LECTIO BREVIS / 127

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 127
LA LETTERATURA TRA ENIGMI E FILOSOFIA
ovvero: La realtà è un’illusione o l’assurdo è il modo migliore per spiegarla?

Gilbert Keith Chesterton – IL CLUB DEI MESTIERI STRAVAGANTI (1905)

Di cosa parla: Basil Grant è stato un giudice, fino a quando nel bel mezzo di un dibattimento si è messo a cantare una canzone infantile: sollevato dal suo incarico per manifesta pazzia, si è ritirato dalla vita pubblica e si è ritirato in una soffitta. In una delle sue rare uscite, insieme al fratello Rupert, viene in contatto con il bizzarro “Club dei mestieri stravaganti”, per essere membri del quale bisogna inventarsi professioni mai praticate da nessuno. E così, insieme a Basil, facciamo la conoscenza di P.G. Northover, fondatore dell’Agenzia Avventure Fantastiche, dello strano agente immobiliare Montmorency o del professor Chadd, bizzarro etnologo…

Commento: È la prima opera pubblicata da Chesterton che all’attività di (aspirante) scrittore aggiungeva quella di illustratore: e trentadue suoi disegni corredano, infatti, i sei racconti che compongono la raccolta. Le storie sono tenute insieme non solo dalla ricorrenza dei personaggi principali, ma anche da un’unità complessiva che si svela solo nel finale. Il genere dei racconti è già quello del “giallo filosofico” che si ritroverà nelle più celebri raccolte di Padre Brown, che ha nella figura di Basil Grant il suo precedente letterario. Ogni storia contiene un piccolo enigma: non si tratta, però, di più o meno torbide vicende criminose, quanto di paradossi logici, assurdità, comportamenti che appaiono stravaganti o insensati agli occhi di tutti tranne che a quelli dell’ex giudice che infatti si incarica sempre, nel finale, di fornire una spiegazione razionale. Quel che interessa a Chesterton è indagare sulle contraddizioni morali di un mondo che sembra preda delle illusorie e dogmatiche certezze di matrice positivista (e della letteratura poliziesca che le aveva elevate a sistema: ogni riferimento a Sherlock Holmes è esplicitamente messo in bocca a Basil Grant). A dispetto dell’apparente esilità delle storie (ma il gioco sta proprio nel rovesciamento per cui quelli che sembrerebbero terribili crimini in realtà non lo sono affatto!), la scrittura è già quella densa ed elegante delle opere successive.

GIUDIZIO: ***

Tommaso Landolfi – DIALOGO DEI MASSIMI SISTEMI (1937)

Di cosa parla: C’è Y, un giovane poeta che ha imparato da un capitano di lungo corso il persiano e ha scritto in quella lingua le sue tre poesie a cui spera di affidare la sua fama. Ma ha scoperto che la lingua insegnatagli non è il persiano, bensì un idioma del tutto sconosciuto e, per capire se la sua opera ha un qualche valore, consulta un grande critico. C’è Maria Giuseppa, che era la serva di Giacomo, giovane neghittoso e miscredente che l’ha sempre maltrattata e ora, a distanza di anni, si chiede se lei sia morta per causa sua. E ancora c’è Federico, un avvocato che, dopo aver visto la sua cagnetta ammazzare un topo che si aggirava per casa, non riesce a elaborare il lutto per la morte del roditore…

Commento: Dei sette racconti compresi nella prima raccolta di Landolfi (e usciti già in varie riviste negli anni precedenti alla pubblicazione in volume), i tre riassunti sopra sono piccoli gioielli. Nella storia di Y, narrata nel racconto che dà il titolo alla silloge, è facile leggere una critica alle avanguardie (alle astruserie di molta letteratura, all’altezzosità di tanti scrittori e anche alla fumosità condiscendente di tanta critica), ma il discorso sull’intraducibilità della poesia tocca da vicino il nervo scoperto di qualunque discorso letterario: quello dell’ambiguità di ogni lingua e di ogni linguaggio. In “Maria Giuseppa” (che Calvino indicò come il racconto che, nel 1929, rivelò il talento di Landolfi) e “Mani” (“la straziante morte di un topo e il suo folle funerale”, così lo definì l’autore) colpisce il punto di vista eccentrico che l’autore sceglie per narrare piccole vicende che, da bozzetti di vita di provincia, assumono altri misteriosi significati dopo essere state attraversate dall’assurdo o dal morboso (difficile non cogliere il magistero di Gogol’ e Kafka). Gli altri racconti, decisamente più involuti e meno conclusi, lasciano intravedere il rischio a cui Landolfi, talora, si esporrà anche nelle opere della maturità: quello di un certo intellettualismo un po’ tortuoso.

GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Come sanno bene gli enigmisti, ogni indovinello che si rispetti si fonda su una doppia lettura. Genere antichissimo (il padre di tutti gli enigmi è quello della Sfinge che fu risolto da Edipo), diventa presto un gioco letterario; si cimenta, in tarda età, anche Galileo Galilei, che scrive un sonetto, inserito in un’antologia di poesie enigmatiche, intitolato proprio Enimma:

Mostro son io più strano e più diforme
Che l’arpía, la sirena o la chimera;
Né in terra, in aria, in acqua è alcuna fiera,
Ch’abbia di membra così varie forme.

Parte a parte non ho che sia conforme,
Più che s’una sia bianca e l’altra nera;
Spesso di cacciator dietro ho una schiera,
Che de’ miei piè van rintracciando l’orme.

Nelle tenebre oscure è il mio soggiorno;
Ché se dall’ombre al chiaro lume passo,
Tosto l’alma da me sen fugge, come

Sen fugge il sogno all’apparir del giorno;
E le mie membra disunite lasso,
E l’esser perdo, con la vita, e ’l nome.


Il soggetto del sonetto dunque è l’enigma, ma in realtà Galileo sta offrendoci un ritratto amaro di sé stesso e della sua travagliata attività di scienziato (anzi di filosofo, come si era definito nella sua opera più rivoluzionaria, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo), ormai anziano e provato dalle vicissitudini della vita.

Ma è solo nel Novecento che la letteratura acquisisce tutta l’ambigua consapevolezza della sua natura enigmatica. E come in quelle immagini apparentemente assurde che si spiegano solo con sé stesse – dal nastro di Möbius alle litografie di Escher –, anche nella narrativa il paradosso diventa il più potente strumento di interpretazione della realtà. È il caso di molti racconti di Jorge Luis Borges, e in particolare di uno dei suoi più celebri, Il giardino dei sentieri che si biforcano, titolo del racconto ma anche del libro di un immaginario scrittore cinese, nel quale, come in un labirinto, sono presenti tutte le possibili alternative di ogni evento narrato. Il romanzo è, quindi, “un enorme indovinello, o parabola, il cui tema è il tempo”; e infatti la vicenda del racconto di Borges, ambientata in Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale e incentrata sulla figura di un discendente dello scrittore cinese, spia al soldo della Germania, contiene a sua volta un enigma, al punto che l’autore, nella premessa alla raccolta Finzioni che contiene il testo, lo presentava così: “l’ottavo (Il giardino dei sentieri che si biforcano) è poliziesco: i lettori assisteranno all’esecuzione e a tutti i preliminari di un delitto il cui scopo non ignorano, ma che non comprenderanno, mi sembra, fino all’ultimo paragrafo”. Ulteriore dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che è l’enigma l’essenza stessa della letteratura.

Testi citati
Galileo Galilei – ENIMMA (1643)
Jorge Luis Borges – IL GIARDINO DEI SENTIERI CHE SI BIFORCANO, in “Finzioni” (1941)