LA CENA – Herman Koch

# 79 – Herman Koch – LA CENA (Neri Pozza, 2010, pag. 255)

I fratelli Paul e Serge Lohman si incontrano per una cena in un ristorante di primo livello, accompagnati dalle rispettive mogli Claire e Babette: devono discutere come agire nei confronti di un atto esecrabile commesso dai loro figli, Michel e Rick, un gesto che ha portato alla morte di una persona e che rischia di ripercuotersi sulle due famiglie. A complicare le cose, il fatto che Serge Lohman sia candidato a Primo Ministro olandese nelle elezioni che si terranno tra pochi mesi, e che suo fratello Paul (voce narrante del romanzo) sia un ex-insegnante che soffre di accessi d’ira incontrollabili che sfociano in violenza. Per tutta la durata della cena, le tensioni covano sotto la superficie: esploderanno nel finale.

Non vorrei, con questa mia recensione, dare l’impressione di non apprezzare le trame raffinate e volutamente un po’ povere di eventi. Al contrario, le apprezzo. “La cena” è costruito interamente sull’idea del “contenitore narrativo”: il libro “dura” lo spazio di una cena tra due coppie in un ristorante stellato, ma le tensioni che emergono a tavola prendono la forma di una serie di flashback nei quali vengono spiegate le principali ragioni delle tensioni stesse. Insomma, un libro interamente, volutamente arrotolato su sé stesso, come un tovagliolo diligentemente posto accanto al piatto; un libro, per meglio dire, freddo e distaccato, entomologico, algido.

Non che queste siano necessariamente caratteristiche negative: l’unità di tempo, luogo e azione conferisce compattezza al racconto, e Koch è indubbiamente bravo a toccare i nervi scoperti della borghesia olandese – ma potremmo dire europea – contemporanea, preoccupata (ma la borghesia è mai stata preoccupata da altro?) di difendere i propri privilegi e la propria rispettabilità più che di appurare, e ammettere, la verità su un fatto brutale e increscioso come l’assassinio di una clochard. Il problema è, da una parte, l’eccessiva ellitticità del libro, che ostentatamente dice e non dice, sussurra ma non ammette, suggerisce ma non mostra; e, dall’altra parte, la natura di “caso letterario dell’anno” (parliamo del 2009, anno in cui il libro sfondò nelle vendite, tanto da meritarsi, in seguito, ben due riduzioni cinematografiche, una americana, con Richard Gere, e una italiana).

 Ecco, questo oggettivamente non lo capisco. Non capisco come possa un libro come “La cena” diventare un “caso letterario”. Cosa avrà mai questa storiella appena sussurrata, lasciata intuire più che raccontata, di due ragazzi che, con la freddezza glaciale delle classi agiate, di quelli che ritengono che tutto gli sia dovuto, la combinano grossa, cosa avrà – dicevo – questa trama semplice e disadorna per attrarre folle di lettori in tutto il mondo e assurgere a “caso letterario”? Sia chiaro: non parlo per invidia. Vorrei solo capire perché un libro scritto discretamente ma non in modo eccezionale, un libro (volutamente) un po’ monotono, che si arriccia come un cavatappi attorno a una vicenda drammatica, ma non poi così sconvolgente, debba diventare una sorta di “faro”, qualcosa di tanto straordinario da farci non uno ma due film sopra! Senza andare tanto lontano, gli italianissimi casi del Circeo e di Pietro Maso sono assai più sconvolgenti rispetto a questa storiellina olandese leziosamente borghese e per nulla nuova.

Già Moravia raccontava le ipocrisie e le falsità della borghesia, pur senza ricorrere a clochard assassinati e professori irascibili. Per non parlare dei ritratti borghesi proustiani (ma mi rendo conto che il paragone non sia neppure accennabile). Insomma, cosa propone Herman Koch di nuovo, di interessante? Il conflitto tra la sicurezza della “famiglia felice” e le zone oscure di quella stessa felicità? Già fatto, e meglio, dal “Dolce domani” di Russell Banks (e da cento e cento altri libri). L’irrompere dell’imprevedibile nella glassata vita borghese? Ma per piacere, era un tema già vecchio negli anni Settanta! La fragilità delle strutture sociali e familistiche del mondo occidentale o, al contrario, la loro insospettata, quasi primitiva solidità, visto che i genitori – dopotutto, alla faccia della clochard – si stringono omertosamente attorno ai figli? Insomma, nulla ma proprio nulla di nuovo; e un tono tra il saccente e il raffinato, con tanto di strizzatine d’occhio, che non convince del tutto. Mi dicono che “La scuola”, sempre di Herman Koch, sia molto meglio: proverò, e vi dirò! Ma su “La cena”, caso letterario dell’anno 2009, chiediamo il conto, e tutti a casa. A leggere altro.   

(Recensione scritta ascoltando i Linkin Park, “Castle of Glass”)

PREGI:
Astutamente concepito, con le portate della cena che scandiscono il tempo, dall’aperitivo al digestivo, il libro si lascia leggere, complici le dimensioni non eccessive, i pochi personaggi e lo stile a tratti tagliente     

DIFETTI:
Compiaciuto della sua stessa sottigliezza, l’Io narrante, a tratti, rasenta l’insopportabilità, soprattutto quando pretende di narrare senza narrare: “Non dirò che ore erano…”; “Non dirò il nome del ristorante…”; “Non dirò cosa fece mia moglie…” Insomma, non dire per non dire, era meglio non scrivere il libro! E poi, a corredo, un’atmosfera rarefatta e stereotipata, fitta di pianti muliebri e liti fraterne, segreti inconfessabili (ma perfettamente intuibili) e rapporti padre-figlio da manuale di psicologia

CITAZIONE:
“… tornado, uragani e tsunami hanno un effetto calmante. Ovviamente sono terribili, abbiamo tutti imparato a dire che li troviamo terribili, ma un mondo senza catastrofi e senza violenza, che sia violenza della natura o in carne e ossa, quello sì sarebbe insopportabile.” (pag. 159)

GIUDIZIO SINTETICO:

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO