Questa DDR, tra “ostalgie” e… Quentin Tarantino!

KLEO di Hanno Hackfot, Richard Kropf, Bob Konrad ed Elena Senft (Germania, 2022 – 8 episodi di 48’)

Nel 1986, a pochi anni dalla caduta del Muro di Berlino, la giovane killer della Stasi Kleo Straub, pluridecorata e fedelissima alla linea del Partito, viene incarcerata con false accuse e con l’evidente beneplacito di quelle stesse Autorità che per anni l’hanno inviata a destra e a manca a uccidere persone. Proprio l’ultimo omicidio compiuto da Kleo, nel Big Eden, un locale di Berlino Ovest, potrebbe avere a che fare con la decisione di “rimuovere” la killer, incarcerandola a vita. Del delitto è stato testimone anche Sven Petzold, uno sgangherato poliziotto della squadra antitruffa di Berlino Ovest, che nonostante i reiterati inviti dei suoi capi a lasciare perdere, non rinuncia a indagare per conto suo sul caso, che lo ossessiona. Peccato che Petzold sia un poliziotto per modo di dire, vessato dai superiori e sbertucciato dalla compagna Jenny. Quando nel 1989 la DDR va a carte quarantotto, anche Kleo Straub viene rilasciata, e può ricostruire pian piano le meccaniche che hanno portato alla sua incarcerazione, dal tradimento di suo nonno (un alto ufficiale dei Servizi Segreti) su su fino al potentissimo ex-ministro Mielke e fino agli ex vertici dello Stato, Erich Honecker e consorte. La vendetta di Kleo sarà terribile.

So cosa state pensando: con una trama così, e con simili ingredienti, è impossibile fare un brutto serial. Eppure “Kleo”, ahimè, per certi aspetti è proprio un brutto serial. E non – intendiamoci – perché eviti di prendersi troppo sul serio e trasformi una terribile storia di assassinii e vendetta in commedia. Questo non è un male: non tutti sono capaci di realizzare un film perfetto (e drammatico) come “Le vite degli altri”! Non è sbagliato concedersi, soprattutto oggi, a distanza di tanti anni, una risata sulle sciagure di quello stato utopico, fallito molto presto, che fu la DDR; lo fa anche un film non geniale ma tutto sommato riuscito come “Goodbye Lenin”.

Non è il tono generale il problema di “Kleo”, tanto più che i primi quattro-cinque episodi reggono piuttosto bene e, nonostante i forti tocchi commediali (legati soprattutto alla figura del buffo poliziotto Sven Petzold, ben interpretato da un simpatico Dimitrij Schaad), riescono a dire (o, se non altro, ad accennare) qualcosa di non banale sui rapporti Est-Ovest (il serial, ricordiamolo, è ambientato nel 1990, poco dopo la caduta del Muro) e sulla vita nella DDR, che per il pubblico tedesco ha un po’ lo stesso esotismo che può avere per noi italiani la Repubblica di Salò (a colori politici invertiti, ovviamente). Kleo è un personaggio talmente stralunato e bizzarro da riuscire simpatico, ed è affiancata da una galleria di personaggi di contorno che vanno da quelli decisamente riusciti (l’ex-fidanzato Andi, il killer incazzoso Uwe, il colonnello Wieczorek) a quelli oggettivamente troppo sopra le righe (Thilo, il ragazzo perennemente “fatto” e appassionato di musica techno, che vive con Kleo, ma anche il capo di Petzold, o l’insopportabile agente cino-occidentale Min Sun).

Ma se tutto sommato la galleria di personaggi può anche divertire, e alcune situazioni sono oggettivamente ben raccontate, dove “Kleo” non funziona è nel fatto che non sa (o non vuole) scegliere tra una “ostalgie” ben raccontata dalle scenografie (quasi perfette) e da certi tocchi di stile (la rappresentazione teatrale, astratta e rigorosa, di buona parte dell’episodio 7, in cui viene raccontata l’iniziazione di Kleo come killer) e un tarantinismo un po’ d’accatto che si estrinseca soprattutto nelle tante scene di combattimento, comicheggianti e spesso eccessive, nonché in un modo di trattare i personaggi più come funzioni narrative che come persone vere e proprie, altro stilema tipico di Tarantino. Insomma, Kleo Straub non è altro che una versione tedesca della Sposa resa mitica da Uma Thurman, solo che anziché Bill e la sua squadraccia di bastardi deve regolare i conti con le più alte cariche dell’ex-Partito Socialista della DDR.

I tocchi contro-storici non disturbano particolarmente: poco importa che Mielke non sia finito, nella realtà, come viene raccontato nel serial, o che Margot Honecker non avesse i capelli viola e non nascondesse in Cile alcuna valigia rossa con documenti compromettenti (vero e proprio McGuffin che attraversa tutta la serie). Quello che a un certo punto viene a noia è il tono sopra le righe della recitazione (in particolare nel personaggio stralunato di Thilo) e l’incapacità del serial si decidersi tra la commedia, il dramma e la farsa.

C’è un po’ di tutto in questo minestrone in salsa sassone, e se per un po’ la pietanza va giù, da un certo momento in poi fa solo venir voglia di alzarsi da tavola e andare a digerire altrove. L’ultimo episodio ne è la miglior prova: slabbrato, pieno di assurdità (a partire dall’incipit, con Thilo che – in un trip? – vola via su un disco volante!), incostante, capace di buoni momenti (la resa dei conti con la killer Ramona) ma anche di cadute di tono spaventose (il confronto, davvero insipido, tra Kleo e sua madre), quest’episodio finale è l’emblema di tutto il serial, divertente ma scombiccherato, incapace di prendere alcunché sul serio, “tarantinizzato” nell’anima, iconoclasta ma non fino in fondo, grandguignolesco ma anche senza senso, bello visivamente ma di pochissima sostanza e, infatti, incapace di trovare un finale degno di questo nome (la fuga di Sven seminudo nei campi di grano sarebbe un finale?) e, soprattutto, deludente nell’arco narrativo complessivo: come se la vendetta di Kleo si fosse “mangiata”, a livello di trama e di evocazione, tutto quello che di più interessante si sarebbe potuto raccontare sull’esperienza incredibile della DDR e sulla riunificazione delle Germanie. E così, alla fine, si sorride ma si scuote anche la testa, e si chiude Netflix, al termine della visione, con l’impressione di una bellissima occasione sciupata.

GIUDIZIO SINTETICO:

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO