# 26 – Murakami Haruki – KAFKA SULLA SPIAGGIA (Einaudi, 2002, pag. 514)
I viaggi paralleli, da Tokyo a Takamatsu, di un quindicenne scappato di casa e di un anziano divenuto analfabeta in seguito a un misterioso incidente occorsogli in gioventù si dipanano fra strani incontri, bizzarrie della natura, sogni, timori, pietre magiche, vecchie canzoni e quadri che racchiudono segreti dei quali forse è impossibile parlare.
Difficile riassumere un libro come “Kafka sulla spiaggia”, visionario e apparentemente privo di nessi logici, tutto costruito su una fittissima rete di analogie, di rimandi, di suggestioni. D’altronde, la scrittura di Murakami è proprio questa: piana e lineare nello stile, eclettica e visionaria nei contenuti. Partendo da basi solidamente realistiche (un ragazzo che scappa di casa, un anziano che si mantiene col sussidio pubblico e con la ricerca, retribuita, dei gatti scomparsi nel suo quartiere), l’Autore – come di consueto – fa scivolare progressivamente la storia nei contorni di un sogno, un sogno forse condiviso dai due protagonisti, o forse il sogno di una terza persona in punto di morte, che unisce questi due destini così diversi, così opposti. L’opposizione tra mondi diversi è, del resto, il grande tema di tutta la letteratura di Murakami, e “Kafka sulla spiaggia” non fa eccezione: ancora una volta, due vicende convergono, e sono vicende – ciascuna a suo modo – incentrate sulla necessità di “cambiare mondo”, di trovare la propria (giusta) dimensione.
Quello che caratterizza Murakami è la capacità di utilizzare i dati del reale per costruire storie fantasmagoriche, come se la realtà, sotto la sua penna, si trasfigurasse e diventasse qualcosa d’altro, qualcosa di diverso, non più “solo” la realtà ma anche un’immagine della realtà, una gigantesca metafora che non si scioglie mai. Mi viene in mente una frase di Karl Kraus, che diceva: “Un aforisma non può mai essere tutta la verità: o è una mezza verità oppure è una verità e mezza.” Ecco, allo stesso modo un libro di Murakami non può mai essere solo il mondo (e la storia) che racconta: esso è sempre, allo stesso tempo, qualcosa di più e qualcosa di meno. Scatenato e a tratti persino ipertrofico, “Kafka sulla spiaggia” costringe il lettore ad abbandonarsi ad un’inventiva che ha del miracoloso per come riesce a mischiare il racconto di un pranzo a base di anguilla con gatti che parlano e cani che minacciano, sanguisughe che piovono dal cielo e soldati morti che si aggirano ancora nei boschi dello Shikoku. Gli ingredienti sono tantissimi (anche più che in altri libri di Murakami), eppure incredibilmente la pietanza ne esce bene, ogni sapore al posto giusto, tutti impastati e avvinghiati l’uno all’altro, fondamentalmente indistinguibili eppure non privi di un fascino misterioso, analogico più che logico, non tanto inconscio quanto piuttosto… preconscio! Un po’ come se il libro raccontasse uno di quei complicatissimi sogni che a volte si fanno pochi attimi prima del risveglio mattutino, e che poi lasciano nella testa una serie di impressioni allo stesso tempo nitide e confuse, percepibili ma non raccontabili.
A una scrittura (e a un’inventiva) di questo tipo non ci si può che abbandonare fideisticamente, un po’ come il rozzo camionista Hoshino è costretto a fare seguendo il vecchio Nakata, ingenuo e squinternato portatore di una saggezza che ha un che di arcaico, primigenio, e di un modo di vivere che conquista con la sua immediatezza, con la sua totale mancanza di malizia e di calcolo. Sempre, in Murakami, se è possibile ravvisare uno scontro tra “buoni” e “cattivi”, i primi si identificano con i portatori di uno sguardo semplice, ingenuo sul mondo, mentre i secondi sono i portatori delle ideologie, dei concetti aprioristici, come – in “Kafka sulla spiaggia” – le due stolide femministe contro le quali si scaglia la pacata saggezza del signor Ōshima, il custode della biblioteca. Lettura gradevole e a tratti avvincente, “Kafka sulla spiaggia” non è forse il Murakami con cui consiglierei a un neofita di iniziare la scoperta di questo prolificissimo Autore: meglio forse dei testi un po’ meno “densi”, un po’ meno onirici e inesplicati. Ma del resto, Murakami è Murakami: prendere o lasciare!
(Recensione scritta ascoltando Ludwig van Beethoven, “Sonata per pianoforte n. 14 – Al chiaro di Luna”)
PREGI:
una volta che si è iniziato a leggere, è sempre difficile smettere, a dispetto della apparente mancanza di senso di molti passaggi. La magia di Murakami è proprio questa: avvincere con l’assurdo, creando attorno al lettore un bozzolo di sospensione dell’incredulità
DIFETTI:
se i temi murakamiani ci sono tutti, va anche ammesso che in qualche caso essi sembrano sconfinare nel “luogo comune murakamiano”: il romanzo, a furia di voler contenere tutto, pare a tratti fin troppo “pieno” di rimandi, di personaggi, di situazioni…
CITAZIONE:
“Ogni oggetto è immerso in un movimento costante. La terra, il tempo, le idee, l’amore, la vita, la fede, la giustizia, il male, tutto possiede un’esistenza liquida e transeunte. Niente si ferma nello stesso posto e con la stessa forma in eterno. Lo stesso universo non è altro che una gigantesca ditta di spedizioni.” (pag. 312)
GIUDIZIO SINTETICO: ***
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…