QUATTRO AMICI – David Trueba

# 270 – David Trueba – QUATTRO AMICI (Feltrinelli, 2003, ediz. orig. 1999, pagg. 241)

Spagna, fine anni ’90: quattro amici poco meno che trentenni, ancora indecisi tra la voglia di divertirsi e l’assunzione delle responsabilità familiari e lavorative, decidono di concedersi una folle vacanza da soli, senza mogli né fidanzate, senza pensieri, un viaggio scriteriato a bordo di un furgone semi-scassato e puzzolente, comprato per pochi pesos da un venditore itinerante di formaggi. Il protagonista e voce narrante del libro ha un soprannome che è tutto un programma: Solo, battezzato così dagli amici perché solitario e tendente all’autocommiserazione, specie da quando è finita la sua storia sentimentale con la bella Barbara. Raúl, invece, dopo essersi sposato con Elena ed essere diventato padre di due gemelli, ha dovuto dire addio alle avventure mordi-e-fuggi a base di fruste e manette, che gli piacevano tanto; al pingue Blas, di buon cuore ma imbranato con le donne, non ne va mai bene una, mentre Claudio, il bello del gruppo, non riesce mai a tenerlo nei pantaloni. A questo scombiccherato quartetto di amici che non se le mandano a dire si aggregano dapprima la più esperta e navigata Anabel, che illude Blas di un amore inesistente, e poi la ex-prostituta slava Sonja, che non vede l’ora di scappare per tornare nel suo Paese. Tra incontri con personaggi improbabili e disavventure di viaggio, i quattro amici finiranno nientemeno che al matrimonio della ex di Solo, Barbara, con l’aitante Carlos, e ovviamente manderanno tutto a scatafascio, o quasi. Ma prima o poi bisognerà tornare a Madrid, e scegliere che vita si vuol vivere…

Sono tanti, ma tanti davvero i punti di questo romanzo di David Trueba, scrittore e regista spagnolo classe 1969, che divertono sinceramente e inducono a sottolineare e ricordare frasi e passaggi. Indubbiamente è un buon segno, anche se non basta a rendere epocale un libro. Infatti, “Quattro amici” non è un grande romanzo, né avrebbe potuto esserlo, visti le premesse e lo stile sempre un po’ sopra le righe scelto dall’Autore, che affida la narrazione al più problematico e contrastato dei suoi protagonisti, quel Solo di cui non sappiamo neppure il vero nome, la cui penna ci trascina in un vortice di avventure e disavventure, alcune plausibili e anche godibili, altre francamente un po’ eccessive, tanto nei toni quanto nei contenuti.

Il cuore del libro è un tema addirittura abusato, da cinema e letteratura: l’incapacità di crescere delle ultime generazioni (in questo caso, siamo alla fine degli anni Novanta, ma il discorso – mutatis mutandis – sarebbe ancora valido), la resistenza davanti alle responsabilità che la vita a un certo punto chiede a ciascuno di assumersi, la paura di lasciare un mondo di svago e leggerezza per uno di scelte pesanti e ponderate. Ma, soprattutto, la paura di fallire, di dover ammettere – un giorno – il naufragio delle proprie ambizioni giovanili, il tramonto dei sogni, dei desideri e, perché no?, anche degli ideali. Questo tema dalle molte teste, affrontato in migliaia di libri e film, e spesso proprio con l’espediente del viaggio tra amici, è al centro del romanzo di Trueba e certo non contribuisce a rivestirlo d’originalità.

La scrittura, però, è briosa e non priva di tocchi d’una arguzia tutta iberica, venata di tristezza e disillusione, capace di prendere i cliché (vedi il confronto edipico tra Solo e suo padre) e riproporli in modo tutto sommato efficace, e il romanzo assume l’andatura di una milonga, un ballo vitale e assoluto, ma anche triste e abissale, marcato e sopra le righe. Suddiviso in tre parti ma fondamentalmente magmatico e vischioso, il libro non cambia mai passo e se questo è da una parte un pregio, dall’altra è anche un difetto, perché le avventure dei quattro protagonisti non fanno che replicare pedissequamente lo schema determinato dai loro caratteri: Solo è malinconico e spesso inutilmente distruttivo, Blas è perennemente illuso di poter fare del bene (e di riuscire a conquistare le ragazze nonostante la sua scarsa avvenenza), Claudio è vanesio e amorale e Raúl (forse il personaggio più interessante, anche se spinto un po’ troppo in là a livello di comportamento) è una sorta di pentola a pressione, che passa dal desiderio sessuale quasi belluino alla necessità di telefonare a sua moglie per chiedere come stanno i suoi figli.

Ecco, forse la scissione di Raúl è la migliore rappresentazione del romanzo di Trueba, che vorrebbe essere preciso e cartesiano nella struttura ma finisce per essere debordante e caotico, con la sua voglia di raccontare tutto e di far continuamente succedere cose, e questa ipertrofia narrativa l’Autore finisce per pagarla con un calo d’interesse da parte del lettore, quando si ritrova alle prese con l’ennesima mattana di questi quattro amici cui non si capisce bene che cosa manchi nella vita, la cui inquietudine (a tratti anche ben descritta) è forse un po’ troppo stereotipata per catturare davvero il lettore. E tra i personaggi di contorno si contano davvero tanti, troppi freaks descritti con uno stile eccessivo, sopra le righe e ansioso di stupire il lettore, dal padre fascista di Blas alla vecchia Estella, dal bullo di paese Pacote all’isterica moglie di Raúl. Da paragonare, impietosamente, con “La simmetria dei desideri” di Eskhol Nevo.        

(Recensione scritta ascoltando Gino Paoli, “Quattro amici al bar”)

PREGI:
lo stile è efficace, un Io narrante classico e arrabbiato; i caratteri dei protagonisti sono ben ritagliati, senza troppi fronzoli e col ricorso a qualche cliché ben speso; le situazioni, perlopiù, divertono, anche se in fondo le si è viste in decine e decine di film dedicati al ribellismo giovanile o all’inquietudine dei trent’anni. Trueba comunque non scrive male, e questo regala al libro una sufficienza piena 

DIFETTI:
se l’avvio è convincente, lo sviluppo della storia si fa un po’ ripetitivo e, soprattutto, ipertrofico, con troppe disavventure annunciate e troppe cadute nel grottesco. Il risultato è che si arriva un po’ stanchi all’importante terza parte, quella dedicata al matrimonio della ex di Solo, e la chiusa del libro scivola via anziché scolpirsi nel lettore

CITAZIONE:
“Raúl era divorato dal senso di colpa. Blas eludeva tutti i suoi problemi creandosene uno enorme: sono grasso. Claudio parcheggiava la certezza che tra una settimana avrebbe passato giorni e notti a distribuire casse di bibite, libero, ah sì, libero che la padrona di una bisca di Malasaña, dopo la consegna, gli succhiasse il cazzo e gli firmasse la bolla, o era il contrario? Ci portavamo dietro la nostra ben conservata libertà, alla faccia della presunta invidia del resto del mondo.” (pag. 194)

GIUDIZIO SINTETICO: **

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO