LA FAMIGLIA WINSHAW – Jonathan Coe

# 143 – Jonathan Coe – LA FAMIGLIA WINSHAW (Feltrinelli, 2007, ediz. orig. 1994, pagg. 478)

Lo scrittore Michael Owen lavora da anni a un libro, commissionatogli dalla decana un po’ svitata Tabitha, sulla temibile e famigerata famiglia Winshaw, le cui generazioni più giovani sono a diverso titolo compromesse con politica disonesta, giornalismo bieco e altre attività più o meno lecite, ma tutte esecrabili. Veri rappresentanti di uno yuppismo tardivo e sclerotico, i membri della famiglia Winshaw sono uno specchio – secondo Coe – dell’Inghilterra (ma potremmo dire dell’Europa) negli anni ’90: vacua ma di successo, cattiva ma coperta da una spessa patina di perbenismo, sporca nell’anima ma tirata a lucido in superficie. Riuscirà Michael a finire e pubblicare il suo libro? E quali sorprese lo attendono durante la travagliatissima stesura?

Universalmente riconosciuto come il capolavoro di Jonathan Coe, “La famiglia Winshaw” è indubbiamente il libro più complesso e stratificato dell’Autore inglese. Suddiviso in ampi capitoli ciascuno dei quali dedicato a un membro della famiglia Winshaw, dalla odiosa Hilary – giornalista prezzolata e senza scrupoli – al viscido Henry – politico cinico e trasformista, e, ancora, dall’insinuante e truffaldino gallerista Roddy alla terribile fustigatrice Dorothy, per finire con i non meno compromessi Thomas e Mark, con i quali fa capolino nel romanzo persino il traffico d’armi, il romanzo si muove agilmente tra una serie di personaggi mostruosi e dipinge un ritratto nero che più nero non si può di un’Inghilterra letteralmente “arata” dalla realpolitik thatcheriana, che sembra aver sdoganato tutte le peggiori abitudini legate al guadagno e al malaffare. 

Ora, si può benissimo non essere d’accordo con Coe e con il suo giudizio a tratti fin troppo severo del thatcherismo, ma resta il fatto che “La famiglia Winshaw”, a dispetto delle sue quasi 500 pagine, è una lettura che non può non conquistare: equilibrato, sapiente nel ritmo, gustoso nello sviluppo dei personaggi e, soprattutto, negli snodi della trama (Coe è un vero maestro nell’architettare trame!), il libro si legge che è un piacere, con partecipazione e interesse, attratti e respinti allo stesso tempo dai mostri Winshaw, accompagnati dalla figura garbata e imbranata di Michael Owen, scrittore in impasse creativa che – in parallelo a tutto il resto – vive anche una storia d’amore decisiva, con la dolce Fiona, una storia d’amore che rischia di arrivare a un finale tragico… Perché nelle riuscite migliori di Jonathan Coe nulla è mai scontato, e i colpi di scena si susseguono, anche in un romanzo apparentemente compassato come questo, sorta di “Buddenbrook” in salsa britannica, cattivo e scorretto, arrabbiato e sincero, indignato e sconsolante.

Tutto bene, dunque? Possiamo sdoganare “La famiglia Winshaw” come capolavoro assoluto? Purtroppo no. A far perdere a questo bellissimo romanzo (perché sia chiaro, resta un bellissimo romanzo!) la nomea di capolavoro assoluto sono le ultime 70 pagine, la famigerata parte seconda, “Un consesso di morti”, sorta di assurdo Cluedo con cui Coe decide improvvidamente di chiudere un libro altrimenti fantastico. Come posso spiegarvi cosa ho provato quando ho letto quelle ultime settanta pessime pagine? Provo a dirvelo così: è come quando, in una partita di scacchi giocata benissimo e approdata a un finale di torri e pedoni, si vanifica tutto lo splendido gioco svolto fino a quel momento con una mossa sbagliata di Re, che lascia un pedone alla mercé dell’avversario e gli concede, in questo modo, la vittoria finale. Oppure è come quando si va a mangiare in un ristorante che si conosce bene, nel quale la specialità è il fritto misto di pesce e, una volta seduti a tavola, si apprende, consultando il menu, che il fritto, quella sera, non c’è. Significa che si mangerà male? Nient’affatto: si mangerà comunque benissimo, ma che peccato non potersi abbuffare con il piatto che più si desiderava!

Ecco, leggendo la chiusa de “La famiglia Winshaw”, ho provato proprio una di queste sensazioni di delusione, di terribile spreco: un romanzo così perfetto, così ben congegnato, così arguto, così divertente e così capace di far riflettere, che si butta via con un finale sconsiderato, un “tritacarne” nel quale finiscono tutti, ma proprio tutti i personaggi – protagonista compreso – e che non sembra avere alcun vero senso narrativo, a meno che l’intenzione di Coe non fosse proprio quella di riflettere sul fatto che un libro come “La famiglia Winshaw”, in un certo senso, non può finire, come non “finiranno” mai i membri della famiglia stessa, ormai incistati – con altri nomi, certo – nel nostro mondo, destinati a restarci sotto forma di cattive abitudini, di malevolenza, di malvagità e di malaffare. Capolavoro mancato per 70 pagine, “La famiglia Winshaw” è comunque un libro imperdibile, il che la dice lunga sull’abilità affabulatoria di un Autore che può anche permettersi di sbagliare il finale!       

(Recensione scritta ascoltando Jimi Hendrix, “All Along the Watchtower”)

PREGI:
affascinante e complesso, perfetto nella costruzione di atmosfere e personaggi, è un romanzo che sembra contenerne molti altri, perfettamente dominati e controllati fino al finale, che sfugge di mano all’Autore ma non inficia quanto di buono proposto nelle precedenti 430 pagine! Da leggere assolutamente

DIFETTI:
del finale ho già parlato? Sì? Allora concentriamoci sugli altri difetti, sui quali ce la caviamo alla svelta: non ce ne sono! A parte la chiusa che, a mio avviso, non funziona, al romanzo si può imputare, al più, un pizzico di programmaticità: una volta che ne ha capita la struttura, il lettore in un certo senso sa anche cosa aspettarsi dal capitolo successivo, con ulteriori nefandezze e malignità targate Winshaw. Il che però non toglie gusto alla lettura  

CITAZIONE:
“Oh sì, adesso è a questo che puntano. Non gli basta essere ricchi da far schifo […] Questa è gente che vuole – e cazzo se la vuole – l’immortalità! Vogliono che i loro nomi figurino nel catalogo della British Library, vogliono le loro sei copie omaggio, vogliono poter inserire il bel volume rilegato fra Shakespeare e Tolstoj nella libreria del salotto. E ci stanno riuscendo. Ci stanno riuscendo perché gente come me sa fin troppo bene che, anche qualora trovasse un nuovo Dostoevskij, non venderebbe metà delle copie che realizzerebbe una merdata qualsiasi scritta da un pirla qualsiasi che legge le previsioni del tempo alla televisione, televisione del cazzo!” (pag. 105)

GIUDIZIO SINTETICO: ***½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi “classici” di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO