LECTIO BREVIS / 78

Appunti e spunti minimi su libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 78
QUALCOSA NON TORNA

ovvero paradossi e misteri della realtà

UN CLASSICO: “La pelle di zigrino” di Honoré de Balzac
UN GIALLO: “Gli omicidi dello zodiaco” di Shimada Sōji
DALLO SCAFFALE: “Epepe” di Ferenc Karinthy
LECTIO BREVISSIMA: “Una e una notte” di Ennio Flaiano

UN CLASSICO
“D’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura” (Italo Calvino)

Honoré de Balzac – LA PELLE DI ZIGRINO (ediz. orig. 1831)

Di cosa parla: Parigi. Il giovane Raphaël de Valentin, in preda alla disperazione per i debiti contratti, è intenzionato a suicidarsi gettandosi nella Senna. Entrato per caso in una bottega antiquaria, trova un oggetto curioso: una pelle di zigrino che funge da talismano. Chi la possiede, può soddisfare ogni desiderio; ma, ad ogni desiderio espresso, la pelle si restringe e, con essa, anche la durata della vita del suo proprietario. Raphaël decide di comprarla e di dedicarsi, da quel momento in avanti, a una vita dissipata, di lussi e piaceri sfrenati. Può così rievocare le sue esperienze precedenti, segnate dalle sofferenze causategli dalla crudele Fedora, in attesa di provare le gioie dell’amore per l’angelica Pauline ma anche le nefaste conseguenze del restringimento della pelle…

Commento: Romanzo chiave nella ricchissima produzione dell’autore, è un’opera che, al di sotto degli evidenti riferimenti autobiografici (è appena il caso di ricordare che Balzac fu costretto a scrivere ossessivamente nel tentativo, vano, di rimediare ai fallimenti economici e sfuggire ai creditori che lo assediavano), inaugura di fatto la stagione della piena maturità artistica dello scrittore. Il tema topico del patto col diavolo diventa lo spunto ideale per tratteggiare un quadro cupissimo (ma non privo di slanci ironici) della corrotta buona società parigina, un mondo popolato da un sottobosco di personaggi avidi, cinici, arrivisti e privi di ogni capacità. Non importa, suggerisce Balzac, se i desideri sono buoni o cattivi in sé (la pelle di zigrino infatti si restringe in ogni caso): quel che conta, e porta inevitabilmente alla rovina, è il delirio di onnipotenza che abita l’uomo, contro il quale anche l’amore più puro nulla può (come si deduce dalle parole finali pronunciate da Pauline).

GIUDIZIO: ****

UN GIALLO
“Il romanzo poliziesco è un gioco intellettuale; anzi uno sport addirittura” (S.S. Van Dine)

Shimada Sōji – GLI OMICIDI DELLO ZODIACO (ediz. orig. 1981)

Di cosa parla: Giappone, 1936. Umezawa Heikichi, artista eccentrico, appassionato di astrologia, alchimia e occultismo, viene trovato morto nel suo studio, chiuso a chiave dall’interno. Tutt’intorno, sulla neve caduta per ore, solo due serie di impronte. Tra gli appunti dell’uomo viene ritrovato un raccapricciante progetto: la creazione di Azoth, un essere femminile magico, che Umezawa, a quanto scrive, intende realizzare assemblando parti dei corpi di sei donne, tutte sue parenti. Il fatto inquietante è che, dopo la sua morte, qualcuno sembra avere realizzato davvero il suo folle proposito…

Commento: Romanzo d’esordio dello scrittore giapponese, specialista del giallo, si iscrive nel solco di buona parte del mystery moderno di cui presenta alcuni stilemi ricorrenti (il serial killer, animato da folli propositi, ma anche il cold case, visto che sul mistero irrisolto indagano, a quarant’anni di distanza, un astrologo investigatore dilettante e il suo assistente). Interessante l’omaggio alla più antica tradizione, quella del delitto della camera chiusa, ma, nonostante le premesse accattivanti, resta l’impressione che non tutto torni alla perfezione nello sviluppo e anche nello scioglimento, che peraltro pecca di una certa ripetitività, a scapito della suspense. Un po’ didascaliche certe pagine sul Giappone e la sua cultura. Privi di attrattiva, purtroppo, i personaggi.

GIUDIZIO: **

DALLO SCAFFALE
“La Biblioteca è così enorme che ogni riduzione d’origine umana risulta infinitesima” (Jorge Luis Borges)

Ferenc Karinthy – EPEPE (ediz. orig. 1970)

Di cosa parla: Budai è un linguista ungherese di fama internazionale e, proprio in questa veste, si sta recando a Helsinki per partecipare a un convegno. All’aeroporto di Budapest, a causa di un errore, finisce su un volo sbagliato e, all’atterraggio, si ritrova in una città sconosciuta. Viene accolto in albergo, ma deve presto rendersi conto che tutti intorno a lui parlano una lingua incomprensibile, scritta in un alfabeto del tutto ignoto e indecifrabile. I suoi tentativi di orientarsi si scontrano con l’incapacità degli abitanti del luogo di entrare in relazione con lui. Tutti, tranne l’ascensorista dell’hotel, il cui nome è, forse, Epepe…

Commento: Piccolo grande gioiello, il romanzo, per il quale il più immediato riferimento è senz’altro Kafka, si regge su un topos della letteratura: l’arrivo in una terra sconosciuta. Il colpo di genio è che qui tutto è apparentemente familiare (o, comunque, non molto dissimile dal mondo di provenienza del protagonista), tranne la lingua, il che, per un linguista di professione, è fonte di massimo spaesamento. L’autore è bravissimo nel non trasformare un’idea di per sé azzeccata in un trattato sull’incomunicabilità, traendone anzi continui spunti sul piano narrativo in un crescendo di tensione che trova nel finale una conclusione tanto perfetta da sembrare da subito inevitabile. E poi, su tutto, aleggia il mistero più grande: quello dell’amore, con il paradosso che al protagonista non è dato neanche di conoscere il nome esatto della donna a cui è rivolto il suo sentimento.

GIUDIZIO: ***½

LECTIO BREVISSIMA

Ennio Flaiano – UNA E UNA NOTTE (1959)

Graziano fa il cronista per un giornale romano, ma, poco considerato dai colleghi, animato da ambizioni cui mostra di non essere all’altezza, passa pigramente le giornate tra il lavoro di redazione e la compagnia della squillo Botton Zelinda, in arte Dory Nelson, la sola con la quale riesca goffamente a dar prova delle sue maldestre doti di seduttore. L’incontro con una donna sul litorale romano, dove è atterrata un’astronave, lo porterà a vivere un’avventura tanto singolare quanto destinata ad assumere contorni farseschi. È questa la trama del primo, e più interessante, dei due racconti che compongono la raccolta omonima (il secondo, intitolato Adriano, è accomunato dall’ambientazione nella campagna laziale, dove il protagonista si rifugia per provare, invano, a sottrarsi alla vita mondana di Roma). È la dimostrazione, semmai ce ne fosse bisogno, che Flaiano, che compose questi due testi negli anni in cui lavorava (anche) come sceneggiatore con Fellini, non è solo maestro indiscusso dell’aforisma, del frammento, del bozzetto, ma è un grandissimo scrittore, capace di una vena originalissima che si esprime al meglio, come qui, nel ritratto di personaggi smarriti (inetti o vitelloni): essi si rivelano tanto incapaci di uscire dalla monotonia della loro esistenza che persino la realtà più paradossale (è il caso dell’astronave, parente stretta del marziano a Roma protagonista di un altro celebre racconto dell’autore) finisce presto per assumere i tratti più ordinari, fagocitata nel mondo di tutti i giorni (così, anche la campagna di Adriano è ormai indistinguibile dalla città).