A QUATTRO MANI – Paco Ignacio Taibo II

# 267 – Paco Ignacio Taibo II – A QUATTRO MANI (TEA, 1997, pagg. 439)

Il giornalista messicano Julio Fernández e il suo collega statunitense Greg Simon, amici da tanti anni, sono soliti lavorare a impegnativi reportages scritti a quattro mani, e così, quando annusano un possibile scoop legato all’ex-rivoluzionario nicaraguense Carlos Machado, che si sarebbe impelagato nel traffico di droga con un losco individuo chiamato Rolando M. Limas, iniziano a indagare, non fidandosi dell’apparente abbondanza di fonti e di prove. E fanno bene, perché dietro le quinte opera un dipartimento segretissimo della CIA – chiamato SD, “Shit Department” – guidato dal mefistofelico Alex Smith, agente specializzato in campagne di disinformazione. Agli ordini di Alex, un nutrito ed eterogeneo gruppo di agenti, tra cui la procace Eve, sta imbastendo l’operazione “Sogno di Biancaneve”, il cui scopo è proprio quello di screditare Machado immischiandolo in fatti di droga. Allo scopo, Alex prende contatti con l’anziano anarchico bulgaro Stoyan Vasilev, che dovrebbe fungere da burattino inconsapevole nelle sue mani; neanche Alex però può prevedere il rientro in scena di un altro anziano anarchico, lo spagnolo Saturnino Longoria, che gli guasta la festa sul più bello, proprio quando era riuscito a distogliere Fernández e Simon, i giornalisti, dall’idea di scrivere – sempre a quattro mani – un romanzo, per continuare a dedicarsi agli scoop sulle riviste… Ma della trama fanno parte anche il celebre comico Stan Laurel e lo scrittore d’avventura italiano Emilio Salgari: il primo perché ha istituito un fondo per un premio di giornalismo assieme al nonno di Julio Fernández, e il secondo perché il bulgaro Vasilev ne rivitalizza la principale opera, dedicata ai pirati di Mompracem, scrivendo, in stile salgariano, un seguito delle avventure di Sandokan e Yanez de Gomera… 

E va bene, questa lettura era un esperimento. Da una parte, non avevo letto nulla di Paco Ignacio Taibo II, scrittore spagnolo classe 1949, trasferitosi in Messico dal 1958, e com’è noto amo molto scoprire nuovi Autori; dall’altra, la trama era così assurda, intricata, arzigogolata e apparentemente improbabile da meritare una messa alla prova. Ebbene, se lo scrittore non merita forse d’esser bocciato, e andrà valutato su altre prove, il libro purtroppo non tiene dietro alle ambiziosissime premesse, perdendosi in una miriade di rivoli narrativi che, presi uno per uno, sarebbero anche godibili, ma mescolati e intrecciati risultano francamente indigesti.

Andiamo con ordine, se di ordine si può parlare in una materia tanto variegata e magmatica. Taibo II sceglie, saggiamente, una struttura a capitoli brevi, grazie alla quale riesce a “saltabeccare” da una storia all’altra, da un personaggio all’altro con grande agilità, seminando sottotrame in quantità industriale: il libro si apre con un viaggio di Stan Laurel in Messico nel 1923 e, tra salti temporali e flashback, riesce a raccontare episodi della guerra civile spagnola, della seconda Guerra Mondiale, dell’esilio messicano di Trockji e della guerriglia nicaraguense, senza considerare i sequel salgariani con Sandokan e Yanez ormai anziani alle prese con quella che potrebbe essere la loro ultima avventura, scritti dall’anarchico bulgaro Stoyan Vasilev come una sorta di doppio metaforico dell’inattesa avventura che gli capita di vivere – a ottantadue anni suonati! – con il vecchio compañero Saturnino Longoria a Città del Messico.

Nelle intenzioni dell’Autore, il romanzo dovrebbe essere una rappresentazione di quel grande caos che è il mondo, in cui tutto si sovrappone e si confonde, e in cui più un piano è arzigogolato e meno probabilità ha di avere successo. Sta dunque al lettore ricomporre le disiecta membra di questo scatenato e scriteriato romanzo, trovare i fili rossi che connettono le vicende, gli echi flebili che congiungono i diabolici piani di un disinformatore della CIA alle oscure trame dei narcotrafficanti messicani, le proposte di tesi di Elena Jordán, ex-moglie del giornalista Julio Fernández, alle discutibili operazioni del poliziotto corrotto Ontiveros. La scrittura non sarebbe neanche malvagia, perché Taibo II conosce il mestiere e sa alternare comicità e ironia a improvvisi squarci di violenza e di dramma. Il problema, però, è che in molti punti ci si perde decisamente, e la bravura tecnica dell’Autore finisce per apparire puro sfoggio di stile (come nei capitoli in cui Elena propone le sue idee di tesi, puntualmente rifiutate dagli Atenei). Senza contare che, oggettivamente, alcuni capitoli dedicati alla rievocazione delle vicende spagnole delle falangi anti-franchiste sono noiosi, e possono interessare giusto a chi quelle vicende le abbia effettivamente vissute in prima persona. Per tutti gli altri, purtroppo, lo sbadiglio è garantito, e non soltanto uno, perché 439 pagine per questo “romanzo-millefoglie” tra il picaresco e lo spionistico sono decisamente troppe

Peccato, perché la coppia di giornalisti è ben riuscita, l’intreccio degli Io narranti e dei punti di vista regala anche bei momenti e l’originalità di alcuni personaggi (su tutti il mefistofelico Alex, capo dello “Shit Department”) è innegabile. Ma la ricerca costante di colpi a effetto e l’opacità della trama complessiva non perdonano, e la lettura arranca faticosa verso un finale che, a un certo punto, non si è più neanche particolarmente curiosi di scoprire.                       

(Recensione scritta ascoltando gli Eagles, “Hotel California” – cover dei Gipsy King)

PREGI:
una scrittura indubbiamente consapevole e alcuni personaggi ben riusciti, nonché una struttura complessiva a incastro un po’ alla Robert Altman, per chi ama il cinema, che in parte garantisce freschezza al romanzo 

DIFETTI:
la noia, purtroppo, non si limita a far capolino qua e là, in questo romanzo, ma per lunghi tratti prende proprio il sopravvento, facendola da padrona: difetto troppo grave per salvare l’opera

CITAZIONE:
“Una buona storia a quattro mani si scrive in tre fasi: primo, mettere in ordine le informazioni; secondo, darle una struttura iniziale, collocare i punti di appoggio, scegliere il filo conduttore, selezionare le citazioni di testimonianze su cui appoggiarsi, pubblicare i contesti; terzo, scrivere a turno, correzione incrociata. Una cattiva storia a quattro mani si scrive allo stesso modo.” (pag. 419)

GIUDIZIO SINTETICO:

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il ìsistema Mereghettiî, che va da 0 a 4 ìstellineî: a 0, ovviamente, i giudizi pi˘ negativi, a 4 quelli pi˘ positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO