LECTIO BREVIS / 125

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 125
UOMINI CHE PARLANO DI DONNE
Punti di vista maschili sul femminile

Charles Bukowski – DONNE (1978)

Di cosa parla: Le avventure sessuali e, talvolta, sentimentali di Henry Chinaski si susseguono a ritmo incessante, accompagnando e costellando la sua ascesa in campo letterario dai tempi in cui, aspirante scrittore, si barcamenava tra collaborazioni occasionali con giornali e riviste pulp e reading in localacci di quart’ordine a quando, autore ormai affermato e venerato da schiere di fan, le ammiratrici fanno a gara a offrirgli apprezzamenti e favori. Le giornate di Chinaski trascorrono così di donna in donna, senza rinunciare alle inestinguibili passioni per l’alcool e le corse di cavalli…

Commento: «Cosa pensi delle donne?» chiese. «Non sono uno che sta tanto a pensare. Ogni donna è diversa. In genere sembra che sia una combinazione tra bello e brutto… magiche e tremende allo stesso tempo. Comunque sono felice che esistano». In questo scambio di battute si concentra la filosofia di Henry, detto Hank, Chinaski, l’alter ego di Bukowski protagonista di diversi racconti e di sei romanzi (questo è il terzo della serie) che ripercorrono la vita tumultuosa dell’autore. Ma l’autobiografismo di Bukowski, come sempre, è riscattato dalla scrittura, anche quando – ed è questo il caso – il romanzo manca di una vera e propria trama. Eppure, lo stile, mai innaturalmente lirico e mai inutilmente volgare, e il ritmo incalzante con cui lo scrittore tratteggia le decine di figure femminili con le quali intrattiene relazioni il più delle volte esclusivamente sessuali, ma talora vicine a un rapporto di coppia tradizionalmente inteso, sono una prova di bravura sufficiente a tenere desta l’attenzione del lettore per oltre trecento pagine. Certo, il catalogo dongiovannesco di Bukowski e il ricorso a un linguaggio tanto esplicito quanto alieno da ogni morbosità, possono risultare alla lunga un po’ destabilizzanti, anche perché il libro è percorso da una tenue inquietudine di fondo: è forse troppo facile leggere nel vitalismo esasperato del sesso la manifestazione di un cupio dissolvi inesorabile, ma è certo difficile sottrarsi alla sensazione di vago stordimento che ci coglie dinanzi a certi istinti troppo disinvoltamente autodistruttivi, narrati con tanta leggera maestria. La malinconia diventerà vera e propria cupezza nel romanzo successivo con Hank Chinaski, Panino al prosciutto.

GIUDIZIO: ***

Murakami Haruki – UOMINI SENZA DONNE (2014)

Di cosa parla: C’è un attore di teatro che assume una giovane autista alla quale racconterà dell’incontro con l’uomo con cui la moglie, morta ormai da anni, lo ha tradito. C’è l’amicizia tra due studenti universitari, uno dei quali, un ragazzo stravagante, ha tradotto Yesterday dei Beatles nel dialetto giapponese del Kansai e propone all’altro di uscire una sera con la sua fidanzata. C’è un chirurgo estetico che non si è mai sposato e ha avuto diverse amanti che tutt’a un tratto si innamora. C’è la relazione sessuale tra un uomo e una donna che, come Shahrazād, lo intrattiene con i suoi curiosi racconti. O la vicenda di Kino, del suo bar e degli strani avvenimenti che lo costringeranno a cambiare vita. E ancora la storia di uno scarafaggio che si risveglia nei panni di Gregor Samsa. E infine la telefonata che, nel cuore della notte, annuncia a un uomo la morte di una sua ex fidanzata.

Commento: «Un giorno all’improvviso diventi uno dei tanti uomini che non hanno una donna. Quel giorno viene di colpo a farti visita senza che tu ne abbia il minimo presentimento, senza il minimo preavviso, senza annunciarsi bussando o schiarendosi la gola. Svolti l’angolo, e ti accorgi che ormai sei arrivato lì. Ma non puoi più tornare indietro. Una volta girato l’angolo, quello diventa il tuo solo, unico mondo. E quel mondo lo chiami “uomini senza donne”. Sì, con un plurale di gelo infinito». Sono le riflessioni strazianti del narratore dell’ultimo dei sette bellissimi racconti di questa raccolta (quello che dà il titolo alla stessa silloge). A legare i testi sono fili sottilissimi, quasi invisibili: com’è chiaro anche dalla sintesi, si parla di matrimoni finiti, di tradimenti, di morti, ma anche di amori che non riescono a nascere o a svilupparsi. Ma quello che conta è che Murakami avvolge le storie di un velo di indicibile mistero, come se le donne, dal punto di vista degli uomini (che è quello adottato in tutti i racconti), fossero sempre a un passo, vicine, accessibili, presenti, ma anche per qualche motivo – un impedimento insuperabile (la morte, l’allontanamento a causa del divorzio) o un’impossibilità di qualche altro genere – distanti, irraggiungibili, assenti. È la solitudine il filo conduttore di molte delle vicende narrate. Rimanendo talora sul confine tra reale e fantastico ed evitando conclusioni drastiche e definitive, l’autore, con uno stile che rifugge da ogni fumisteria e si astiene da ogni tentazione sociologica, esplora la zona grigia che spesso nell’amore (nella vita?) divide ciò che è stato da ciò che poteva essere, ciò che avviene da ciò che è in forse. E proprio quest’ultima, significativamente, è la parola che chiude il racconto finale, come a suggellare l’intera raccolta con il marchio, lancinante e disperato, del dubbio.

GIUDIZIO: ***½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Punti di vista maschili sulle donne, ovvero il maschilismo ha una lunga tradizione. Se proprio dovessimo trovare un testo fondativo del genere, ci sovviene il famoso (o famigerato) frammento di Semonide, poeta greco del VII-VI secolo a.C. Il testo, noto come Satira delle donne, contende ad alcuni passi di Esiodo il primato del più antico esempio di misoginia letteraria, ma se Esiodo è almeno un grande poeta, lo stesso non si può dire di Semonide (nonostante vanti una traduzione di Giacomo Leopardi). La sua satira è in realtà un catalogo di tipi femminili, ognuno dei quali fatto derivare da un animale: inutile precisare che le caratteristiche che accomunano le donne agli animali sono tutte negative. Il bestiario completo, per la cronaca, è il seguente: la scrofa (sudicia), la volpe (astuta), la cagna (curiosa), l’asina (pigra), la donnola o puzzola (ladra), la cavalla (vanitosa), la scimmia (brutta e cattiva). A queste si aggiungono la donna-terra (inerte), e la donna-mare (incostante). Non se ne salva nemmeno una? Semonide, bontà sua, fa eccezione solo per la donna-ape, ma a leggerne la descrizione si riconoscono molti degli stereotipi misogini di più grande successo, il che, a ben guardare, non è propriamente un grande riconoscimento per il genere femminile:

“Una viene dall’ape: fortunato
chi se la prende. È immune da censure
lei sola; è fonte di prosperità;
invecchia col marito in un amore
mutuo; è madre di figli illustri e belli.
E si distingue fra tutte le donne,
circonfusa di un fascino divino.
Non le piace di stare con le amiche
se l’argomento dei discorsi è il sesso.
Fra le donne che Dio largisce agli uomini
ecco qui le più sagge, le migliori.”

Tutt’altra visione del femminile affiora nei versi di un altro poeta, Edoardo Sanguineti, il quale, duemilacinquecento e più anni dopo, così si esprime in una Ballata delle donne, che, nella produzione dell’autore si distingue per il tono piano e disteso (ma non scevro da un certo impegno ideologico), lontano dalle punte sperimentali e avanguardistiche di buona parte della sua opera:

“quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia:

quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace:

quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire:

perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente:

Femmina penso, se penso l’umano:
la mia compagna, ti prendo per mano:”

Testi citati
Semonide – SATIRA CONTRO LE DONNE – traduzione di Filippo Maria Pontani (VII-VI secolo a.C.)
Edoardo Sanguineti – BALLATA DELLE DONNE, in “Senzatitolo” (1992)