffusa), Kavafis tratteggia in termini quasi metafisici un dilemma archetipico, come se ogni scelta nella vita sia l’adesione tragica a un destino che – avrebbe detto Eraclito, un altro greco di un certo rilievo – coincide con il nostro carattere:
Arriva per taluni un giorno, un’ora
in cui devono dire il grande Sì
o il grande No. Subito appare chi
ha pronto il Sì: lo dice, e sale ancora
nella propria certezza e nella stima.
Chi negò non si pente. Ancora No,
se richiesto, direbbe. Eppure il No,
il giusto No, per sempre lo rovina.
Testi citati
Thomas De Quincey – L’ASSASSINIO COME UNA DELLE BELLE ARTI (1827)
Konstantinos Kavafis – CHE FECE… IL GRAN RIFIUTO – traduzione di Filippo Maria Pontani (1910 circa)
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…