PIANO DI EVASIONE – Adolfo Bioy Casares

# 291 – Adolfo Bioy Casares – PIANO DI EVASIONE (Lucarini Editore, 1989, ediz. orig. 1969, pagg. 148)

Gennaio 1913: il tenente di vascello Henri Nevers viene inviato nella Guyana francese, presso il famigerato penitenziario della Cayenne dal quale la maggior parte dei detenuti non tornava e che ospitò, tra gli altri, il celeberrimo capitano Dreyfus, vittima di uno dei peggiori errori giudiziari della storia francese. Il compito di Nevers, che lascia in Francia la fidanzata Irene e che è apparentemente immischiato in un’oscura vicenda familiare che ha consigliato il suo momentaneo allontanamento, è affiancare il direttore della prigione, il dottor Castel, e forse persino prenderne il posto, cosa che Nevers non si augura. Il suo unico desiderio è risolvere la grana familiare (avrebbe sottratto dei documenti relativi all’attività di famiglia) e tornare dalla bella Irene; ma nelle isole-prigione della Guyana egli si scontrerà con una realtà profondamente inquietante, fatta di celle ridipinte d’azzurro e di rosso, a macchie, e di azioni apparentemente senza significato non solo da parte del direttore Castel, ma anche del suo assistente Bordenave, che si fa chiamare – guarda caso – proprio “Dreyfus”, nonché di alcuni prigionieri, che presto cadono preda di una strana malattia. Cosa succede in realtà nella prigione dell’Isola del Diavolo? Cosa sta combinando Castel? E perché il ruolo di Nevers è così cruciale? Qual è il piano che si sta dispiegando, incompreso, sotto i suoi occhi?

Certo che, raccontato così, “Piano di evasione” sembra un thriller, e in un certo senso lo è, ma lo stile molto particolare di Adolfo Bioy Casases, noto per essere stato uno stretto collaboratore di Borges e Autore anche da solo di alcune interessanti opere, tende a raggelare ogni cosa, facendo in modo che la materia apparentemente incandescente di questo libro datato 1969 finisca per rapprendersi e trasformarsi in qualcosa di indefinibile. Troppo lento e ondivago per funzionare come thriller, troppo indeciso per essere un giallo, troppo freddo e calcolato per essere un dramma, troppo serio per essere una commedia, troppo distaccato per far innamorare il lettore, “Piano di evasione” è un libro intelligente e scostante, preciso e fastidioso, acuto e snervante.

Non che la trama sia puerile o priva di un approdo degno di questo nome, anzi, se c’è qualcosa di salvabile senza se e senza ma all’interno di quest’opera è proprio la chiusa, lucida e, per certi aspetti, sconvolgente. Il problema è tutto il resto! La marcia di avvicinamento al finale, infatti, è costellata di azioni senza spiegazione, di scene volutamente enigmatiche, di decisioni inconsulte da parte di personaggi che non assumono mai un reale spessore – neanche il protagonista Henri Nevers, le cui gesta vengono raccontate, con sommo e cronachistico distacco, da uno zio cui egli invia le sue lettere. È il limite della scrittura di Bioy Casares e, in parte, anche di quella di Borges: una cerebralità a tratti fin troppo sbandierata, una volontà di non somigliare a nulla che, se da una parte non può che essere motivo di stima, dall’altra è anche un ostacolo a tratti insormontabile verso la conquista del lettore, che mentre si sente attratto dalla palese intelligenza dello scrittore, percepisce anche un senso di ripulsa per una scrittura volutamente ingannatoria e beffarda, dominata dal principio per il quale “potrei svelarti tutto, ma non lo faccio e ti lascio a girare in tondo come un idiota finché voglio, salvo poi svelarti ogni cosa facendoti apparire ancora più stupido di quanto tu non sia.”

Ora, non voglio sostenere che fosse questo l’intento di Bioy Casares (o di Borges, che comunque dal punto di vista squisitamente stilistico è nettamente superiore); però è l’impressione che il lettore fatalmente ne ricava, e quando nasce con queste premesse, un libro parte sempre in salita. Poi, nessuno lo nega, Bioy Casares recupera in parte il gap e chiude il racconto su un finale interessante e inatteso, ma purtroppo è un po’ tardi, la passione del lettore se l’è giocata con le centoventi pagine che precedono il blocco finale, pagine oscillanti e indecidibili, ambigue e giocate su pochi e malfunzionanti effetti: la reiterazione delle azioni, il girare a vuoto del povero Nevers, i criptici indizi rappresentati dalla strana colorazione delle celle ordinata da Castel e dal comportamento ambiguo dell’ex-detenuto “Dreyfus”, doppio voluto del più celebre, e vero, capitano Dreyfus, geminazione di un nome che allude alla doppiezza di tutta la situazione, leggibile in un modo ma anche in un altro, e forse in un altro ancora, e in un altro, e via così, in un caleidoscopio canicolare e scarsamente sensato di ipotesi e contro-ipotesi, in un enigma artificiale e cervellotico, risolto – è vero – dal finale, onesto e a suo modo sensato, ma non assolvibile nel suo complesso, perché la lettura procede faticosa e man mano che si va avanti cresce l’impressione che si andrà incontro a una presa per i fondelli.

Che poi, alla fine, non arriva, perché Bioy Casares è troppo intelligente e sensibile per assestare un calcolato tiro mancino al lettore; ma da qui a dire che “Piano di evasione” sia un gran libro, ce ne passa, purtroppo.                  

(Recensione scritta ascoltando Johann Sebastian Bach, “Toccata e fuga in Re minore – BWV 565” nell’esecuzione di Karl Richter)

PREGI:
indubbiamente intelligente e sottile nella scrittura (che mescola il racconto in terza persona delle disavventure del tenente Nevers agli stralci delle sue lettere inviate in Francia), il pregio del libro è un finale non banale, fantascientifico e allucinante, sorta di ribaltamento dell’idea stessa di “evasione” o di “fuga”. Per quanto non basti a riscattare una lettura faticosa e a tratti irritante, è comunque un evidente punto di merito

DIFETTI:
sorta di “Isola del dottor Moreau” (che non a caso viene apertamente citata nel testo) in chiave carceraria, è un libro cerebrale e stancante nel suo volontario girare a vuoto, e i personaggi, come spesso accade in libri del genere, non hanno alcuno reale spessore, sono pure funzioni del racconto

CITAZIONE:
“Viviamo su pietre e fango, tra pezzi di legno con foglie verdi, divorando frammenti dell’universo che ci include, tra vampe, tra fluidi, combinando risonanze, proteggendo il passato e l’avvenire, dolorosi, termici rituali, sognando che sogniamo, irritati, annusando, palpando, tra persone, in un insaziabile giardino che la nostra caduta abolirà.” (pag. 137)

GIUDIZIO SINTETICO:

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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1/2
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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO