TEMPI FELICI – Ferenc Karinthy

# 247 – Ferenc Karinthy – TEMPI FELICI (Adelphi, 2016, ediz. orig. 1972, pagg. 120)

Budapest, 1944: l’Armata Rossa incombe sulla città, ancora difesa strenuamente dalle truppe filonaziste, le cosiddette “Croci Frecciate”. In città regnano il caos e la paura e, come se non bastasse, gli ebrei vengono rastrellati e uccisi sulla sponda del Danubio. In questo scenario da incubo, l’aitante trentenne ungherese di origini ebraiche Jószi Beregi non sembra passarsela così male: vive con la prostituta Nelli, che lo ospita a casa sua e, fattosi crescere un paio di vistosi baffoni, passa inosservato anche quando le autorità cittadine obbligano gli abitanti del palazzo a trasferirsi nelle cantine, per via dei frequenti bombardamenti. Sono mesi ardui, passati sottoterra, ma Beregi esercita il suo fascino e seduce dapprima la moglie di un ufficiale dell’esercito, la signora Ferenczy, e poi la di lei figlia, Adri, ragazzina impertinente e scatenata. Ma sarà l’incontro con la kapò delle Croci Frecciate Elza Mikucz a segnare – in positivo! – il destino di Beregi: pure lei sedotta dal fascino dell’uomo, la kapò non solo lo risparmia, pur avendolo riconosciuto come ebreo, ma addirittura lo ospita a casa sua. E dopotutto, ritrovata Nelli, per Beregi non può che esserci un lieto fine, anche se forse dovrà dire addio alle scappatelle con le donne…

Ferenc Karinthy è noto al grande pubblico principalmente per un romanzo, “Epepe”, geniale metafora della strisciante dittatura comunista instaurata in Ungheria nel secondo dopoguerra (lo trovate recensito su questo stesso sito). Figlio di Frigyes, altro grande scrittore ungherese, maestro d’ironia e di humour, e della psicanalista Aranka Böhm, Ferenc Karinthy è un Autore colto, che riversa nella sua letteratura non solo le sue vaste conoscenze linguistiche (era professore di letteratura e lingua italiana a Budapest) ma anche le esperienze di una vita che non ha conosciuto solo gli studi e la cultura: giocatore e allenatore di pallanuoto, concorrente in giochi a premi televisivi, traduttore e linguista, drammaturgo, Ferenc Karinthy ha svolto anche attività politica (era vicino alla nota cerchia di intellettuali Petőfi 56) e si è sempre rifiutato di lasciare l’Ungheria, anche negli anni più bui, in cui il Paese era sotto il tallone di Mosca.

Morto nel 1992, lasciando svariati romanzi e novelle nonché lavori teatrali, Karinthy è un Autore tutto da scoprire, sempre interessante e mai scontato, nel quale lo humour che caratterizzava l’opera del padre (sua la massima “Con lo humour non si scherza”) si fonde a uno stile volutamente disadorno, che fa risaltare gli eventi, e mette il lettore di fronte a snodi narrativi spesso inattesi e spiazzanti. Se “Epepe” riusciva nell’impresa di descrivere l’Odissea, ma anche la caduta agli Inferi, di un linguista immerso in un Paese di cui non capisce minimamente la lingua, e il romanzo era coerentemente privo di dialoghi, “Tempi felici” è, al contrario, il trionfo del dialogo brillante, dell’affabulazione guascona esercitata da un protagonista giovane e fortunato, strafottente ma non antipatico, né “antieroico” (ma certo neppure eroico, ça va sans dire).

Jószi Beregi ha le carte in regola per essere uno dei personaggi più improbabili mai partoriti: ebreo ungherese che sfugge col semplice espediente di farsi crescere i baffi ai terribili rastrellamenti di Budapest, che fecero tante vittime e che sono ricordati da un celebre monumento, le scarpe di metallo sulla sponda del Danubio, là dove i prigionieri venivano uccisi e gettati in acqua, Beregi non solo non sembra sentire sulla sua pelle tutto l’orrore della situazione che lo circonda, ma trova anche il tempo di fare il dongiovanni con tutte le donne che incontra, e si salva proprio grazie alla sua innata capacità seduttiva. Personaggio cui forse deve qualcosa il tutto sommato più dolente Guido Orefice di Roberto Benigni, protagonista del famoso “La vita è bella” (1997), Jószi Beregi è il perno di una novella fresca e frizzante, provocatoriamente declinata “al contrario”, come un negativo fotografico, in cui il bianco appare nero e, viceversa, il nero risulta bianco.

Come ha giustamente scritto Marion Van Renterghem, “Karinthy evoca tutto questo” (gli orrori di Budapest nell’inverno del ’44) “solo per allusioni, scegliendo di fondare l’eco tragica del racconto proprio sullo scarto tra l’orrore del contesto e la frivola spensieratezza del suo protagonista.” Preoccupato più dalla qualità del cibo e del tabacco che riesce a ottenere che dalla possibilità di finire sotto un bombardamento, o con un proiettile nella nuca sulla riva del Danubio, Beregi galleggia sulla guerra da disertore (alla sua età dovrebbe come minimo essere al fronte! E anche Karinthy, nel 1944, aveva disertato, il che stringe un po’ il possibile parallelo tra Autore e personaggio) e sembra non avere mai l’ombra di un dubbio. Pur nel macello che lo circonda, da lui quelli appena vissuti saranno sempre ricordati come “tempi felici”, tempi nei quali amava le donne e le donne lo riamavano, tempi finiti forse proprio con la fine della guerra, e le responsabilità della ricostruzione, che sembrano preoccuparlo più di quel caos magmatico e infernale in cui tutto sommato aveva vissuto tanto bene.

“Divertissement bizzarramente e deliziosamente inconsistente” – conclude Marion Van Renterghem – “messinscena poco realistica di un giovane ebreo vezzeggiato […] protetto e nutrito dalle donne”, “Tempi felici” è a mio avviso una novella gradevole e ben costruita, improbabile certo, ma volutamente paradossale, come ampia parte della produzione di Ferenc Karinthy: una rivincita contro l’orrore, forse, una risata per seppellire certi ricordi, e certe urla. Perché, teniamolo sempre presente, “con lo humour non si scherza.”                     

(Recensione scritta ascoltando Tones and I, “Dance Monkey”)

PREGI:
scrittura limpida e consapevole, personaggi ben delineati con pochi tratti di penna e grande facilità di lettura

DIFETTI:
se non si coglie l’aspetto paradossale del racconto, può dare fastidio l’atmosfera quasi da operetta nel bel mezzo della devastazione bellica e dell’Olocausto. Ovviamente un po’ esile la trama

CITAZIONE:
«Sì, mia piccola Nelli, è così» sospirò Beregi. «Il nostro tempo è finito. A quanto pare, tutto sarà diverso d’ora in poi: bisognerà darsi da fare… Così è la vita, è quello che ci aspetta: lavorare, lottare e affannarsi dalla mattina alla sera…» (pag. 108)

GIUDIZIO SINTETICO: **½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO