VENEZIE – Paul Morand

# 293 – Paul Morand – VENEZIE (Neri Pozza, 1995, ediz. orig. 1971, pagg. 174)

All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, lo scrittore Paul Morand, ormai ottuagenario, raccolse in un volume una serie di scritti ispirati, in qualche modo, a Venezia, città da lui sempre amata e vagheggiata, desiderata e frequentata, per decenni, fin da quando era un giovane e turbolento riformatore della letteratura francese.
Amico di Proust e di una quantità di altri letterati e intellettuali, nonché di uomini politici e nobildonne, compromesso col Governo di Vichy ma capace di reimporsi all’attenzione del mondo letterario e accademico, Morand ormai anziano travasa nelle pagine su Venezia tanto le sue illusioni di gioventù quanto i suoi scoramenti di vecchiaia, tanto il rimpianto per epoche nelle quali “si poteva fare qualcosa” quanto l’osservazione ironica e disarmata dell’imporsi del fenomeno degli “hippies”, guardati da Morand con un misto di compatimento e curiosità.
Scenario mobile di questo variegato dramma umano in cui si mescolano aneddoti e riflessioni è Venezia, città unica, città dell’anima e dell’inconscio, città dalla storia millenaria a fronte della quale rivalità letterarie e meschinità politiche sembrano impallidire, svanendo tra le brume della laguna decembrina. 

Tarda e rievocativa opera di uno scrittore indubbiamente interessante, per quanto non annoverabile tra i “grandi” della letteratura francese del XX secolo, questo “Venezie” è uno di quei libri dal genere indecidibile, né saggio né racconto, né memoria né narrativa, né pamphlet né autobiografia, eppure un po’ di tutto ciò. Procedendo quasi in ordine cronologico, dagli anni precedenti la Grande Guerra fino all’inizio degli anni Settanta, passando per quelli, tetri, della Seconda Guerra Mondiale, e indugiando a volte su ricordi personali, altre volte su aneddoti di vita veneziana (e non solo), altre volte ancora dedicando pagine e riflessioni a singoli luoghi – un palazzo, una villa palladiana, un locale dietro la Fenice – Paul Morand riesce a far rivivere non un solo mondo, ma molti, dalla Belle Époque ai contrastati anni Trenta, dal desolante secondo dopoguerra ai libertini anni Sessanta.

A cementare il tutto, garbata e vanitosa, è proprio Venezia, presente in qualche modo anche nelle pagine dedicate a vicende parigine o triestine; Venezia con le sue calli e i suoi canali, coi ponti eleganti e vezzosi e le gondole pigre e caracollanti, ma soprattutto Venezia con la sua imponderabile storia. C’è una bellissima, semplicissima frase a un certo punto nel libro: “L’Italia ha un secolo; Venezia ne ha quindici.” Questa piccola, semplice notazione rende perfettamente l’idea di quel senso di stupore che si prova ogni volta che ci si trova a passeggiare per le calli veneziane, sotto i suoi oscuri sotoporteghi, nei suoi assolati campi e campielli, e ogni volta che si solcano, sul vaporetto o in gondola, le acque dei canali, a partire da quel Canal Grande che qualcuno ha definito “la più bella strada del mondo”, e che genialmente Paul Morand accosta alla Fifth Avenue di New York, perché la Venezia del quindicesimo secolo è stata “una sorta di Manhattan, di città predatrice, eccessiva, urlante di prosperità, con un Rialto che era il ponte di Brooklyn del tempo.” Bellissimo, diacronico accostamento che spiega di Venezia più di molti seriosi e ponderosi saggi.

Ecco, il libro di Morand vive di queste folgoranti illuminazioni, disseminate in una narrazione sincopata, che saltabecca tra gli anni e i luoghi, tra i ricordi e gli aneddoti, tra i volti di un tempo passato e i caratteri di un presente – i primi anni Settanta – che a Morand non piace più, che ha qualcosa di strano, con una Venezia invasa dagli “hippies”, ubriachi e trasandati, nuovi vessilliferi di quell’eterna ricerca di libertà e di anticonformismo che aveva interessato lo stesso Morand negli anni Venti, ma così difficili da capire e da apprezzare da parte di un colto signore francese di ottant’anni che ancora gira per Venezia con la sua fedele fiaschetta di grappa e con gli occhi pieni di ricordi e di amori, consumati o solo vagheggiati.

Universalmente considerata “città dell’inconscio” per via della sua doppia natura terrestre e acquatica, e per via del suo profondo mistero, che sembra emergere sotto forma di lampi scuri dalle acque della laguna, Venezia è una e molteplice nelle pagine di Paul Morand, che è troppo raffinato per accontentarsi di una definizione psicologica di comodo. Per lui, Venezia è fondamentalmente mistero, ambiguità e ricordo, è tempo fermo, è punto di partenza e di approdo, è luogo dell’anima a cui si torna ogni volta che si ha la sensazione che la propria vita si stia sgretolando, sotto il peso della politica, della guerra, della bruttezza o dell’ingiustizia.

Talmente indefinibile da dover essere declinata, nel titolo del libro, al plurale, Venezia vien fuori piano piano dalla penna di Morand come dalle delicate pennellate di un acquarellista, e altrettanto si nasconde, a tratti, per ripresentarsi sotto un aspetto completamente diverso, consapevole – parrebbe – di essere uno dei pochi luoghi al mondo in cui, a distanza di secoli, è ancora possibile provare le stesse sensazioni provate da un Giorgione, da un Byron, da uno Czernin, da un Proust, da un Diaghilev, da un Morand.           

(Recensione scritta ascoltando Antonio Vivaldi, “Le Quattro Stagioni” nell’esecuzione dei “Musici di San Marco”)

PREGI:
prezioso in quanto raccolta di ricordi e aneddoti di un uomo che, in qualche modo, ha attraversato la storia del Novecento conoscendo letterati e imprenditori, uomini politici e mecenati, artisti e rivoluzionari, il libro è una bella evocazione di Venezia vista da molte diverse angolazioni, ma è anche un riassunto, snello e per forza di cose parziale, delle tante passioni che hanno innervato il secolo breve  

DIFETTI:
fatalmente molto aneddotico e a tratti vagamente supponente, non è adatto a chi Venezia non l’ha mai vista né – ça va sans dire – a chi la detesta

CITAZIONE:
“A Venezia, l’uomo conosce una gioia nuova: non avere l’automobile, come a Zermatt, come un tempo alle Bermuda, felice in una città senza marciapiedi, senza semafori, senza fischietti, dove la passeggiata a piedi scorre simile all’acqua: eccomi partito, senza peso specifico, un vero palloncino.” (pagg. 112-113)

GIUDIZIO SINTETICO: ***

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO