# 223 – Pietrangelo Buttafuoco – LE UOVA DEL DRAGO (La Nave di Teseo, 2016, ediz. orig. 2005, pagg. 369)
Dopo lo sbarco di inglesi e americani in Sicilia, nel luglio del 1943, la giovane e avvenente agente segreta del Reich Eughenia Lenbach, nome in codice “Ghez”, viene inviata a Catania sotto le mentite spoglie di una cittadina belga che ha perso il marito (siciliano) in guerra. In realtà, l’agente “Ghez” ha il compito di rendere difficile la vita agli invasori con attentati e depistaggi, e soprattutto deve “impiantare” nel tessuto sociale italiano alcuni agenti dormienti (nome in codice “Uova del Drago”) che, in futuro, diano manforte alle operazioni di riconquista dell’isola da parte del Reich tedesco. Aiutata da un prete di chiara fede fascista e da alcuni formidabili agenti arabi che vedono nella Germania di Hitler la loro possibilità di riscatto e di guerra santa, “Ghez” imperversa da Catania a Palermo con imprese ai limiti dell’impossibile, e arriva a cercare di ostacolare i tentativi alleati di costruire per primi la bomba atomica. Ma il destino è segnato e presenterà il conto anche all’eroica (e invasata) Eughenia…
Non è facile dare un giudizio equanime e onesto a un libro come “Le uova del drago”, da una parte per via delle polemiche che il romanzo suscitò alla sua uscita, quando vari critici (per la verità schierati) lo accusarono di veicolare apertamente nostalgie per il Ventennio e lo definirono “romanzetto giovanile rifiutato più volte dagli editori e tenuto in caldo dall’Autore per tempi più propizi” (un governo di centrodestra?); dall’altra, per l’evidente discrimine tra la materia della narrazione, perlopiù caotica e affastellata, e lo stile, nitido e attraversato da una splendida e maestosa vena ironica tutta siciliana (altro che Camilleri!).
Presentato dall’Autore, in una nota iniziale, come il racconto di fatti rigorosamente veri trasfigurati però in una sorta di opera farsesca, da Teatro dei Pupi (molti personaggi hanno nomi “parlanti” da opera buffa, appunto, da Gano Maganza a Carlo Magno), “Le uova del drago” è l’opera d’esordio di un uomo che con la penna ci sa indubbiamente fare, e sfido qualunque critico – anche schierato – a sostenere il contrario. Buttafuoco sa scrivere, non c’è dubbio, e il libro ha uno stile ricercato e complesso, che mescola ascendenze siciliane a passaggi di uno splendido e raffinato italiano, evocativi e delicati, graffianti e diretti. E, credetemi, il problema non sono neanche le (abbastanza evidenti) simpatie fasciste, che non mi sconvolgono e non sono illegali, né tantomeno sufficienti a bollare un libro come “brutto”. Non riesco a fare critica ideologica: se un libro è scritto bene e si lascia leggere con piacere, non mi importa quale ideologia ci sia dietro, purché ovviamente non assuma caratteri grotteschi e indifendibili.
Non è il caso de “Le uova del drago” che, a mio avviso, nel raccontare l’epica dello spionaggio tedesco nella Sicilia del 1943 non fa che celebrare e distruggere allo stesso tempo – come ogni vera epica dovrebbe fare – l’idealismo dei “vinti”, quegli stessi vinti cui Giampaolo Pansa ha dedicato, nel 2003, un altrettanto discusso saggio, del quale prima o poi mi deciderò a scrivere. Non c’è nulla di male, a mio avviso, nel rimpiangere la battaglia (vinta) del “prefetto di ferro” Cesare Mori contro la Mafia, o nel raccontare – con un tocco piacevolmente surreale – le imprese spionistico-militari di un gruppo di fedelissimi del Regime: mica siamo bambini! Lo sappiamo tutti – penso – che c’è anche chi nel Regime fascista o nel Nazismo ci ha creduto con tutto sé stesso! E non per questo è condannabile. Le condanne vanno riservate a chi ha compiuto crimini di guerra o crimini contro l’umanità (formulazione ambigua, nata proprio dopo la Seconda Guerra Mondiale ad opera del Tribunale Internazionale de l’Aia…).
Di certo Buttafuoco non commette crimini nello scrivere un romanzo con protagonista una abile e attraente spia tedesca al servizio di Hitler. A non convincere, però, è l’organizzazione del materiale narrativo, una complicatissima vicenda di spionaggio e controspionaggio nella Sicilia degli anni 1943-44, fittissima di personaggi e di intrecci secondari. Non sempre facile da seguire, e non privo di momenti oggettivamente un po’ noiosi (in particolare le ultime 60 pagine), il libro disperde in parte il suo prezioso carico di “controstoria” e di “punto di vista del nemico” infilandosi in cunicoli senza uscita, per saltar fuori dai quali a Buttafuoco non resta, spesso, che… cambiare capitolo!
Peccato però che in questo modo tutto rimanga un po’ sospeso, e la visione – pur molto interessante – della Mafia come fenomeno di ritorno dagli USA dopo l’efficace repressione del prefetto Mori (e quindi della Mafia odierna come effetto collaterale della liberazione dell’Italia da parte delle potenze Alleate) appaia poco contestualizzata e sia votata a una facile polemica, nella quale non a caso il libro finì per infilarsi nel 2005, stroncato più per motivi ideologici che stilistici, aprioristicamente difeso da Destra e attaccato da Sinistra. Finale annunciato, purtroppo, per un romanzo difficile e coraggioso, ma anche frammentario e irrisolto, avvolto, a mo’ di mantello dell’invisibilità, nella sua stessa ironia (una storia vera raccontata come se fosse una farsa da Teatro dei Pupi) fino a perdere quegli stessi connotati di opera storica che avrebbero potuto renderlo un capolavoro.

(Recensione scritta ascoltando Leonard Cohen, “The Partisan”)
PREGI:
una scrittura intelligente e perfettamente consapevole dei propri mezzi espressivi, limata e levigata con sapienza (dietro la confezione del romanzo c’è anche il grande Antonio Franchini, all’epoca editor in Mondadori), che cede al fascino del dialetto (contrariamente a Camilleri) solo in pochi e selezionati momenti, con effetti molto efficaci. E poi, un anticonformismo di fondo che, nel Paese dell’antifascismo come religione, non può che fare bene, suvvia!
DIFETTI:
a tratti un po’ difficile da seguire e confuso nello svolgersi degli eventi, troppo pieno di nomi (anche arabi) e di personaggi, che fatalmente non vengono approfonditi come meriterebbero, è un affresco instabile e cangiante di un’epoca (il 1943) e di una regione (la Sicilia) che probabilmente neanche il saggio di un grande storico saprebbe fissare in via definitiva
CITAZIONE:
“Quelli ritratti nell’album non erano timidi professori idealisti, bensì delinquenti e malacarne fuggiti in America per non cadere preda dei ceppi approntati da Cesare Mori. Erano gli antifascisti siciliani, come li avrebbe definiti un giorno Leonardo Sciascia: «Certo che c’erano gli antifascisti in Sicilia: erano i mafiosi.»” (pag. 218)
GIUDIZIO SINTETICO: **½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…