LA CARTA E IL TERRITORIO – Michel Houellebecq

# 264 – Michel Houellebecq – LA CARTA E IL TERRITORIO (Bompiani, 2010, pagg. 360)

Il giovane artista francese Jed Martin, figlio di un architetto di successo e di una donna suicidatasi quando era ancora piccolo, cresce in un’atmosfera priva di reale affetto, che lo induce a sviluppare un’arte oggettiva e osservativa, fotografica e situazionale. Dopo l’enorme successo ottenuto con una serie di fotografie iperrealistiche e dettagliate delle celebri carte stradali Michelin, Jed si dedica alla pittura e sfonda con una serie di quadri dedicati alla raffigurazione di mestieri e ruoli sociali. Divenuto milionario senza che questo abbia in alcun modo scalfito la sua impassibilità nei confronti della vita e degli uomini (come anche delle donne, che ama senza trasporto e senza reale coinvolgimento), Jed coltiva due uniche relazioni: quella fitta di sottintesi con l’anziano padre, ormai ricoverato in una casa di cura e malato terminale, e quella con lo scrittore Michel Houellebecq, che ha scritto un testo critico per una sua mostra e al quale Jed ha fatto omaggio di un ritratto dall’immenso valore. Condividendo con Houellebecq la disillusione nei confronti del mondo e della società, Jed trova nel celebrato e discusso Autore una sorta di alter ego, silente e disinteressato, ma forse dopotutto comprensibile e apprezzabile. Un terribile fatto di sangue cancellerà però anche questa parvenza di rapporto umano, e nelle sue ultime, enigmatiche opere – realizzate con il ricorso a complesse tecnologie video – Jed Martin non potrà che registrare da una parte il suo distacco definitivo dagli altri, e dall’altra lo scollamento del mondo stesso dall’unica specie animale che se ne arroga il possesso esclusivo: l’Uomo.

Premio Goncourt 2010, “La carta e il territorio” segna la definitiva consacrazione di Michel Houellebecq nell’Olimpo della letteratura mondiale, se mai ce ne fosse stato bisogno dopo capolavori come “Piattaforma” e “Le particelle elementari”. Per una volta, un premio letterario non è meritato, ma strameritato: il romanzo è straordinario tanto nella struttura quanto, soprattutto, nello stile, bilanciatissimo e sorvegliato, ma attraversato da una tensione inenarrabile e da lacerazioni improvvise e devastanti, come sarà anche per il successivo (ma meno riuscito) “Sottomissione”.

Ancora una volta, Houellebecq sceglie un protagonista anaffettivo e distaccato, solo apparentemente grigio e opaco, ma descritto, in realtà, alla perfezione nella sua volontaria atarassia, unica arma di difesa contro un mondo divenuto incomprensibile e irraccontabile, preda di mode e ossessioni che più nulla hanno a che vedere con la natura profonda dell’essere umano, specie in evoluzione (o, meglio, in involuzione) che Houellebecq osserva e giudica come nessun altro scrittore contemporaneo è stato capace di fare. In realtà, però, manca un giudizio vero e proprio su quella che Guido Morselli (vero archetipo di Houellebecq dal punto di vista della misura e dello stile!) ebbe a definire “razza di bipedi”: non c’è bisogno, sembra dirci Jed Martin con la sua stessa opera, di esprimere giudizi. Basta guardare. Basta osservare, col giusto distacco, e le crepe di quella che chiamiamo società emergeranno in tutta la loro evidenza.

Aperto da una caldaia che si guasta e chiuso su una macchina da presa che si limita a registrare passivamente il trionfo della vegetazione su tutto ciò che è antropico, “La carta e il territorio” è anche una colossale riflessione sull’atto dello scrivere, giacché uno scrittore – seppur si ponga, in questo caso, anche come personaggio – non può certo esimersi dal riflettere sulla propria attività, nel momento in cui ogni fibra del suo pensiero sembra volta a negare ogni validità alle umane imprese, ogni unicità ai sentimenti, ai dolori e alle gioie di uomini e donne, esseri insignificanti che si agitano in un microcosmo (il mondo, la vita) di cui sembrano non percepire gli angusti confini. Ebbene, il segreto di questo libro sottile e intelligentissimo, ancorché distaccato e crudele, risiede proprio in quel titolo – “La carta e il territorio” – che unisce e, allo stesso tempo, inevitabilmente separa la realtà e la sua rappresentazione, il mondo e il racconto del mondo, e ci invita a non confonderli mai.

Stanley Kubrick amava dire: “Se siete in grado di parlare brillantemente di un problema, potete illudervi di averlo sotto controllo”. Allo stesso modo Michel Houellebecq ci ricorda che per quanto bene si possano raccontare il mondo e l’esistenza (e lui li racconta indubbiamente bene), essi resteranno, alla fine, sempre enigmatici e irrisolti, privi di quella tanto attesa “illuminazione” (sulla quale vertono, non a caso, le maggiori religioni monoteiste) che ce ne faccia capire il senso profondo – ammesso che ve ne sia uno. “Il mondo è medio”: vero, ed è anche monco e irrisorio, e l’uomo, dentro di esso, è ancor meno, è un dettaglio, un incidente biologico, una creatura che ha sviluppato sufficiente autocoscienza da illudersi di essere lo scopo di una Creazione di cui, invece, è soltanto spettatrice – e neanche privilegiata, forse.

Lucidissimo e disincantato, “La carta e il territorio” eviscera il lettore senza quasi che egli se ne accorga, e lascia un senso di desolazione e di vacuità riscattato soltanto, forse, dall’Arte – a patto che non venga “spiegata”, che sia legata al sentire più che al capire, all’emozione (che, Houellebecq non lo nega, è la vera magia dell’esistere e dell’essere umani) piuttosto che alla comprensione; che alla fine – di nuovo Kubrick docet – non è che un’illusione, quella che la carta sia il territorio, e viceversa.     

(Recensione scritta ascoltando i Popol Vuh, “Letzte Tage, Letzte Nächte”)

PREGI:
solita scrittura tagliatissima, solito stile inesorabile: “La carta e il territorio” è Houellebecq puro, da leggere e rileggere, con tocchi di saggismo tra i più riusciti della sua produzione (in questo caso, dedicati al mondo dell’arte contemporanea) e personaggi volutamente monotoni e “scivolosi” (oltre a Jed, da notare comprimari come la bellissima russa Olga, il padre architetto Jean-Pierre, il gallerista Franz, il commissario Jasselin e, da ultimo… lo stesso Michel Houellebecq, auto-descritto senza sconti!). Un libro gelido e intelligente, studiatissimo ma non privo di uno strano, inspiegabile pathos  

DIFETTI:
efficacissimo nel raccontare l’intera parabola di vita del suo protagonista, dagli esordi fino all’ultima, enigmatica opera, il romanzo pecca leggermente soltanto nella terza parte, dominata da una congerie di personaggi che, per forza di cose, non hanno il tempo di svilupparsi a dovere e di incidersi nel lettore. Poco significativo – ma questo non è necessariamente un difetto, visto che non siamo in un romanzo di Agatha Christie – il giallo finale, che domina a livello di trama ma si rivela, ovviamente, pretestuale

CITAZIONE:
“È curioso, si potrebbe credere che il bisogno di esprimersi, di lasciare una traccia nel mondo, sia una forza potente; eppure di solito non basta. Ciò che funziona meglio, ciò che spinge con la massima violenza le persone a superare sé stesse è ancora il puro e semplice bisogno di denaro.” (pag. 35)

GIUDIZIO SINTETICO: ***½

NOTA: i due quadri riprodotti nel testo provengono dalla versione in stile graphic novel de “La carta e il territorio” e riproducono rispettivamente le opere (immaginarie) di Jed Martin “Michel Houellebecq, scrittore” e “Damien Hirst e Jeff Koons si spartiscono il mercato dell’arte”

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

?
0
1/2
*
*1/2
NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
**
**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO