LECTIO BREVIS / 93

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 93
USCITA DI SCENA
Attori e attrici all’atto finale

Ellery Queen – L’ULTIMO CASO DI DRURY LANE (1933)

Di cosa parla: Quando nell’ufficio dell’investigatore privato Thumm, ex ispettore di polizia, si presenta uno strano cliente dall’aspetto appariscente, che gli chiede di custodire una busta contenente “un segreto che vale milioni”, si capisce che qualcosa di altrettanto bizzarro è alle viste. Anche perché il cliente, prima di andarsene, precisa che contatterà il detective il 20 di ogni mese e chiarisce che, solo se questo non accadrà, Thumm potrà aprire la busta, ma alla presenza dell’ex attore e celebre investigatore Drury Lane. È così che, quando il 20 del mese seguente, il misterioso visitatore non si fa vivo, l’apertura della busta si rende necessaria, ma il foglio trovato riporta un curioso messaggio che si rivela collegato a una serie di furti di rare edizioni di opere di Shakespeare avvenute nel Museo Britannico…

Commento: Nel giro di due anni, tra il 1932 e il 1933, i cugini Dannay e Lee pubblicarono ben otto romanzi. Di questi, la metà fu firmata con lo pseudonimo del loro personaggio principale, Ellery Queen; l’altra metà con un altro pseudonimo, Barnaby Ross, che poi abbandonarono. Questi ultimi libri sono incentrati sulla figura di Drury Lane, ex attore shakespeariano affetto da sordità convertitosi all’investigazione. Dei quattro romanzi, l’ultimo, che in Italia è conosciuto anche con il titolo (non filologico) Cala la tela, è particolarmente interessante, perché lascia intravedere la volontà degli autori di tenere insieme le due componenti costitutive della narrativa gialla: l’attenzione agli sviluppi della trama, con un interesse tutto particolare per misteri ed enigmi, e la cura per la rappresentazione psicologica dei personaggi. E se la prima parte del romanzo privilegia l’azione (anche se la mancanza di crimini di un certo rilievo rischia di esasperare la pazienza del lettore), la seconda, la più appassionante, scioglie i nodi irrisolti e al tempo stesso propone una delle più belle uscite di scena di un detective (curiose le affinità con il più tardo, e meno riuscito, Sipario: l’ultima avventura di Poirot di Agatha Christie, in cui pure ricorrono, tra l’altro, riferimenti shakespeariani).

GIUDIZIO: ***

Georges Simenon – LE PERSIANE VERDI (1950)

Di cosa parla: Émile Maugin è un attore all’apice della fama, ma, alla soglia dei sessant’anni, scopre in seguito a una visita medica di avere il cuore di un settantacinquenne. Dovrebbe cambiare vita, limitare gli eccessi. Ma come fare per un uomo come lui che, nonostante il matrimonio con Alice, molto più giovane di lui, e la figlia, una bambina di cui in realtà non è il padre, non ha mai saputo rinunciare alle donne? E che dire del suo vizio per il vino? E poi c’è il suo lavoro, dai ritmi troppo frenetici…

Commento: Excusatio non petita?Anche Simenon talvolta sentì l’esigenza di spiegare. Lo fece, nel caso di questo romanzo, premettendo un’avvertenza, giusto una paginetta come nel suo stile, nella quale, su suggerimento – dice – di amici che avevano letto il libro in bozze, affermava che Maugin non era da identificare con “il tale o talaltro attore famoso”. Pur non negando di aver preso in prestito qua e là dall’uno o dall’altro grande attore “certi tratti o certi tic”, l’autore ci tiene a ribadire che “tutto il resto è pura finzione” e conclude di aver fatto queste precisazioni “per amor di verità”. Si tratta solo di una (banale) rivendicazione di autonomia dell’arte? Forse, ma quel che non si può far finta di ignorare è che, in realtà, nella figura del protagonista, più che il profilo di questo o quell’attore, non è difficile riconoscere i lineamenti dello stesso Simenon, di cui anzi Maugin è per molti versi un vero alter ego. Un uomo che, al pari del suo personaggio, dietro la maschera più che rispettabile dello scrittore affermato, non si è certo risparmiato nella vita privata, nella quale certo non mancarono le amanti (infinite), la passione per l’alcool (discreta) e l’attività lavorativa (intensissima). Un uomo, a ben vedere, condizionato più che dai suoi vizi dalla paura di morire solo come un cane, e per questo disposto a stravolgere la sua vita, solo per scoprire che morire è l’unico eccesso inevitabile.

GIUDIZIO: ***

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

La facile metafora (alla quale non ci siamo sottratti) della vita come recita e della morte come uscita di scena o discesa del sipario è, come tutte le immagini, tanto più ingannevole quanto più efficace. Per uscire dall’ambito figurato e tornare nella vita reale, invochiamo l’aiuto della poesia. Sottogenere: epitaffio. Ne prendiamo due, scritti a distanza di più di milleottocento anni, ma accomunati dall’espediente retorico più tipico del genere: a parlare in prima persona è il defunto stesso. Il primo è quello di Latino, un mimo, ossia un attore comico, vissuto nel I secolo e amato nientemeno che dall’imperatore Domiziano, come ci tiene a ribadire l’epitaffio di Marziale:

“Io sono il celebre Latino, il dolce onore del palcoscenico,
l’attrazione dei giochi, il tuo applauso e la tua gioia,
io che sarei stato capace di far venire Catone
ai miei spettacoli, di far divertire i Curii, i seri Fabrizii.
Ma la mia vita non ha preso nulla dal mio teatro,
sono diventato maestro della scena solo per la mia arte:
scostumato, non sarei potuto piacere al mio padrone:
lui, un vero dio, legge la profondità del mio animo.
Voi chiamatemi pure ‘parassita di Apollo laureato’,
ma Roma sappia che sono il servo del suo Giove.”

Attori affermati come Latino (i mimi non erano ben visti a Roma dalla cultura alta, ma l’approvazione dell’imperatore era più che sufficiente a riscattarli), ma anche attrici mancate, come Flossie Cabanis, una delle voci dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, la quale, solo dopo la morte, può invocare una qualche forma di risarcimento per una carriera mai sbocciata e per un’esistenza anonima dopo i sogni bruciati della gioventù:

“Dal teatrino d’opera di Bindle nel villaggio
a Broadway il passo è lungo.
Ma io provai a farlo, la mia ambizione in fiamme
quando a sedici anni
vidi ‘East Lynne’ recitata qui in paese
da Ralph Barrett, il nascente
attore romantico, che mi prese l’anima.
È vero, dovetti tornarmene a casa, un completo insuccesso,
quando Ralph scomparve a New York,
lasciandomi sola in quella città –
ma la vita spezzò anche lui.
In questo gran luogo di silenzio
non ci sono spiriti fratelli.
Come vorrei che la Duse si ergesse nel pathos
di questi campi tranquilli
e leggesse queste parole.”

Lee Masters
Edgar Lee Masters

TESTI CITATI
Marziale – EPIGRAMMI IX 28 – traduzione di Simone Beta (94 d.C.) Edgar Lee Masters – FLOSSIE CABANIS, in “Antologia di Spoon River” – traduzione di Letizia Ciotti Miller (1915)