# 330 – Eraldo Baldini – BAMBINE (Sperling & Kupfer, 2002, ediz. orig. 1995, pagg. 165)
Siamo a Ravenna, nel 1995: il trentacinquenne cronista di provincia Carlo Bertelli si ritrova a scrivere articoli sulla scomparsa di tre bambine, probabilmente ad opera di un maniaco. In seguito alla tragica morte del suo amico Luca in un incidente di pesca, Carlo si prende cura di Chiara, sua figlia, che guarda caso ha proprio l’età giusta per essere puntata dal maniaco. Per questo, Carlo si sente più coinvolto di altri nella vicenda, e quando scopre che effettivamente c’è qualcuno che ronza attorno alla piccola, si scatena e si mette a indagare per conto suo, lui che non è mai stato un giornalista d’assalto, anzi, ha sempre preferito la tranquilla vita di provincia, tra amici, ragazze e bevute, piuttosto che l’esistenza avventurosa dell’inviato o del giornalista investigativo. Ma nella soleggiata Ravenna d’inizio estate, Carlo si farà onore anche come detective, oltre che come seduttore e come sostituto della figura paterna.
“Bambine”, purché non lo si consideri un giallo, è un libro più che accettabile, ed Eraldo Baldini, purché non lo si consideri un giallista, è uno scrittore più che decente, migliore di altri più famosi e strombazzati.
Quindi, diciamo subito che il libro si può ampiamente leggere e, sempre ammesso che non lo si acquisti col desiderio di una trama gialla mozzafiato, è una lettura rapida e piacevole. Nonostante l’assunto (le bambine scomparse, il maniaco pedofilo), infatti, Baldini non costruisce un giallo, bensì un piccolo romanzo lirico su Ravenna e sulla giovinezza perduta, sugli amici di un tempo e sulla leggerezza della vita prima delle responsabilità. Su questi temi, l’Autore dice qualcosa di non banale; nulla di rivoluzionario, intendiamoci, nulla di memorabile, ma perlomeno la sua scrittura sa indugiare su dettagli e sfumature che si colorano di verità, che assumono corpo e sostanza, e non sono i vuoti espedienti di un giallista da due soldi. Sembra anzi che Baldini voglia prima di tutto raccontare una città e un ambiente, tratteggiare un’atmosfera, costruendo in questo senso più un noir che un giallo, sempre con ambizioni ridotte, senza montarsi la testa e senza convincersi di aver scritto il capolavoro di fine millennio.
E in questo il libro riesce bene: fa venir voglia di visitare Ravenna, di vedere coi propri occhi quanto raccontato (o, meglio, evocato) dalla penna dello scrittore. Il giallo che fa da sfondo è decisamente meno interessante, sia nelle premesse che nello sviluppo e, soprattutto, nel finale, che semplicemente non c’è: all’Autore non interessa scavare nella figura del maniaco, né proporre un investigatore di grido su cui costruire un thriller da ombrellone fatto di aggressioni, inseguimenti e colpi di scena; gli importa solo la figura dimessa del protagonista, con il suo carico di malinconie e di rimpianti, con il suo unico, vero appiglio (Chiara, la bambina del suo amico Luca, rimasta orfana di padre) cui le conquiste femminili fanno solo da corollario, presenze garbate e fantasmatiche, che ci sono e non si sono, figure da un unico incontro (Jennifer, la turista americana), recuperabili solo per telefono (Netti, che studia in Germania) o puramente platoniche (Arianna, la psicologa). E ancora, figure del passato (Silvia, la ex-fidanzata con cui Carlo ogni tanto si concede una poco passionale ma consolatoria rentrée) o spie di un presente divenuto arido (Betta, la ragazza di facili costumi che, proprio nel finale, si decide a parlare al protagonista).
Figure appena abbozzate eppure, in qualche modo, efficaci, figure che non possono avere più spazio da una parte per la brevità del romanzo, e dall’altra perché, altrimenti, diventerebbero importanti, si imporrebbero all’attenzione del lettore e del protagonista, che appare condannato ad amare davvero solo Chiara, questa bambina senza padre che rappresenta l’unico vero sbocco sul futuro di un libro altrimenti melanconico e bloccato, come bloccata e priva di suspence appare l’indagine sui delitti del maniaco.
A Baldini interessa altro, i rapimenti e i delitti sono solo lo sfondo tetro sul quale si dipana un piccolo intreccio di vicende umane non nuove né inedite, perché in fondo “Bambine” non è che il racconto del passaggio, definitivo, dall’età dell’incoscienza a quella della responsabilità, ma tutto sommato raccontate con garbo da una penna piacevole, della quale varrà la pena scoprire qualche altra opera.
(Recensione scritta ascoltando Ólafur Arnalds, “Improvisations”)
Le opere riportate nel testo sono, dall’alto in basso, di Fausto Tormen e di Moira Lena Tassi
PREGI:
semplice e breve, è un romanzo gradevole nelle atmosfere e nei toni, nonché nelle ambientazioni (le pinete litoranee di Ravenna, la città stessa, con una piccola puntata a Ferrara), con un protagonista poco inciso ma dall’Io narrante, tutto sommato, efficace e senza fronzoli
DIFETTI:
la trama gialla evapora senza quasi lasciare tracce, anche se è evidente che all’Autore poco importava del colpevole e del lato thrilling della vicenda; appena sbozzati molti personaggi, che però, stranamente, hanno la loro efficacia. Forse, però, qualche presenza (femminile) in meno avrebbe aiutato a rendere più profonde le altre…
CITAZIONE:
“Jennifer era solo un bel sogno. Un’ora prima era con me, ma adesso era già il passato. Anche lei nel novero dei ricordi, anche lei fra coloro che non sarebbero tornati, anche lei lontana ormai da una realtà che nella notte silenziosa, davanti a quella casa per vegliare sul sonno di Chiara, io sentivo densa di ombre minacciose.” (pag. 93)
GIUDIZIO SINTETICO: **
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…