# 42 – Wladimir Kaminer – MILITÄRMUSIK (Guanda, 2003, pag. 162)
Il racconto autobiografico della giovinezza dell’Autore, trascorsa in Unione Sovietica, dove è nato nel 1967, a cinquant’anni esatti dalla Rivoluzione d’Ottobre, e dove ha vissuto fino alla fine dell’era Gorbaciov, per poi trasferirsi negli ultimi rimasugli di quella che fu la Germania Est, e divenire a tutti gli effetti tedesco. Tra avventure picaresche e lavori improvvisati, tra le assurdità della burocrazia di Regime e il lato comico di un Impero declinante, il giovane Wladimir si barcamena senza rinunciare a divertirsi.
Wladimir Kaminer, ovvero: come raccontare un intero mondo – e il suo crollo – con un tocco leggero e spavaldo, mai irrispettoso ma determinato, altresì, a nulla concedere alle pesantezze drammatiche dei “rievocatori” di professione, dei cantori del “si stava meglio quando si stava peggio.” La penna di Kaminer è intrisa d’ironia e di sincera comicità, una comicità che – per intenderci – non dà mai l’impressione di essere pervicacemente costruita, ma piuttosto spontanea, cristallina, venata di una curiosa ingenua saggezza.
Non che non si veda il lavoro di un vero scrittore nelle pagine di questo brillante “Militärmusik”, intendiamoci! Kaminer – che scrive in tedesco, lingua d’adozione, e non in russo, lingua madre – è un Autore accurato e consapevole, anche se non ne ha l’aria! Mantiene, anzi, una spontaneità e una immediatezza di fondo, conferitegli anche e soprattutto dal ritmo indiavolato, che non possono non conquistare il lettore, trascinato assieme al protagonista e ai suoi scombiccherati amici in una sarabanda di avventure che vanno dal tenero al grottesco, dal malinconico al vitalistico, dall’assurdo al sin troppo reale. Preda di un mondo sclerotizzato che gira a vuoto attorno a un’ideologia agonizzante, bloccato in una Guerra Fredda che vive di assurde contrapposizioni e di bracci di ferro mediatici, il giovane protagonista – nel quale si riconoscono in pieno i tratti, per nulla nascosti, dell’Autore stesso – deve cavarsela navigando a vista, tra un concerto clandestino in un appartamento di Mosca e una rappresentazione teatrale di Partito, tra la chiamata alle armi e la voglia di ribellismo e di libertà, con gli agenti del KGB – gli “uomini-betulla”, per via dei loro cappotti chiazzati di fango – ridotti a macchiette ma pur sempre temibili, pur sempre in grado – all’occorrenza – di rovinare vite e segnare intere esistenze.
La Mosca di “Militärmusik” è come un flipper dal quale le palline sembrano non veder l’ora di scappar via, verso altri lidi, verso altri mondi che non quello, tetro, della burocrazia sovietica, che – un leader dopo l’altro, una politica dopo l’altra – sembra stancamente perpetuarsi più come una disposizione dell’anima che come una dottrina economica o politica. Ed è anche con un tocco – appena un tocco – di nostalgia che Kaminer ci racconta di questo elefantiaco mondo scomparso. Ma, a ben vedere, la malinconia e la nostalgia ce le mettiamo noi lettori, perché il testo tutto sommato ne è piuttosto avaro: non ha bisogno di instillarle! È sufficiente ricordare quegli anni Ottanta che oggi ci paiono così briosi, così ricchi di possibilità che poi, perlopiù, non si sono realizzate, perché una lacrimuccia spunti da sola all’angolo dell’occhio, e ci faccia pensare non già che si stesse meglio quando si stava peggio, ma che il Tempo è passato, e adesso che possiamo guardare con distacco critico a tante cose che abbiamo vissuto – io personalmente da ragazzino, altri sicuramente già da adulti – insomma, adesso che la Storia è piombata su tutto con la sua coltre pesante e definitiva, beh, che in fondo non sia poi questo gran vantaggio la distanza dai fatti! Fosse almeno possibile riviverli, con la consapevolezza dell’oggi, di ciò che è stato dopo! Così non è, così non sarà mai. E allora, bene fa Kaminer a raccontarci la sua giovinezza sovietica senza tanti complimenti e senza pesantezze, senza troppa nostalgia e con poca ideologia, senza – insomma – infilare a tutti i costi un significato nelle cose. Le cose sono le cose, significano solo ciò che sono, una giovinezza è una giovinezza, il tempo perduto ci perseguiterà sempre, ma se sappiamo parlarne con un sorriso – dopotutto – non è meglio?
(Recensione scritta ascoltando i Modena City Ramblers, “Fischia il vento”)
PREGI:
scanzonato e divertentissimo, pura sarabanda di personaggi e di aneddoti, ma anche di atmosfere e di intrecci tra storia privata e Storia del mondo, è un libro che si legge d’un fiato, ed è impossibile non divertirsi seguendo quello scavezzacollo del protagonista e dei suoi amici nella Mosca della Perestrojka
DIFETTI:
forse fin troppo stringato, il libro offre divertimento e una blanda, salutare malinconia, ma allo stesso tempo lascia un po’ l’amaro in bocca per le tante cose – e i tanti destini – che finisce per tacere
CITAZIONE:
“A proposito di pelate, queste in Russia avevano sempre segnalato un rivolgimento sociale, una rivoluzione, e un leader su due ne aveva una. Si alternavano: pelata, niente pelata, poi di nuovo pelata, poi di nuovo niente. Ogni volta che una pelata andava al potere faceva un gran botto e tutto cambiava. Quando se ne andava, tutto tornava come prima. […] E così, quando Gorbaciov apparve per la prima volta in televisione, il popolo si rallegrò della boccia lucida che aveva in testa.” (pagg. 44-45)
GIUDIZIO SINTETICO: ***
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…