LECTIO BREVIS / 140

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 140
NOBILI NATALI, DESTINI INFAUSTI
Lady, principesse, contesse e duchesse: non sempre il sangue blu è garanzia di privilegio

Anthony Wynne – L’ASSASSINIO DI LADY GREGOR (1931)

Di cosa parla: Il castello di proprietà della famiglia Duchlan, nelle Highlands scozzesi, è un maniero isolato e austero; e altrettanto austero sembra il suo proprietario, il Laird Hamish Gregor, esponente dell’antica nobiltà terriera del luogo. Un omicidio parrebbe quanto di più incongruo in questo contesto. Tanto più se la vittima è Lady Gregor, l’anziana sorella del Laird, assassinata nella sua stanza da letto, ermeticamente chiusa dall’interno. Unico indizio, alquanto bizzarro, è una squama di aringa trovata sul cadavere. Quando iniziano le indagini, nessuno può immaginare che altri delitti impossibili avranno luogo. Ma la saggezza del dottor Hailey, detective dilettante, saprà venire a capo del mistero…

Commento: La riscossa dei medici. Dopo che lo scozzese Sir Arthur Conan Doyle, che pure era medico, aveva fatto del dottor Watson la spalla, generosa e preziosa ma anche ingenua e poco perspicace, del suo amico Sherlock Holmes, un altro scozzese, Anthony Wynne, anche lui medico, fa di un dottore il protagonista dei suoi numerosi gialli. A differenza del suo più celebre collega, il dottor Thorndyke, invenzione di un altro medico convertitosi alla scrittura, l’inglese Richard Austin Freeman, il dottor Hailey è un detective molto meno scientifico e, al pari di molti investigatori dilettanti, punta sull’umanità e sulla razionalità per risolvere i casi in cui si imbatte. Allo stesso modo, i romanzi di Wynne si inseriscono in pieno nel solco della tradizione del giallo classico, con una netta predilezione per i delitti impossibili. Non fa eccezione questo libro, che ha dalla sua, oltre alla bontà della trovata (che però vanta numerose varianti nella storia del giallo e oggi appare senz’altro meno originale rispetto all’epoca di pubblicazione del romanzo), una caratterizzazione curata, anche se stereotipata e, alle nostre orecchie ormai allenate, piuttosto di maniera, dell’ambientazione gotica della storia, con gli immancabili espliciti riferimenti alle superstizioni locali. Tutto fila, comunque, e la soluzione, perfettamente razionale, non delude, anche se, qua e là, si deve fare i conti con alcuni momenti di stanca. Il libro è stato pubblicato anche con il titolo Morte al castello.

GIUDIZIO: **

Giorgio Scerbanenco – LE PRINCIPESSE DI ACAPULCO (1970)

Di cosa parla: Acapulco. L’omicidio della principessa Alessandra Rudescenko, avvenuto all’alba a bordo della piscina della villa di famiglia per mezzo di un colpo di pistola, sembra un caso semplice. Ad accusarsi del delitto è stata la principessa Nicoletta, madre della vittima: è stato – sostiene – solo un tragico incidente, visto che la sua intenzione era di sottrarre l’arma dalle mani della figlia, che era ubriaca dopo una notte di festa e bagordi. Eppure, non tutto sembra quadrare, almeno agli occhi di Ariberto Sartoris, un diplomatico italiano che, saputa la notizia, si è precipitato in Messico per scoprire la verità…

Commento: Pubblicato postumo, un anno dopo la morte dell’autore, è un romanzo breve che, nella vasta produzione di Scerbanenco, si accosta al giallo tradizionale più che al noir, genere nel quale lo scrittore (di padre ucraino e madre italiana) ha lasciato le testimonianze più interessanti e incisive. La via di Scerbanenco al poliziesco di indagine è, però, lontanissima dal magistero anglosassone. Per lo stile, innanzitutto, asciutto e quasi cronachistico (la vicenda è introdotta attraverso il punto di vista di una cronista tedesca), che però non solo manca dell’efficacia brutale delle sue opere più riuscite, ma fatica un po’ a conciliarsi con la storia di un omicidio che matura negli ambienti della famiglia Rudescenko, autoesiliatasi in Messico dopo la Rivoluzione Russa essendo “la famiglia più vicina in linea genealogica a quella degli zar”. A Scerbanenco interessa poco della trama in sé, elemento determinante nel giallo classico, mentre la sua attenzione è tutta sull’atmosfera e sui personaggi, a loro modo bizzarri se non inquietanti, anche se appena sbozzati (su tutti il marito della vittima, Heinrich Bergen, nazista scappato anche lui dall’Europa dopo la guerra in cerca di una nuova vita e di una dote). Così, se alla fine l’interesse per la scoperta del vero colpevole è assai modesto, la bravura dell’autore affiora nei ritratti umani e soprattutto nella cruda e spietata rappresentazione di una società in cui tutto sembra stonato, fuori posto o fuori tempo, dalle troppe principesse Rudescenko con la loro corte di parassiti a certi rappresentanti della legge, o corruttibili o impotenti. È il crollo di un microcosmo, che svela, nel momento stesso in cui cede, uno spappolamento morale ormai irrimediabile: c’è spazio solo per la preghiera finale di Ariberto Sartoris, anche lui eroe fuori tempo, sulla tomba della giovane Alessandra, sorta di elegiaco omaggio alla verità restituita, prima che anche lui debba tornarsene da dove è venuto, per riconsegnarsi a una vita modesta, “al suo piccolo ufficio, e anche, a un’appassionata signora mantovana”.  

GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

– Stupida d’una donna.
– …poetucolo… pitocco.
– Vescica con la gonna.
– Imbecille! Cretino! Omo da nulla!
– Povera grulla!
– Grullone! Buffone!
– Smencitissima vacca! Porcona, puttana, vigliacca!…

Noblesse oblige? A leggere questo scambio di battute tra Aldo e la contessa, non pare proprio. Aldo è Aldo Palazzeschi, romanziere e poeta tra i più eccentrici della nostra letteratura; la contessa è Eva Pizzardini Ba, a cui Aldo ha fatto visita. La poesia, tutta fatta del dialogo tra i due, è tra i testi più esilaranti non solo dello scrittore fiorentino, ma di tutta la produzione in versi nostrana. I due toccano gli argomenti più disparati: parlano di moda (“Codesta bella veste, contessa, | la vidi proprio iersera | precisa… a una borghese”), di droghe (l’oppio, la morfina), della noia e della monotonia di vivere (“Tutti i giorni si nasce… | e tutti i giorni si muore. | Quando si nasce c’è la levatrice, | quando si muore… c’è il dottore”) e soprattutto del fastidio di essere nobili (“– Essere vilipesa… prostituta! | – Insultata… battuta… venduta… | almeno per provare, | ma… come fare, noi…”). Fingendo di non ricordarsi di una loro relazione amorosa (“Mi avete amata voi? | Ed io vi ho amato, ohibò! […] – Doveva essere molto noioso | il vostro povero amore | se lo abbiamo troncato | e neppure ce ne ricordiamo”), Aldo e la contessa danno fondo a un repertorio di banalità da conversazione, prima di lasciarsi e salutarsi come all’inizio:

lasciatemi morire in pace… sono malata.
– Che sarà di voi?
– Di me?
– Buonanotte contessa.
– Buonanotte, carissimo Aldo.

È una duchessa (e non una contessa), invece, la destinataria di due madrigali di Umberto Saba. Ed è una duchessa di tutto rispetto: Anna d’Orléans, divenuta Anna d’Aosta dopo il matrimonio con Amedeo di Savoia-Aosta, membro della famiglia reale italiana. Nel primo testo, scritto a Trieste, il poeta la evoca giovane sposa, ancora ignara ma già in qualche modo presaga del suo destino:

Così giovane sei, così leggera
cammini incontro alla dubbia fortuna
che se non fossi una
principessa, saresti una ragazza.

Nel secondo madrigale, composto a Firenze, dove Saba si era rifugiato (le sue origini ebraiche lo costrinsero a lunghe tribolazioni durante gli anni della persecuzione), la ritrae una decina d’anni più tardi: siamo dopo l’8 settembre 1943, Anna è ormai vedova e il suo tragico destino si è compiuto, visto che, come tanti, viene deportata dai Tedeschi, padroni ancora di mezza Italia:

Penso le mani, le tue belle mani.
Sono passati per farle duemila
anni di storia di Francia. Le fila
del destino il destino rompe. Ostaggio
sei – dicono – al tedesco dalla pancia
deforme, dallo scheletro odioso.
Forse appena ti regge un mesto orgoglio.

Altro di te non so, né saper voglio.

Testi citati
Aldo Palazzeschi – VISITA ALLA CONTESSA EVA PIZZARDINI BA, in “L’incendiario” (1910)
Umberto Saba – DUE MADRIGALI PER LA DUCHESSA D’AOSTA (1934 e 1944)