AMRITA – Banana Yoshimoto

# 65 – Banana Yoshimoto – AMRITA (Feltrinelli, 1999, ed. orig. 1994 – pag. 303)

Sakumi è una ragazza un po’ particolare: orfana di padre, convive con la madre (che frequenta un uomo molto più giovane), con un’amica della madre in crisi coniugale ed esistenziale, con una cugina studentessa universitaria e con un fratellino – Yoshio – che parla come un libro stampato e viaggia nei sogni delle persone. Inoltre, per non farsi mancare niente, Mayu – la sorella di Sakumi – è morta in un incidente d’auto, e la stessa Sakumi, dopo essere caduta da una scala e aver riportato un gravissimo trauma cranico, si innamora dell’ex-fidanzato della sorella morta…

Ebbene, anche se questo libro un po’ datato di Banana (al secolo Mahoko) Yoshimoto, scrittrice giapponese classe 1964 campionessa di vendite in tutto il mondo, può apparire intrigante e persino avvincente, non temete: in linea con il resto della produzione dell’Autrice, è altrettanto scombiccherato! Non ho mai amato particolarmente la signora Yoshimoto, che perlopiù mi pare sopravvalutata non tanto dalla critica quanto dal pubblico. Questo però si spiega facilmente: più un libro è facile, più ammicca a tematiche “New Age” e si esprime per pensierini tipo Bacio Perugina, e più un gran numero di lettori e lettrici se ne appassionerà, in tutto il mondo, perché in fondo ciò che si fa comprendere senza sforzo è apprezzato, soprattutto quando è spruzzato (o, per meglio dire, intriso) di spiritualismo, con un tocco di onirismo e una spolverata di magia.

Insomma, quella di Banana Yoshimoto, fin dagli anni ’90, è una ricetta semplice da cucinare e di sicuro effetto, seppur di poca sostanza: libri che si leggono quasi d’un fiato per trovarsi alla fine a chiedersi: “Quindi?” Intendiamoci: questo difetto, nella letteratura giapponese contemporanea, è piuttosto diffuso, e non ne è esente – a tratti – neppure il molto più bravo Murakami, che qui e là i suoi bravi passaggi a vuoto li ha avuti eccome. D’altronde, sempre per parlare chiaro, si può dire che “Amrita” sia un libro scritto male? Non direi. È piuttosto un libro scritto furbescamente, che finge soltanto di raccontare, e in realtà non fa che avvitarsi sempre sulla stessa questione, che di per sé non sarebbe neanche di poco conto: la preoccupazione di una ragazza di “rimanere sé stessa” nonostante gli inevitabili cambiamenti che la vita impone. Il libro, però, perso dietro a “momenti spirituali” fatti in serie e a “sogni lucidi” (così facciamo contento anche Jodorowsky) nei quali i personaggi si scambiano rivelazioni e profezie, sembra accontentarsi di somministrare al lettore un vago spiritualismo che non sa bene dove approdare.

Anche perché i personaggi, a partire da Yoshio, bambino di pochi anni che parla come Jean Paul Sartre all’apice del suo pensiero, fino alla stessa protagonista Sakumi, sono di rara inconsistenza, più adatti a un manga che a un romanzo.  Insomma, “Amrita” si lascia leggere ma non lascia nulla, se non quel vago senso di presa per i fondelli che – a mio avviso – si accompagna costantemente al nome di Banana Yoshimoto. Sia chiaro, non cerco l’utile in letteratura, né pretendo – per carità! – che un romanzo debba essere didascalico. E neppure mi permetto di criticare le intenzioni: evidentemente la colpa è mia, che non riesco ad allinearmi appieno alla spiritualità dell’Autrice. Però forse la timida pretesa che un romanzo sia un po’ più consistente di questo “Amrita”, ecco, questo direi che ci si può concedere di pensarlo, e scriverlo. Con la sua andatura neutra e le sue formulazioni brevi di facile saggezza, Banana Yoshimoto sembra davvero voler accontentare tutti senza porre reali problemi, e contentandosi di regalare un sorriso qui, una lacrimuccia là, qualche scena riuscita, qualche passaggio divertente. Il prezzo, però, è una ripetitività quasi mantrica e la neanche tanto sotterranea impressione di aver letto niente più che un po’ di elegante fuffa, ben impacchettata e presentata. Per la cronaca: Amrita è parola sanscrita

(Recensione scritta ascoltando gli Alphaville, “Big in Japan”)

PREGI:
letto oggi, il libro è un piacevole tuffo negli anni ’90: niente cellulari, niente internet, ma sale giochi e locali dove si va a bere e chiacchierare. E non manca di momenti abbastanza riusciti e di una certa fluidità di scrittura   

DIFETTI:
pieno di “massime” spiritualeggianti che non significano nulla, pervaso da una sorta di “animismo” tutto giapponese e narrativamente furbetto, il libro sembra elargire una grande saggezza ma alla fine non lascia quasi nulla

CITAZIONE:
“In generale, non esiste nessuno che sia al cento per cento sano. Sentivo che la mia solitudine era una parte del mio universo, e non una patologia da eliminare.” (pag. 59)

GIUDIZIO SINTETICO:

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi “classici” di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO