# 215 – Werner Herzog – IL CREPUSCOLO DEL MONDO (Feltrinelli, 2022, pagg. 114)
Il grande regista tedesco Werner Herzog, Autore di capolavori come “Aguirre, furore di Dio” e “Fitzcarraldo”, ricorda che nel 1997, trovandosi in Giappone per curare la messa in scena di un’opera del compositore Shigeaki Saegusa, chiese e ottenne di incontrare Hiroo Onoda, uno degli ultimi “soldati fantasma” giapponesi, quelle unità isolate dell’esercito nipponico che furono “dimenticate” su sperdute isolette del Pacifico e che continuarono a combattere la Seconda Guerra Mondiale per decenni dopo la sua fine. Un po’ come per certe tribù amazzoniche o africane la Preistoria non è ancora terminata, non possedendo questi popoli neppure un abbozzo di cultura scritta e non avendo praticamente alcun contatto con altri uomini, allo stesso modo per gli zan-ryū Nippon hei (letteralmente “soldati giapponesi lasciati indietro”) la guerra non è mai finita, ed essi hanno continuato vanamente a combatterla, nel caso di Onoda fino al 1974, sospesi in una realtà tutta loro, fatta di solitudine e ossessione.
Arresosi, alla fine, al suo vecchio comandante, recatosi appositamente sull’isola di Lubang, Onoda è diventato una specie di eroe in Patria, ed Herzog ne racconta la storia con affetto e partecipazione, ma senza celarne le ambiguità e le bizzarrie, interessato, come al solito, a capire qualcosa del mondo e degli uomini, del Tempo e della Vita…
Non è male, l’Herzog scrittore! Me ne ero già reso conto leggendo, tanti anni fa, il bellissimo “La conquista dell’inutile”, diario di lavorazione di quel mastodontico, folle film che è “Fitzcarraldo”, nonché un paio di sue sceneggiature che, com’è noto a chi bazzica il mondo del cinema tedesco, non somigliano affatto a sceneggiature classiche, essendo scritte, al contrario, in stile narrativo, come dei racconti. Originalità e bizzarrie di un Autore assoluto, certo, uno di quegli Autori che non scendono mai a compromessi, che girano sempre e solo le cose che hanno voglia di girare, che non accettano diktat e imposizioni produttive e che anzi trasformano spesso le loro produzioni in avventure ai limiti dell’impossibile (è proprio il caso di “Fitzcarraldo”, ma anche di “Aguirre” e di vari altri titoli).
Tenente Hiroo Onoda Werner Herzog
Ma, oltre alla bizzarria, in Herzog c’è, da sempre, uno sguardo sul mondo che è suo e solo suo, e del quale è sempre entusiasmante essere partecipi, grazie a un film o, in questo caso, a un libro (pubblicato peraltro nella stessa collana di Feltrinelli in cui sono pubblicato io: chi l’avrebbe mai detto tanti anni fa quando, al Liceo, guardavo i film di Herzog a bocca aperta, ammirato e un po’ sconsolato?). “Il crepuscolo del mondo” è il racconto di una guerra impossibile, di un’illusione pervicacemente difesa, per ventinove anni, come motivo di vita. Possibile che Onoda non avesse capito che la guerra era finita? Eppure sull’isola di Lubang, dov’egli era di stanza, furono gettati volantini scritti in giapponese che lo invitavano a presentarsi al comando dell’esercito filippino, in quanto il Giappone si era arreso e il conflitto era terminato. Onoda li prese per un tranello, un tentativo degli americani di farlo desistere dalla sua confuciana lotta per la Patria. E anni dopo, quando sull’isola cominciarono a farsi vedere turisti e persone in borghese, può davvero aver pensato questo soldato dimenticato che fossero “invasori”? Evidentemente sì, visto che alcuni li ha anche uccisi, tendendo loro delle imboscate nella giungla, che ormai conosceva a menadito e che gli era entrata sottopelle.
Come nei celebri film amazzonici di Herzog, anche in questo libro la giungla è un modo di vivere, è un ritmo della natura che entra nel corpo degli uomini e li cambia, li adatta a sé e li fa prigionieri, li avviluppa in un tempo diverso, slittato, che non è più il tempo di prima, non è più il tempo consueto della vita. L’incredibile parabola solitaria di questo soldato illuso di stare svolgendo un dovere imprescindibile, mentre tutto il resto del mondo non pensava più né a lui né alla guerra, è quanto di più herzoghiano possa esserci, e ricorda un lontano film del grande regista, quel “Segni di vita” (1968) il cui protagonista, il soldato Stroszek, abbandonato assieme a due commilitoni in uno sperduto forte greco, col solo compito di sorvegliare un deposito di munizioni, si mette in testa di “far tremare la terra, così sarebbe uscito ciò che si nascondeva nelle case e ciò che si celava al di là delle case. Stroszek voleva finalmente far uscire tutto.” Allo stesso modo, il tenente Hiroo Onoda ha combattuto per spostare più in là il tramonto dei suoi stessi ideali, l’inevitabile crepuscolo che sempre giunge a velare le ambizioni umane, e ha vissuto trent’anni a Lubang sognando la guerra, e realizzando quel sogno, o essendo egli stesso il sogno di qualcuno – di Herzog, forse? – costretto a vivere e rivivere giorni tutti uguali, in una realtà che non offriva “nessuna prova che quando era sveglio fosse sveglio, e nessuna prova che quando sognava stesse sognando.”
(Recensione scritta ascoltando i Popol Vuh, “Abschied”)
PREGI:
sincero, diretto e mai banale, il modo di scrivere di Werner Herzog non può non conquistare, per la sua asciuttezza e la sua impronta visiva (e visionaria). Stile, dimensioni e struttura del libro, inoltre, concorrono a farne una lettura veloce e gustosa
DIFETTI:
un po’ scarno, coi suoi rapidi capitoletti che nel breve volgere di un centinaio di pagine condensano trent’anni di guerra solitaria nella giungla delle Filippine, è un libro che, come una pietanza molto ricercata servita in porzioni minuscole, non toglie completamente l’appetito, ma lascia la voglia di saperne di più e di leggere dell’altro sui “soldati fantasma” giapponesi
CITAZIONE:
“A volte”, dice Onoda, “penso che nelle armi vi sia qualcosa d’innato che gli uomini non riescono a influenzare. Che sviluppino forse una vita propria, una volta inventate? E la guerra non ha forse anch’essa una vita propria? La guerra sogna se stessa? […] Può essere che io stia solo sognando questa guerra? Può essere che io giaccia ferito in un ospedale militare e che quando, tra qualche anno, mi risveglierò dallo stato d’incoscienza qualcuno mi dirà che è stato tutto un sogno? […] L’isola di Lubang esiste veramente o è soltanto frutto dell’immaginazione?” (pag. 77)
GIUDIZIO SINTETICO: **½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…