LECTIO BREVIS / 141

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 141
CASI, COINCIDENZE, CASI PIÙ O MENO FORTUNATI
Capricci e bizzarrie della buona e della cattiva sorte

Francis Beeding – LE VITTIME DI NORWICH (1935)

Di cosa parla: Una vincita alla lotteria può cambiare la vita a chiunque. Figurarsi a Miss Veronica Haslett, governante di mezza età di una scuola di Norwich. Trattandosi della lotteria nazionale francese, per ritirare i soldi la donna deve recarsi a Parigi, ma prima di lasciare l’Inghilterra cede alle lusinghe di Mr Throgmorton, un agente di cambio che le propone alcuni investimenti. Miss Haslett non può sapere che la Francia non la vedrà mai, dato che verrà ammazzata prima della partenza. Quando il suo corpo sarà rinvenuto, pochi giorni dopo, in un sacco dentro un carro merci alla stazione di Brighton, gli investigatori avranno il loro daffare per capire come sia stato possibile che il premio della lotteria sia stato regolarmente ritirato a Parigi da una donna che sembrava proprio Miss Haslett…

Commento: Che gusto c’è se si sa già chi è l’assassino? L’obiezione che più facilmente si sente muovere alle inverted stories – il sottogenere del giallo deduttivo diventato familiare al grande pubblico grazie ai telefilm del tenente Colombo – sembra non tenere conto del fatto che, in letteratura (e forse non solo), le regole funzionano da stimolo all’inventiva. In questo libro, gli autori (due letterati inglesi: Francis Beeding è uno pseudonimo) rivelano al lettore la modalità di svolgimento e l’identità dei colpevoli del primo delitto per poi affidare al detective, l’ispettore Martin Green di Scotland Yard, il compito di ricostruire le falle nella progettazione e nell’esecuzione del crimine. Ma il romanzo sa regalare pagine appassionanti soprattutto grazie alla caratterizzazione dei personaggi (il libro è corredato di vere e proprie fotografie dei cinque più importanti) e al ricorso a un colpo di scena che, sebbene non del tutto imprevedibile, finisce per scardinare ulteriormente le regole del gioco, obbligando il lettore che rischiava di trascinarsi stancamente alla conclusione a rivedere il suo giudizio e a convincersi, una volta di più, che il giallo, ancor più nella sua anomala forma alla rovescia, è un gioco la cui regola principale consiste nel sapere che le regole non sono solo una gabbia, a patto che gli autori siano bravi: la tecnica è una risorsa fenomenale per continuare a divertirsi.     

GIUDIZIO: ***

Tommaso Landolfi – IN SOCIETÀ (1962)

Di cosa parla: C’è lo scrittore che si alza all’alba per lavorare a una poesia della quale ha in mente soltanto l’inizio e la fine. C’è un robot bellissimo che in un’università americana viene fatto oggetto delle attenzioni amorose di una studentessa. C’è un uomo con una gamba di legno che odia le donne e decide di fare innamorare di sé una donna solo per poterla umiliare. C’è Stefano, scrittore che si divide tra i suoi due figli in arrivo: quello che porta in grembo sua moglie e il poema al quale sta disperatamente lavorando. C’è il poeta Ernesto che per comporre i suoi testi procede estraendo a caso le parole e finisce per scrivere L’infinito di Leopardi…

Commento: In tredici racconti (ma l’ultimo, che dà il titolo alla raccolta, è composto a sua volta da più raccontini), Landolfi offre un saggio delle sue doti di scrittore-filosofo, specialità paradossi. Il tema che fa da filo rosso è il caso: l’autore ne indaga il ruolo nelle cose umane mettendo in scena vicende fondate, perlopiù, sul capovolgimento, sul rovesciamento, sull’inversione di senso. Il punto di vista privilegiato è quello degli scrittori e dei poeti, protagonisti di più di un racconto, come se attraverso lo sforzo della creazione artistica si cogliesse con più chiarezza l’ambiguità che sta al fondo dell’esistenza stessa, in bilico perenne tra scelta e destino, tra l’illusione del controllo e il disinganno del fallimento. Il pessimismo di Landolfi non lascia spazio a equivoci, come è chiaro già dal finale del primo racconto, La mattinata dello scrittore, e come, in modo ancor più lampante, emerge da testi come La dea cieca o veggente (la storia del poeta Ernesto) che un finale vero e proprio non lo ha, per ammissione dello stesso autore. Ma amare sono anche le considerazioni sulla vita coniugale, al centro, ad esempio, di Due veglie, o sulla giustizia, in Giustizia punitiva: qui la ripetizione di una medesima scena assume significati addirittura opposti, in un rovesciamento di senso che si fa espressione non tanto di relativismo quanto di sfiducia nel tentativo stesso di trovare un senso. Se, come osserva alla conclusione della sua vicenda l’uomo con la gamba di legno protagonista de L’eterna provincia, non è opportuno domandare come è finita perché “tutto finisce male”, non resta allora, come suggeriscono le brevi storie che compongono l’ultimo racconto, che riconoscere l’arbitrario potere del caso sulle nostre vite, e diffidare del linguaggio quando pretende di spiegare, quando vorrebbe intendersi come creazione artistica, quando si arroga il diritto di concludere.      

GIUDIZIO: ***

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Il caso è solo ferrea e crudele necessità o può essere anche felice realizzazione dei nostri desideri più inconfessabili? È difficile accettare che qualcosa di indefinibile e di così vago possa avere un potere sulle nostre vite, abolendo lo spazio della decisione, della libera scelta, dell’autodeterminazione. Ancora più difficile rassegnarsi all’idea che il governo del caso si eserciti non solo su di noi ma sulle persone che ci sono care; per questo Juan Rodolfo Wilcock nel suo “Epitalamio” si sente di rivolgere una preghiera al caso:

«Possa tutto mutare e non mutarci;
che i nostri cambiamenti siano identici,
le nostre morti simultanee».

Dev’essere un dolore intollerabile
sentir cessare la felicità.

Da un’angolatura diversa, ma con una prospettiva in fondo non così lontana, Wisława Szymborska ha celebrato il potere del caso, enumerando le infinite possibilità che ogni circostanza presenta e concludendo su una nota di stupore per come, a volte, vanno le cose: 

Poteva accadere.
Doveva accadere. È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.

Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.

Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.

In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.

Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

Testi citati
J. Rodolfo Wilcock – PREGHIERA AL CASO, in “Luoghi comuni” (1961)
Wisława Szymborska – OGNI CASO, in “Ogni caso” – traduzione di Pietro Marchesani (1972)