# 18 – Alessandro Piperno – CON LE PEGGIORI INTENZIONI (Mondadori, 2005, pag. 304)
Fatti e misfatti della famiglia Sonnino, ebrei romani tanto avventurosamente arricchitisi quanto miseramente caduti in disgrazia, raccontata dalla voce dell’ultimo discendente della casata, l’intelligente ma problematico Daniel, collezionista di biancheria femminile usata e cultore della crudeltà, sia verbale che comportamentale.
Lessi una prima volta “Con le peggiori intenzioni” poco dopo la sua uscita, non perché ne fossi particolarmente attratto (diffido sempre un po’ dei “casi letterari” o dei libri che non sono neanche arrivati nelle librerie e sono già coperti di premi e onorificenze), ma perché l’avevo casualmente trovato in biblioteca mentre svolgevo ricerche di altro tipo. Lo presi per togliermi la curiosità e ne rimasi, lo dico sinceramente, piuttosto deluso. Lo trovai vacuo e inutilmente derisorio, una vera e propria presa per i fondelli del lettore, tanto più che il suo Autore, Alessandro Piperno, veniva presentato un po’ ovunque come “grande esperto di Proust”, e il suo libro veniva definito a destra e a manca “proustiano”. Cosa ci fosse di proustiano in quella ebraica sarabanda di antisemitismo di stampo, se vogliamo, vagamente rothiano, non lo capii. Cosa faceva pensare a Proust? Il fatto che il protagonista, in Io narrante, rievocasse la storia delle ultime tre generazioni della sua famiglia, dal donnaiolo e sconsiderato Bepy al feticista Daniel? La precisa disamina delle idiosincrasie dell’alta società romana, col suo impasto di nobili decaduti e ricchi parvenu? Non diciamo stupidaggini, pensai: Proust, con la “Recherche”, costruisce una incredibile Cattedrale dedicata anzitutto al Tempo; Piperno, al più, costruisce una chiesetta di poche pretese baroccamente decorata, tra viziati rampolli di buona famiglia, diciassettenni modiste disinibite, furti di mutandine e onanismi vari.
Ora, alla prova della rilettura appena terminata, il giudizio sostanzialmente non cambia, anche se si arricchisce di alcune ulteriori considerazioni che probabilmente alla prima lettura, un po’ affrettata, nel 2006 o giù di lì, non avrei potuto svolgere. Anzitutto, un discorso di stile: Piperno, chiariamolo, non scrive male, anzi, scrive con fin troppa ricercatezza, inietta cultura in ogni passaggio, e costruisce una sorta di “Lamento di Portnoy” (questo può essere il vero modello di “Con le peggiori intenzioni”) intriso di italianità e non altrettanto scoppiettante, anzi, a tratti piuttosto funebre. La scrittura, comunque, non è in discussione. Quello che un po’ fa specie è l’avviticchiarsi del romanzo attorno alle solite perennemente irrisolte “nevrosi da classe agiata”: non mi sopporto perché sono ebreo, ma d’altronde è così fico essere ebrei! E poi, come si può vivere l’essere ebrei? Andando a vivere a Tel-Aviv e diventando giornalisti nazionalisti e violentemente anti-palestinesi, come Teo, lo zio del protagonista, o dissimulandosi con ipocrisia in una società in cui, più che le origini o il credo religioso, contano le apparenze e il dispendio economico quando si organizza una festa? Insomma, lasciamo stare Proust. Piperno si muove piuttosto tra Philip Roth (di cui però non ha né la leggerezza di tocco né la profondità di pensiero) e Woody Allen, da cui sembra prendere in prestito la pesante, a volte persino greve ironia incentrata sull’ebraicità.
Cosa ne esce? Un libro che si fa ammirare per l’eleganza consapevole e compiaciuta della scrittura ma che sembra destinato fin da subito a non arrivare da nessuna parte, a risolversi più o meno (nonostante le alte ambizioni anche drammatiche!) in poco più di una barzelletta sconcia di quelle che fanno poco ridere. I Sonnino sono una famiglia piena di storture fisiche e caratteriali, e i loro amici/nemici – i Cittadini, gli Arcieri, i Ruben e via almanaccando – non sono tanto diversi da loro, dopotutto, prigionieri anch’essi delle ipocrisie e delle nevrosi degli arricchiti pariolini, che possono comprarsi una Porsche a settimana e andare in vacanza in castelli sulla Costiera amalfitana, ma sono così lacerati, poverini, così tristi, così insoddisfatti che… gli manca solo di essere anche ebrei! Freddo, intelligente e calcolato gioco al massacro, “Con le peggiori intenzioni” è letteratura consapevole di essere letteratura, è un libro nato per far gridare al genio, costruito per offendere e lusingare al tempo stesso i salotti “bene”, ma se vi interessa una letteratura fatta di “ebraismo critico”, accettate un consiglio spassionato (non se ne abbia a male Piperno, che d’altronde ha fatto il pieno di premi e può consolarsi): leggete piuttosto un “Pastorale americana”, una “Operazione Shylock” o un “Teatro di Sabbath”. Insomma, leggete Philip Roth. Senza nulla togliere al professor Piperno.
P.S. Immancabile e ridicolo come sempre il virgolettato di Antonio D’Orrico in quarta di copertina: “Sul tappeto verde della letteratura, Alessandro Piperno ha giocato la sua vita. E ha sbancato.” Risparmio ogni commento: D’Orrico (quello per cui Faletti era “il più grande scrittore italiano”) si commenta sempre da sé…
(Recensione scritta ascoltando i R.E.M., “Losing my Religion”)
PREGI:
la scrittura è indubbiamente molto raffinata, sia terminologicamente che sintatticamente, ed elargisce soddisfazioni a chi ama gustare periodi lunghi e complessi
DIFETTI:
la pretenziosità del libro trasuda, si può dire, quasi da ogni pagina, e va ad insidiare (anche se non riesce a batterlo) nientemeno che il Re dei Pretenziosi, Roberto Calasso: Impresa non da poco!
CITAZIONE:
“È fatale: l’amore è annoverabile tra quelle esperienze emotivamente estreme che ci rendono puritani e reazionari!” (pag. 224)
GIUDIZIO SINTETICO: **
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…