TRILOGIA SPORCA DELL’AVANA – Pedro Juan Gutiérrez

# 321 – Pedro Juan Gutiérrez – TRILOGIA SPORCA DELL’AVANA (Edizioni e/o, 2010, ediz. orig. 1998, pagg. 501)

Tre raccolte di racconti – “Ancorato alla terra di nessuno”, “Senza niente da fare” e “Sapore di me” – riunite dall’Autore sotto un unico, significativo titolo: una “trilogia sporca” che racconta gli anni ’90 de L’Avana, la torrida, sensuale e poverissima capitale di Cuba, isola-nazione piegata da decenni di un Comunismo assurdo, negazionista e menefreghista come tutti gli autoritarismi. E così, in questa città abbandonata a sé stessa, il protagonista e narratore, Pedro Juan, palese immagine dell’Autore stesso, giornalista disoccupato e ridotto peggio che in povertà, sopravvive tra inattese storie d’amore roride e sensuali ed espedienti per procurarsi da mangiare, in un condominio affacciato sul Malecón, il lungomare de L’Avana, nel quale non funzionano più neanche i bagni, e per farla occorre andare sul tetto e… lanciarla di sotto! Eppure, in questo Paese allo sbando, distrutto da una crisi economica devastante, in questa città piena di disoccupati, di prostitute, di ladri e di disperati, Gutiérrez riesce a trovare le tracce di un’umanità residua e insopprimibile, l’umanità degli ultimi, e a raccontare in modo straordinario la gioia oscura di aver toccato il fondo, di essere ridotti ai minimi termini, nonché l’ottimismo di una cultura – quella caraibica – che in qualche modo sembra risorgere sempre dalle proprie rovine.

Sessanta racconti suddivisi in tre raccolte che, a loro volta, compongono un unico, a suo modo compattissimo libro: è la “Trilogia sporca dell’Avana”, un caleidoscopio di miseria e comicità, di disperazione e di speranza, un ossimoro fatto libro, vista la capacità dell’Autore di raccontare anche le storie più terribili di povertà e di crisi senza mai piangersi addosso, anzi, strappando al lettore risate delle quali quasi ci si vergogna, visto il contesto.

Ma è proprio questa la magia della letteratura: grazie a un tono e a uno stile squisitamente caraibici, Gutiérrez ci regala un libro in cui il dramma sfonda costantemente la quarta parete e si trasforma, misteriosamente, in commedia, e la commedia, a sua volta, si tinge di tragedia, in un impasto inestricabile (e persino, in parte, inspiegabile) che solo la narrativa è in grado di realizzare. Non avrebbe senso fare una graduatoria di merito fra le tre raccolte, che si equivalgono e si somigliano, in un gioco costante di rimandi e di echi che il lettore coglie perfettamente, al punto che si è quasi tentati di considerare il libro una sorta di strano romanzo, più che una vasta raccolta di racconti. I singoli testi, infatti, sembrano i tanti capitoli di un’unica storia al centro della quale ci sono la miseria e la depressione, la crisi e la disoccupazione di una città, di un intero Paese.

Ma con questo, non vorrei dare l’impressione di un libro triste: certo, il sostrato di mestizia e di disperazione nella “Trilogia sporca dell’Avana” è innegabile, si può anzi dire che sia il nucleo centrale del libro, ma l’Autore è maestro nel condurre il gioco senza vittimismi, con uno sguardo lucido e disilluso, quasi giornalistico, attraversato da squarci di pura poesia, una poesia disadorna e sincera, bukowskiana, fatta di realtà e di vita. Come un dado a sessanta facce, una per ogni racconto, L’Avana è la grande protagonista di queste storie di reietti e di emarginati, lo sfondo mobile e cangiante sul quale tutto accade, il palcoscenico torrido e soleggiato, fitto di odori e sapori, grida e risate, brulicante di vita ma accarezzato dalla morte, vista con un fatalismo animistico che, se non le toglie nulla quanto a tragicità, ne svela tutta la quotidiana banalità, gettando una luce ancora più sinistra e ghignante sul fallimento della rivoluzione castrista e sulle conseguenze dell’incancrenirsi di un’ideologia ormai vuotata di ogni significato – se mai ne ha avuto uno.

Straordinario tanto per lo stile, fiammeggiante e vigoroso, quanto per le storie e i personaggi memorabili che contiene, la “Trilogia sporca dell’Avana” è una lettura che diverte e sorprende quasi ad ogni pagina, regalando momenti indimenticabili tanto di mestizia quanto di allegria. Si piange e si ride nella stessa pagina, si riflette quasi su ogni finale di racconto, e ci si accorge ben presto che Pedro Juan Gutiérrez non è affatto “il Bukowski cubano”, come certa critica lo ha troppo frettolosamente etichettato, bensì un Autore perfettamente a sé stante, che non ha alcun bisogno di paragoni o riferimenti ad altri scrittori per giustificare il proprio lavoro, che è uno scavo impietoso e lucidissimo in una situazione di crisi vista come condizione ormai immutabile, come sostrato uniforme che si finisce per considerare semplicemente “vita”.

E allora perché metterla giù troppo dura?, sembra chiedersi l’omonimo protagonista di tanti racconti. Perché non prenderla come viene, con un’allegria da naufragio e uno spirito garibaldino che, volutamente, sconfina nell’incoscienza? In fondo, questa Avana anarchica e crudele fatta di povertà e servizi che non funzionano, di condomini che diventano piccole isole autogestite di pura sopravvivenza e di locali notturni che si trasformano in rifugi per uomini e donne divenuti randagi, senza più casa né lavoro, è anche un contenitore di vitalità e di amore, di solidarietà e di reciproca comprensione. E Gutiérrez ha la capacità e il rigore morale per andare sempre fino in fondo, tanto nel dramma quanto nella commedia: il risultato è un libro impressionante, da leggere lasciandosi trasportare dal suo ritmo e lasciandosi colpire, dritto in faccia, dal suo profondo carico di vita e di verità.                             

(Recensione scritta ascoltando Álvaro Soler, “El mismo Sol”)

PREGI:
a tratti volgare e sboccato, altre volte delicato e capace di cogliere la più minuscola sfumatura di un carattere o di una situazione, è un libro composito e brulicante, che si ha la sensazione di non riuscire mai ad afferrare del tutto, perché fin troppo ricco e pieno di storie e di volti, di situazioni e di drammi. Ma, racconto dopo racconto, si rimane fatalmente stregati da uno stile onesto fino all’ultimo, e dalla penna di un grande scrittore

DIFETTI:
non per tutti i gusti certe descrizioni assai crude di rapporti sessuali o di miseria spinta all’estremo (con tanto di pacchetti di feci lanciati dal tetto del palazzo o di liti furiose per aggiudicarsi una gallina o almeno un paio di uova). Niente appare però gratuito o fine a sé stesso in questa mirabile raccolta di racconti: è scrittura-dinamite, letteratura praticata per non morire, come antidoto alla disperazione! Le si può perdonare qualche imperfezione? 

CITAZIONE:
“Tutto è irragionevole e insensato. Tutta la storia, tutta la vita, tutte le epoche, tutto è da sempre irragionevole e insensato. Noi stessi. Ognuno di noi è per natura irragionevole e insensato, solo che ci reprimiamo per tornare all’ovile come brave pecorelle, e ci mettiamo briglie e morso. Non bisogna mai fingersi ragionevoli e sensati, né condurre un’esistenza lineare e corretta. La vita è tutta un imprevisto.” (pagg. 66-67 – dal racconto “Addio alle buone maniere” nella raccolta “Ancorato alla terra di nessuno”)

GIUDIZIO SINTETICO: ***½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO