PANTERA – Stefano Benni

# 210 – Stefano Benni – PANTERA (Feltrinelli, 2014, pagg. 106)

Due novelle raccolte sotto un unico titolo. Nella prima, “Pantera”, il protagonista e voce narrante è un ragazzo un po’ scapestrato che, anziché andare a scuola, lavora in una fumosa e malfamata sala biliardo, dove conosce alcuni dei personaggi più in auge di quel mondo sotterraneo fatto di stecche, bilie, panni verdi, fumo di sigaretta e saggezza da bassifondi distillata in particolare dall’enigmatico “Borges”, vecchio giocatore ormai cieco che riesce ugualmente, in qualche modo, a “vedere” le partite. Un giorno l’affascinante Pantera, misteriosa e imbattibile giocatrice, fa la sua comparsa e sfida tutti i più forti del mondo, per poi eclissarsi e svanire nel nulla. Nella seconda novella, “Aixi”, la protagonista è una ragazzina (il nome – come ci viene spiegato – si pronuncia “Aiji”) che vive col padre malato terminale in una baracca sul mare, presumibilmente da qualche parte del litorale ligure. Pur di aiutare il padre, che non vuole essere ricoverato e preferisce finire i suoi giorni in riva al mare, Aixi correrà un rischio tremendo, solo in parte ripagato da un finale aperto…

Prima di parlare della scrittura, una nota di demerito all’editore (che, sfortunatamente, è anche il mio): “Pantera” è un libro confezionato in modo furbetto e disonesto, perché in quarta di copertina si legge che “uscita dal suo racconto, Pantera porge il testimone ad Aixi, una ragazzina innamorata del suo mare, protagonista di una nuova sfida inondata di luce e di mistero”. Ora: Pantera non porge proprio nessun testimone.

I due racconti sono completamente slegati uno dall’altro, indipendenti e diversissimi, laddove un lettore che trovi questa descrizione è portato invece a pensare che il libro sia un romanzo breve con due protagoniste femminili che, in qualche misura, forse si rispecchiano o si integrano. Nulla di tutto questo. “Pantera” è semplicemente la raccolta di due novellette, una un po’ più lunga dell’altra, impreziosite dalle belle illustrazioni di Luca Ralli, ma completamente diverse per protagonisti, ambientazioni e “sapore”. Se “Pantera” è una storia da bassifondi un po’ compiaciuta, ma non priva di tocchi di un certo qual lirismo (soprattutto nel confronto tra Pantera e l’Inglese e negli interventi del vecchio saggio Borges), “Aixi” è una novelletta surreale, sempre un po’ compiaciuta (ma questa è una caratteristica di tutta la produzione di Benni), triste e disperante, che riflette sulla vita e sulla morte da una parte smitizzandole e, dall’altra, al contrario, ponendo l’accento anche sulle cose più semplici e cercando di rivestirle d’assoluto.

Nulla di nuovo sotto il Sole: la scrittura di Stefano Benni si conferma epidermica, a tratti elegante e arguta ma anche fondamentalmente vuota e priva di basi reali. Infatti, il principale difetto di entrambe le novelle è che non si crede mai del tutto a quello che si sta leggendo, ogni cosa sembra come sospesa in un sogno contenuto in un altro sogno, e forse a questo alludevano gli editor di Feltrinelli quando hanno deciso di “vendere” il libro in maniera così truffaldina, facendo credere al lettore che un personaggio trascolori nell’altro, che Pantera lasci in qualche modo consapevolmente il posto ad Aixi, in un’elaborazione complessiva e coerente che in realtà, semplicemente, non c’è.

Benni ci propone, sotto un unico titolo, due novelle dominate da figure femminili a loro modo – e allo stesso tempo – forti e indifese, inscalfibili e piegate dalla vita, mitiche e ordinarie. Pantera potrebbe essere il personaggio di un film di Quentin Tarantino: molestata da piccola e cresciuta da uno zio, diventa campionessa di biliardo e batte tutti i migliori, uno dopo l’altro, in una vendetta/apoteosi che non può che concludersi con la sua sparizione (assurta all’Olimpo del biliardo?). Aixi, viceversa, è una ragazzina senza appeal, cresciuta tra reti da pesca e aragoste parlanti, già costretta, alla sua tenera età, a fare i conti con la morte, alla quale sembra condannato suo padre. In entrambi i racconti, ad attorniare le già di per sé bizzarre protagoniste, la solita galleria di freaks “alla Benni”: bislacchi giocatori di biliardo pieni di tic e di vizi, gangsters, prostitute, vecchi pescatori burberi ma dal cuore tenero, arpie cattive come gabbiani “dal becco tinto di rossetto”, e via almanaccando. Nulla di malvagio, entrambi i racconti si leggono con piacere (anche grazie alle belle illustrazioni), ma il problema è il solito: cosa lascia nel lettore la scrittura di Benni?

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La tentazione di considerarlo “il Pennac italiano” è sempre forte, ma l’universo di Benni non si impone come quello di Pennac, col suo clan Malaussène che, bene o male, sta in piedi e trova una propria, surreale dimensione. Il surrealismo dell’Autore italiano, viceversa, mi pare più fragile e un po’ troppo autocompiaciuto, e il lettore si ritrova sempre a chiedersi “cosa volesse dire” la tal scena o il tal racconto, come se l’Autore si divertisse (e forse è proprio così) a far credere di essere depositario – come il vecchio Borges, paragone letterariamente improponibile! – di un qualche tipo di saggezza nascosto ai più. Ma tra Borges, Pennac e Benni, alla fine, il grande scrittore è uno solo, e non c’è bisogno di specificare chi.    

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(Recensione scritta ascoltando Cat Stevens, “Wild World”)

PREGI:
due racconti truffaldinamente raccolti sotto un unico titolo, come se fossero l’uno la continuazione dell’altro: in realtà sono, al massimo, le due facce (femminili) di un’unica moneta. La scrittura non è malvagia, alcuni personaggi – soprattutto del primo racconto – divertono per stranezza e bizzarria, e non mancano i tocchi lirici, di un lirismo da bassifondi che non dispiace

DIFETTI:
al solito, le trame e, soprattutto, i personaggi di Benni lasciano poco, a mio avviso, nel lettore, non avendo lo spessore necessario per elevarsi a simboli né il realismo in grado di farli accettare come veri. In Benni, o manca sempre qualcosa o c’è sempre qualcosa di troppo! 

CITAZIONE:
“Qui non si aspettava la Ragione ma la Sorte, non il Perché ma il Chissà. Si chiedeva alle ore di passare in punta di piedi, nascondendosi al dolore. […] Si aspettava qualcosa ma soprattutto si imparava a non aspettare nulla.” (pag. 18)

GIUDIZIO SINTETICO: **

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO