Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 184
DONNE CHE PARLANO DI DONNE
Tra misoginia e femminismo, come le autrici possono svelare i luoghi comuni sul femminile
Patricia Highsmith – PICCOLI RACCONTI DI MISOGINIA (1975)
Di cosa parla: C’è un giovane che chiede a un padre la mano della figlia e la riceve in una scatola, la mano sinistra. C’è Christine che, sciando a Chamonix col fidanzato Philippe, cade e sostiene di essere divenuta invalida alla schiena per poterlo sposare. C’è Pamela, casalinga piccolo borghese, alle prese con la figlia Barbara, femminista attiva nel Movimento di Liberazione della zona. C’è Elaine che, dopo il matrimonio, fatica inizialmente a rimanere incinta, finché una sera si mette a testa in giù e da allora non smette di fare figli. C’è Thea, la “signorina perfettini”, che fin da bambina si comporta sempre a modo, anche se in realtà non ha altro scopo che fare del male ai suoi coetanei. E ancora ci sono la “Oona, l’allegra donna delle caverne”, la “suocera silenziosa”, “la puritana”, “la perfezionista”…
Commento: Come le donne raccontano sé stesse, capitolo 1. In diciassette racconti, brevi o brevissimi, tutti incentrati su una figura femminile indicata, fin dal titolo (fa eccezione il primo testo, “La mano”), dalla sua caratteristica dominante, Patricia Highsmith offre una singolare galleria di donne eccentriche, singolari, talora caricaturali. La misoginia che il titolo della raccolta presenta come una sorta di ombrello si può leggere in due direzioni opposte. Da un lato – ed è la lettura più immediata (e forse più corriva) – la penna dell’autrice si fa a tratti dissacratoria nei confronti di un certo femminismo. Esemplare, in tal senso, il racconto della casalinga Pamela, che considera “il Movimento di Liberazione della Donna uno di quegli stupidi movimenti di protesta di cui i giornali scrivevano solo per riempire le pagine”, in quanto il Movimento “sosteneva di volere l’‘indipendenza’ per le donne”, mentre lei “pensava che le donne avessero sempre e comunque la meglio, in ogni circostanza, sugli uomini”. Il finale del racconto è beffardo come pochi. Ma è anche utile per chiarire che la chiave di lettura più opportuna dei testi – almeno dei più interessanti (citiamo il già menzionato “La mano” e poi “La ballerina”, “L’invalida”, “La fattrice”, “La donna oggetto”, “La signorina perfettini”, “La vittima”, “L’evangelista”) – non si deve cercare in una qualche coerenza ideologica, bensì nell’efficacia narrativa.
Proprio la brevità consente a Highsmith, quando è al meglio, di dare sfogo alla sua vena più disincantata, più tagliente, più cinica persino. E così i personaggi femminili più riusciti sono quelli che, portando all’eccesso alcuni dei tratti che – tradizionalmente – qualificano le donne, sono al centro di vicende a loro volta estreme. La cattiveria che si respira in molti di questi racconti è così, indistintamente, delle donne o contro di loro (spesso, anzi, è impossibile distinguere le colpe, come nel caso della protagonista de “La vittima” che finisce per pagare a carissimo prezzo il fio di propri eccessi). La misoginia è, insomma, una delle facce con cui si presenta la crudeltà della vita, che mal si concilia con le prediche, i fervorini, i tentativi di ridurla a un prontuario di formule psicosociologiche. Il che nulla toglie alla causa femminista – molte ragioni della quale sono senz’altro ancora attuali –, ma la letteratura, come sa Patricia Highsmith, è e deve essere scavo nell’abisso, non catalogo di buoni propositi.
GIUDIZIO: **½

Virginie Despentes – KING KONG GIRL (2006)
Di cosa parla: Tra autobiografia e saggio, l’autrice prova a ricostruire (e a sfatare) alcuni miti sulle donne: partendo dalle esperienze personali (lo stupro subito a diciassette anni, l’esperienza di un anno da prostituta che offriva i suoi servizi tramite una sorta di antenato di internet) e allargando il campo ad ambiti come la pornografia (dalla stessa scrittrice toccato attraverso il film “Scopami!”, tratto da un suo libro e interpretato proprio da un’ex pornodiva), Despentes tenta di fare il punto sulle lotte femministe, “rivoluzione” ancora incompiuta e quanto mai attuale…
Commento: Come le donne raccontano sé stesse, capitolo 2. Despentes ha tutte le carte in regola per épater les bourgeois, e non ha mai temuto gli scandali. Lo ha fatto con scelte di vita tutt’altro che ordinarie; ci ha provato con le sue opere, discusse e censurate. Eppure, al di là del linguaggio diretto e scabro, al di là della crudezza con cui si mette a nudo, sono le velleità saggistiche a far crollare l’impianto globale del libro. Sia chiaro, alcune singole affermazioni possono essere interessanti e persino condivisibili, ma rintracciare un filo logico è arduo. Si prendano, ad esempio, le considerazioni iniziali, laddove la scrittrice, che si definisce “non seducente ma ambiziosa” e di voler scrivere “dalla parte delle invendute, le svitate”, chiarisce che il modello della donna ideale (dal punto di vista maschile) non esiste. Bene, ma allora una parte di quel che segue nel libro, ossia alcune almeno delle esperienze senz’altro estreme attraversate in gioventù e non solo dall’autrice (la scelta di prostituirsi, ad esempio), non è anche – come la stessa Despentes lascia intendere! – una testimonianza di libertà, una forma di ribellione possibile? O ancora: siamo davvero convinti che la prostituzione e la pornografia siano dominate da un ipocrita dominio maschile? O che “la femminilità è comportarsi come delle puttane”? Non sarà che le prostitute e le pornostar, queste ultime da molto tempo (e oggi più che mai) fatte oggetto di una laica venerazione, se e quando sono donne libere, lo sono proprio per il fatto di decidere di aderire a quello stesso sistema diciamo pure maschilista (e capitalista!) vendendo una merce e un’abilità richieste e di cui magari vanno anche fiere?
E così anche il richiamo finale al femminismo come a una “avventura collettiva”, una “rivoluzione, bene in marcia”, una “visione del mondo”, una “scelta” capace – se abbiamo ben capito – di mettere in discussione la virilità e di mandare all’aria tutto, l’appello cioè a una ribellione delle donne contro una società che le censura, le opprime, le vuole obbedienti, ebbene tutto questo discorso – che, beninteso, non sarà originale ma può anche essere vero – stinge nella più vaga delle querimonie, nella più generica delle denunce. A meno di non pensare che tutte le donne debbano passare attraverso le scelte estreme della stessa Despentes! Il problema, però, è che l’autrice su questo punto si fa del tutto elusiva: evitando di avanzare una proposta, un’idea per quanto nebulosa, finisce così per confermare nella sua diffidenza chi ancora, dopo più di cento pagine, cercasse non dico una profondità di analisi ma quanto meno una coerenza argomentativa nelle tesi del libro. Il che, a ben vedere, dimostra che puntare tutto sul côté emotivo, alla lunga nuoce sempre alla causa, specie se buona.
GIUDIZIO: *½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Non mancano le scrittrici che parlano di donne, con accenti più o meno “femministi” (qualunque cosa ormai indichi un’etichetta che ha conosciuto l’inevitabile usura legata all’abuso delle categorie). È chiaro, da questo punto di vista, che, con buona pace di certa pseudocultura, la letteratura dovrebbe innanzitutto rifuggire da ogni tentativo classificatorio, da ogni impeto ideologico, da ogni sforzo di adesione a tutti i costi alle dottrine di tendenza in un dato momento storico. È altrettanto evidente che, specialmente nell’ambito della poesia (della forma espressiva cioè che, con il passare del tempo, ha visto annacquarsi maggiormente la sua originaria e primitiva vocazione pedagogica), la volontà di “lanciare messaggi” è ancora fortissima, anzi si è fatta vieppiù intensa in sintonia con la necessità (social?) di arrivare a tutti. Un certo analfabetismo dominante finisce, naturalmente, per fare il resto: scambiare il contenuto per la forma, e alimentare il fraintendimento per cui “lanciare un messaggio positivo” (tanto meglio se semplice e toccante, in modo da poterlo “rilanciare” nello spazio di un post, valga più di mille immagini, magari complesse o quanto meno originali.
Per fortuna, ci restano le poetesse vere che, anche quando parlano di donne, non dimenticano di sviluppare in termini meno scontati anche temi usurati. C’è Wisława Szymborska, ad esempio, che sui luoghi comuni intorno all’immaginario femminile e sul maschilismo dominante sa giocare, con un’ironia che, sul piano dell’efficacia, vale più di mille pensose lamentazioni sulla condizione della donna:
Deve essere a scelta.
Cambiare, purché niente cambi.
È facile, impossibile, difficile, ne vale la pena.
Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri, ora grigi,
neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime.
Dorme con lui come la prima venuta, l’unica al mondo.
Gli darà quattro figli, nessuno, uno.
ngenua, ma è un’ottima consigliera.
Debole, ma sosterrà.
Non ha la testa sulle spalle, però l’avrà.
Legge Jaspers e le riviste femminili.
Non sa a che serve questa vite, e costruirà un ponte.
Giovane, come al solito giovane, sempre ancora giovane.
Tiene nelle mani un passero con l’ala spezzata,
soldi suoi per un viaggio lungo e lontano,
una mezzaluna, un impacco e un bicchierino di vodka.
Dove è che corre, non sarà stanca?
Ma no, solo un poco, molto, non importa.
O lo ama, o si è intestardita.
Nel bene, nel male, e per l’amor di Dio.
Per fortuna ci sono le poetesse a parlare delle donne. Come Patrizia Cavalli, che su un altro tema “sensibile” (il conformismo dello sguardo altrui di cui le donne rischiano di essere vittime) rovescia i termini della questione, esaltando la tenerezza come via d’uscita:
Se posso perdonare, allora devo
riuscire a perdonare anche me stessa
e smetterla di starmi a giudicare
per come sono o come dovrei essere.
Qui non si tratta di consapevolezza
ma è la superbia che mi tiene stretta
in una stolta morsa che mi danna.
Eccomi infatti qui dannata a chiedermi
che cosa fare per essere perfetta.
Tenersi all’apparenza, forse descrivere
soltanto cose in mutua tenerezza.

Testi citati
Wisława Szymborska – RITRATTO DI DONNA, in “Grande numero” – traduzione di Pietro Marchesani (1976)
Patrizia Cavalli – SE POSSO PERDONARE, in “Vita meravigliosa” (2020)
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…