LECTIO BREVIS / 182

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 182
GIÙ LA MASCHERA!
Equivoci, scambi di persona, identità da svelare

Carlo Goldoni – IL SERVITORE DI DUE PADRONI (1745)

Di cosa parla: La morte del torinese Federigo Rasponi, promesso sposo di Clarice, figlia del mercante veneziano Pantalone de’ Bisognosi, che aveva acconsentito controvoglia al matrimonio, permette alla ragazza di sposare Silvio Lombardi, da lei amato di un sentimento ricambiato. Proprio mentre in casa di Pantalone si sta festeggiando per il fidanzamento tra i due giovani, sopraggiunge Truffaldino, il servitore di Federigo, ad annunciare che il suo padrone, contrariamente a quanto si crede, è vivo ed è appena arrivato a Venezia per incontrare Clarice e stabilire con la famiglia le condizioni del matrimonio. In realtà, a fingersi Federigo è sua sorella Beatrice che, indossati panni maschili, è fuggita da Torino dopo la morte del fratello per cercare Florindo, suo amato, su cui pende l’accusa di aver ucciso Federigo. Quando pure Florindo farà la sua comparsa, Truffaldino finirà per diventare anche suo servitore…

Commento: È una delle prime commedie di Goldoni (la prima assoluta andò in scena a Venezia nel 1746), nonché una delle più celebri, in virtù anche della versione allestita nel 1974 da Strehler, che ne modificò il nome del protagonista e, di conseguenza, del titolo, con Truffaldino ridiventato Arlecchino servitore di due padroni. Ridiventato, perché, di fatto, l’opera fu scritta, in forma di canovaccio prima e poi come vero e proprio copione, per Antonio Sacco, attore della commedia dell’arte celebre proprio per le sue interpretazioni di Arlecchino. È un testo chiave della riforma del teatro avviata da Goldoni, in nome della verosimiglianza e della volontà di passare dai caratteri fissi ai personaggi veri e propri. È, anche, una commedia degli equivoci. È, infine, uno strepitoso esempio di sperimentazione linguistica, dato che alcuni personaggi parlano in italiano e altri in dialetto veneziano. In realtà, volendo prescindere dal fornire l’apparato critico del caso, operazione quasi inevitabile per un classico ma anche rischiosa per le brutali sintesi, la commedia è un divertentissimo tour de force in cui, pur sfruttando tutte le convenzioni più usuali, Goldoni dà prova di una modernità ancora capace di farsi apprezzare a duecentocinquant’anni di distanza (si vedano le considerazioni sulle donne, peraltro ricorrenti nel teatro goldoniano), ma soprattutto offre, in chiave comica, una interessante prospettiva sulla duplicità con cui le persone e le cose di presentano.

Se Truffaldino diventa servitore di due padroni aderendo così pienamente alla sua maschera di servo astuto, è Beatrice colei che dà origine all’intreccio, attraverso il suo travestimento, che, ben più di quello del suo servitore, è ingannevole e ambiguo, essendo una donna che si spaccia per un uomo (per di più creduto morto). Lo spaesamento iniziale aleggia in realtà su tutta la commedia, tanto più che solo a un’altra donna, Clarice, lei rivela il suo camuffamento. E così, a finire gabbati sono da un lato gli uomini, dall’altro lo stesso linguaggio, che rivela le sue crepe, le sue costituzionali ambiguità (lo stesso Goldoni si scusava del fatto che nessuno scopra l’inganno di Truffaldino proprio in virtù del fatto che nessuno lo chiama mai per nome ma tutti ne parlano come del “mio servitore”). Ecco allora che l’autore lascia intendere come il potere manipolatorio della parola sia il vero motore dell’azione, il che vale, in chiave metanarrativa, anche per il commediografo, l’unico che possa far credere a quello che dice. Purché, naturalmente, abbia le straordinarie capacità (ossia l’intelligenza, l’ironia, il garbo e, ovviamente, il realismo) di un grande scrittore, grande almeno come Carlo Goldoni.

GIUDIZIO: ***½

Arthur Schnitzler – DOPPIO SOGNO (1926)

Di cosa parla: Il medico viennese Fridolin e sua moglie Albertine, di ritorno da una festa in maschera in cui sono stati oggetto di attenzione da parte di altri invitati, trascorrono una notte di eccezionale passione. La sera dopo, riflettendo sull’accaduto, i due si confessano reciprocamente i propri desideri: Albertine rivela di essere stata vicina, tempo prima, alla possibilità di tradire il marito. Quest’ultimo, chiamato poco dopo al capezzale di un paziente, esce di casa e, intenzionato a vendicarsi della moglie, finisce per incontrare un amico pianista che gli rivela che, a notte fonda, dovrà suonare in una certa villa sede di ambigui convegni: gli ospiti sono ammessi solo se conoscono la parola d’ordine e si devono presentare in costume e maschera. Fridolin riuscirà a entrare nella casa, ma le cose diventeranno pericolose quando i presenti si accorgeranno che si è imbucato senza invito…  

Commento: La più celebre e scandalosa novella di Schnitzler è un capolavoro indiscutibile: volendo sminuirne il valore, ci si può limitare a considerarla la migliore illustrazione delle teorie freudiane. In realtà, è innanzitutto una storia abissale, scritta benissimo, sul desiderio: costruita sulla contrapposizione tra realtà e fantasia, tra giorno e notte, tra vita e sogno, la vicenda mette a nudo quello che, in fondo, nessun trattato di psicologia ha mai saputo e saprà illustrare: la relazione strettissima (che Freud – sia chiaro – teorizzava, eccome) tra l’amore e la morte. L’inquietudine mortale, che, accentuata dall’ambientazione notturna, percorre tutto il racconto (il paziente per cui Fridolin è uscito di casa sarà trovato già morto al suo arrivo; ma persino della carrozza che lo condurrà alla villa si dice che sembra una carrozza funebre) trova un suo chiaro correlativo simbolico nelle maschere che, a loro volta, attraversano come una sorta di filo rosso, la storia dall’inizio alla fine: solo quando il protagonista vedrà sul cuscino, vicino alla moglie che dorme, la maschera indossata per entrare nella villa (una maschera vuota!), l’incubo finirà e i due coniugi saranno costretti a fare i conti con la necessità di rinunciare all’immaginazione e ai suoi fantasmi per tornare alla realtà, che si materializza nella figlia piccola che ride alla luce del giorno.  

Le visioni notturne non perdono però, per questo, nulla del loro potere terrorizzante, come ha ampiamente dimostrato Stanley Kubrick, che dalla novella di Schnitzler trasse il suo ultimo film (che fa paura almeno quanto Shining!). In Eyes Wide Shut (uscito nel 1999) è certamente accentuato quanto in Schnitzler è suggerito, alluso o presentato in modo più criptico, allusivo, simbolico, ossia la componente erotica o sessuale della storia. Questione di epoche? Certo, ma il cambiamento dei tempi non starà nel fatto che, nello spazio che intercorre tra il primo Novecento (viennese) della novella e la fine di secolo (newyorkese) del film di Kubrick il sesso da desiderio represso (freudianamente inteso) è diventato tutt’altro? Non sarà che il discorso dello scrittore austriaco sull’apparenza, sulla finzione, sulla maschera, sulla trasgressione nella società dei mezzi di comunicazione di massa ha assunto contorni ancora più inquietanti, ancora più ambigui, ancora più “doppi”?   

GIUDIZIO: ****

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

“Se la maschera crea da un lato il comico e il buffonesco e dall’altro il deforme e l’orribile, è altrettanto vero che talvolta questi mondi, in apparenza distanti, convergono intrecciandosi in quelli che si potrebbero definire a tutti gli effetti labirinti dell’orrore”.

Traiamo queste illuminanti indicazioni dalla prefazione di Sara Elisa Riva a un prezioso libriccino edito pochi anni fa da ABEditore dal titolo Dentro la maschera. È una raccolta di quattro racconti, scritti tra Ottocento e inizio Novecento, sul tema, appunto, della maschera. Il più celebre è senz’altro La Maschera della Morte Rossa (1842) di Edgar Allan Poe, storia inquietante come poche tra le tante del grande scrittore americano: la vicenda ruota intorno alla decisione del principe Prospero di ritirarsi, da quando nel suo paese dilaga l’epidemia della Morte Rossa (dai “profusi sanguinamenti dai pori” con cui si manifesta), in una delle sue dimore fortificate insieme a una corte adorante. L’illusione di sottrarsi al contagio si infrangerà tragicamente allorché il principe deciderà di organizzare una festa in maschera. Una festa in maschera è al centro anche de L’uomo sulla bottiglia (1904) dello scrittore austriaco Gustav Meyrink: qui l’inquietudine, che diventerà terrore vero e proprio per i partecipanti, origina da uno spettacolo allestito apposta che prevede un uomo mascherato da Pierrot rinchiuso all’interno di un’enorme bottiglia sul coperchio di metallo della quale siede niente meno che il padrone di casa, sua Altezza serenissima Mohammed Darasche-Koh. È un ballerino, invece, il protagonista de La maschera (1894) di Guy de Maupassant: un ballerino “con una bella maschera dipinta sul viso, una maschera con baffi ricci e biondi sormontati da una parrucca a boccoli”: quando, dimenandosi freneticamente, andrà a sbattere contro gli spettatori e cadrà a terra esanime, sarà necessario togliergli la maschera e la rivelazione sarà tanto sorprendente che il medico chiamato a soccorrerlo deciderà di riaccompagnarlo a casa per scoprire la verità intorno all’identità dell’uomo. Il racconto più curioso è forse quello che apre la raccolta, Il Re dalla Maschera d’Oro (1892) del francese Marcel Schwob, vicenda allegorica ambientata in un regno in cui tutti, da generazioni, indossano delle maschere: d’oro quella del re, scure e serie quelle dei sacerdoti, ridenti quelle dei giullari e aggraziate quelle delle donne. Le certezze della corte verranno scosse quando si presenterà al cospetto del sovrano un mendicante cieco col volto scoperto, il quale insinuerà il dubbio che i volti dietro le maschere non corrispondano effettivamente a quello che le maschere rappresentano all’esterno.

Ogni maschera, insomma, suggeriscono i racconti, è innanzitutto un inganno, un equivoco e, da ultimo, il rovesciamento di sé stessa (Stevenson docet); e d’altronde nulla come smascherare e smascherarsi, ossia uscire dalla messinscena, dalla finzione (lo abbiamo capito dall’Amleto, lo abbiamo imparato da Pirandello), è in grado di innescare l’orrore, di rendere la morte un fatto reale e non una simulazione.     

È anche per questo che, ad esempio, nei gialli e nei thriller gli scambi di persona sono all’ordine del giorno: nei racconti e nei romanzi di Agatha Christie, regina, tra le altre cose, anche dei travestimenti, non si contano i casi in cui qualcuno, spesso l’assassino, si fa per passare per qualcun altro (due titoli su tutti: Se morisse mio marito e Dopo le esequie). L’espediente, già ampiamente presente anche nelle avventure di Sherlock Holmes (dove, però, a mascherarsi è perlopiù lo stesso detective: accade già nel primo racconto, Uno scandalo in Boemia), trova un suo paradossale ribaltamento negli scambi involontari di persona che innescano curiosi equivoci. Un esempio riuscito in tal senso è al centro di un racconto di Cornell Woolrich, Il pomeriggio di un truffatore: come si evince già dal titolo, è la storia di un truffatore di professione che, reduce da una sua malefatta, si ritrova suo malgrado scambiato addirittura per un ispettore di polizia chiamato a risolvere il misterioso caso di omicidio di una donna, trovata senza vita in una stanza d’albergo. Unico testimone del crimine, commesso nel cuore della notte, è il figlio della vittima, un bambino di sette anni. Il truffatore, dimostrando un fiuto da autentico detective, svelerà che le cose non stanno esattamente come sembrano. Il racconto ha la misura giusta, i personaggi sono azzeccati, la soluzione sorprendente quanto basta: e dimostra, una volta di più, che ogni ruolo, ogni maschera è anche il suo contrario.

Testi citati
AA.VV. – DENTRO LA MASCHERA (2018)
Cornell Woolrich – IL POMERIGGIO DI UN TRUFFATORE (1936)

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO