LECTIO BREVIS / 162

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 162
L’ESTATE È LA BELLA STAGIONE?
Le vacanze, le delusioni, le angosce, ma anche l’attesa e lo splendore del trionfo della natura

Eduard von Keyserling – AFA (1906)

Di cosa parla: A causa della bocciatura rimediata all’esame di maturità, il diciottenne Bill è costretto a rinunciare alla consueta vacanza al mare con la madre e i fratelli: il padre ha deciso di portarlo con sé nella proprietà di campagna della famiglia a Fernow. Qui il giovane dovrà trascorrere le sue giornate estive studiando; unico diversivo sarà la visita delle cugine Ellita (della quale verrà annunciato il fidanzamento con un altro cugino Went, oggetto di una sottile invidia da parte di Bill) e Gerda, di cui egli è infatuato. Il già difficile rapporto con il padre diventa ancora più complesso dopo una sconcertante scoperta, ma una prova ancor più dura attende Bill di lì a poco…

Commento: L’afa che dà il titolo a questa mirabile novella di von Keyserling è reale: è il caldo dell’estate in campagna che il protagonista è costretto a trascorrere in compagnia del padre, come punizione e al contempo via di uscita offerta e imposta a seguito della bocciatura scolastica. Ma l’afa è anche la felice immagine della condizione nella quale Bill si ritrova: il senso di oppressione non è determinato tanto (o solo) dalla forzata rinuncia alle vacanze al mare o dalla necessità di studiare, ma è incarnato dalla figura stessa del padre, unica compagnia certa e irrinunciabile. L’afa è l’irrigidimento dentro le costrizioni sociali, nei confronti delle quali il padre mostra una devozione assoluta e cieca (arriverà a sgridare il figlio quando lo troverà insieme a una contadina). È la tenue, il contegno, la condotta irreprensibile il valore di riferimento del genitore, che però cela al figlio (o pensa di celare) debolezze e comportamenti tutt’altro che in linea con i precetti che gli trasmette. Eppure, non è il rapporto tra padre e figlio l’unico tema della novella (difficile, considerato il contesto storico in cui la novella fu scritta, non pensare a Kafka, Svevo o Mann), e forse nemmeno il tema centrale. L’autore lascia intravvedere nella complicata relazione tra i due il senso stesso dell’inconciliabilità tra la vita, alla quale Bill si sta affacciando con il fardello della sua debolezza, della sua giovanile inettitudine caratteriale (il fallimento scolastico è il motore stesso, in termini narrativi e psicologici, dell’intera vicenda), e la sua ritualità, fatta di convenzioni, rispetto dei ruoli e inquadramento rigido, che richiede un vigore eccezionale per essere accettata e sostenuta davvero. Il capovolgimento delle aspettative, nel bellissimo finale della storia, obbligherà Bill a fare i conti con la realtà, a scoprire con angoscia che l’afa è una condizione esistenziale che riguarda tutti, ma proprio questo gli offre forse una possibilità di riscatto, nella direzione di una “normalizzazione” almeno parzialmente liberatoria. È persino superfluo sottolineare che la novella è scritta benissimo e sa riprodurre, con una raffinatezza non estenuata, nel paesaggio naturale della campagna gli echi della condizione dell’io narrante.

GIUDIZIO: ***½

Philip Roth – GOODBYE, COLUMBUS (1959)

Di cosa parla: Il giovane Neil Klugman vive insieme agli zii in un quartiere povero di Newark. Durante una vacanza estiva fa la conoscenza della bella Brenda Patimkin, che abita con la sua famiglia nel ricco sobborgo di Short Hills. Tra i due nasce un’attrazione basata anche sulle comuni origini ebraiche, ma le differenze sociali e non solo saranno d’ostacolo alla loro relazione…

Commento: Il racconto lungo, che dà il titolo al primo libro pubblicato da Roth, è un piccolo condensato dell’arte narrativa di cui l’autore americano avrebbe dato ampie dimostrazioni negli anni a venire. Insieme agli altri racconti della raccolta, traccia una sorta di itinerario ideale della poetica del suo autore, tra l’autobiografismo e il ritratto sociale, sfuggendo sia ai rischi del narcisismo sia all’ambizione del grande affresco. Le comunità ebraiche americane diventano così una sorta di osservatorio privilegiato per indagare un tema come l’identità. Nella vicenda di Neil e Brenda si intrecciano diversi livelli, che segnano, di volta in volta, l’avvicinamento ma anche la (irrimediabile) distanza tra i due: l’appartenenza sociale, innanzitutto, e l’aderenza alla comunità religiosa (“Sei ortodosso o conservatore?” vuole sapere con insistenza da Neil la signora Patimkin), ma anche il grado di conformità ai canoni di un’epoca – siamo alla fine degli anni Cinquanta – di grandi cambiamenti della morale (quella sessuale in primis, che è al centro del racconto per le implicazioni che ha sulla trama) ma anche dell’estetica (una delle prime cose di Brenda che colpisce Neil è che lei si sia rifatta il naso). In questo senso, Neil – primo dei tanti alter ego di Roth – sconta un’inadeguatezza di fondo, che è al contempo estraneità ai miti dell’America capitalista (esemplare la scena in cui fa una commissione presso la fabbrica della famiglia Patimkin, che produce acquai e lavandini) ma anche desiderio di inquadrarsi in un sistema di regole (il giovane ha un impiego da bibliotecario che svolge con scrupolo). Eppure, come dimostra il finale della storia, sarà Brenda, che agli occhi di Neil rappresentava anche un modello di emancipazione, di determinatezza, di libertà, a rivelarsi più di lui prigioniera di un conformismo repressivo e perbenista. E così, le illusioni passionali della gioventù sono destinate a svanire come un’estate di vacanza, sfumando nella nostalgia di un ricordo e lasciando in eredità un’identità nuova, una fragilità adulta.

GIUDIZIO: ***

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

L’estate è la stagione del crimine? Di certo, se un romanzo giallo ruota intorno a una vacanza, si può stare certi che presto o tardi scorrerà del sangue e l’investigatore di turno, che sperava di godersi qualche giorno di riposo, dovrà rinunciare ai suoi propositi e tornare a vestire i panni che più gli sono consueti. È un vero e proprio topos nel giallo classico, dove peraltro i detective sono per lo più o dilettanti che non lavorano (e quindi in vacanza ci sono quasi sempre) o professionisti più che agiati (che in vacanza, volendo, possono andarci spesso). I gialli estivi e vacanzieri, in ogni caso, abbondano: il più celebre è forse Poirot sul Nilo di Agatha Christie, pubblicato nel 1937. Due anni prima che l’investigatore belga dalla testa a uovo decidesse di imbarcarsi su una nave da crociera, era stato un suo collega d’oltremare, Ellery Queen, a decidere di prendersi una vacanza, in una meta meno esotica ma più geograficamente fantasiosa: lo scrittore e detective americano aveva optato per Capo Spagna, rinomata località sull’oceano. Una volta arrivato nella casa che ha affittato, Ellery vi trova una ragazza legata a una sedia. È stata rapita la sera prima, insieme a suo zio, in una lussuosa villa nelle vicinanze. Nel riaccompagnarla a casa, si scopre che, intanto, è stato commesso un delitto. L’indagine è rigorosa, come sempre, e la soluzione è il consueto trattato di logica, anche se forse l’enigma e il mistero sono un po’ limitati. Le vacanze sono rovinate, ma Ellery e i lettori, in fondo, lo sapevano che l’estate senza delitti sarebbe stata occupata dalla noia.

D’altronde, com’è banalmente chiaro dal conto alla rovescia per le vacanze, l’estate è la stagione dell’attesa: materia per poeti, e infatti Leopardi lo dice nello Zibaldone (“L’estate, oltrechè liberandoci dai patimenti, produce in noi il desiderio de’ piaceri, ci dà anche una confidenza di noi stessi, e un coraggio, che nascono dalla facilità e libertà di agire che noi proviamo allora per la benignità dell’aria”), e Emily Dickinson lo canta con tutta la grazia di immagini capaci di evocare la pienezza miracolosa della bella stagione, ma anche di suggerire la fugacità del sacro splendore della festa cui l’uomo e la natura hanno partecipato:

Verrà infine l’estate:
dame con l’ombrellino
e signori a passeggio col bastone,
fanciulle con le bambole,

coloriranno il pallido paesaggio
come un festoso mazzolino,
anche se sprofondato in mezzo al marmo
appare ora il villaggio.

I lillà che s’intrecciano da anni
si piegheranno sotto un peso viola;
non sdegneranno le api la musica
su cui ronzarono i loro antenati.

E le rose di macchia arrossiranno
nella palude, l’aster sopra il colle
riprenderà il suo stile eterno
e le genziane avranno i loro merletti,

finché l’estate ripieghi il miracolo
come una donna ripiega la veste
o i sacerdoti ripongono i simboli,
compiuto il Sacramento.

Testi citati
Ellery Queen – IL MISTERO DI CAPO SPAGNA (1935)
Emily Dickinson – VERRÀ INFINE L’ESTATE (1862)

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO