Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 120
IL MATRIMONIO S’HA DA FARE?
Sposarsi o non sposarsi: difficoltà, dilemmi e dubbi nuziali, borghesi e non
Luigi Pirandello – IL TURNO (1902)
Di cosa parla: Girgenti. Don Marcantonio Ravì ha un piano, in apparenza infallibile: far sposare sua figlia Stellina con il ricco e attempato Don Diego Alcozèr, reduce già da quattro matrimoni. Alla morte di quest’ultimo, che don Ravì ritiene imminente, Stellina, entrata in possesso dell’eredità, potrà risposarsi con Pepè Alletto, il giovane spiantato di cui è innamorata. Le nozze si celebrano, ma ben presto ci si accorge che don Diego, lungi dal decidersi a morire, sembra rinvigorirsi ogni giorno, con profondo rammarico di Stellina. La soluzione sembra arrivare dal cognato di Pepè, l’avvocato Ciro Coppa, che promette alla donna l’annullamento giuridico del matrimonio. Ma le mire dell’uomo non sono proprio quelle che lascia intendere…
Commento: Il secondo romanzo di Pirandello, scritto nel 1895 e pubblicato qualche anno dopo (l’edizione definitiva è del 1929, ma presenta ben poche variazioni), è ancora lontano dalla poetica delle opere più mature e più celebri. Più che degli echi veristi (che si riconoscono in una certa rappresentazione della realtà sociale della Sicilia di fine Ottocento), la storia risente degli schemi classici della commedia, con una trama complicata il cui scioglimento, continuamente rimandato, arriva dopo una serie di peripezie e di rovesciamenti di fortuna cui sono sottoposti i personaggi. Affiora, però, a incrinare uno schema troppo prevedibile (ci sarebbe da chiedersi, ad esempio, se e fino a che punto possa definirsi lieto il finale), l’idea, che Pirandello svilupperà nelle forme più complesse e profonde tipiche del suo teatro ancor più che della sua narrativa, della difficoltà di conciliare la vita e la sua rappresentazione. Ogni personaggio appare, infatti, come imprigionato dentro il suo bozzolo di convinzioni, pregiudizi, piccole meschinità che, spesso figli di condizionamenti e convenzioni, finiscono per scontrarsi con la realtà. E se, in fondo, si evita la tragedia che Pirandello riserverà ad altri suoi più celebri personaggi, è anche perché i protagonisti de Il turno mancano di grandezza (e di spessore: il romanzo è breve), quasi fossero ancora incapaci di uscire dal bozzetto in cui si trovano raffigurati. La vivacità dei dialoghi è il lato più godibile del libro.
GIUDIZIO: **½
Rae Foley – RICCA DA MORIRE (1974)
Di cosa parla: L’improvvisa morte del patrigno in una sciagura aerea fa di Janice Edwards, che lavora come segretaria, l’erede di un’enorme fortuna. Peccato che la ragazza non abbia nessuna intenzione di sposarsi. Almeno fino a che non decide di trasferirsi nella proprietà terriera di Inspiration Lake, dove il patrigno aveva intenzione di costruire un villaggio per artisti. Lì Janice, entrata in contatto con gli abitanti del luogo, finirà per ricredersi e ben presto si ritroverà a contrarre matrimonio con un uomo conosciuto da poco. Ma a mandare in frantumi le sue nuove certezze sarà un omicidio che la toccherà da vicino…
Commento: Gli ingredienti per un buon giallo non mancano: una ragazza un po’ sprovveduta che finisce per diventare, quasi a sua insaputa, una ereditiera; una folla di personaggi strambi e ambigui quanto basta; un omicidio a sorpresa; un pericolo che incombe. Eppure, qualcosa non convince nel dipanarsi della storia e, con il passare delle pagine, la noia finisce per prevalere sull’interesse iniziale. Non che ci siano passaggi a vuoto, forzature o salti logici: tutto, anzi, torna alla perfezione (anche se non è così difficile individuare il colpevole). Quel che lascia più perplessi è la caratterizzazione dei personaggi, un po’ schematici e privi di vera attrattiva malgrado le premesse; ma qualche sopracciglio si solleva anche rispetto all’ambientazione: se gli ideali della comunità di artisti di Inspiration Lake sono solo blandamente ispirati a un certo clima di contestazione degli anni Settanta, i riferimenti presenti in una delle sottotrame alla guerra del Vietnam poco si conciliano con l’intreccio principale. E anche i toni rosa che percorrono tutta la vicenda appaiono decisamente anacronistici. Ciononostante, il romanzo scorre con una certa fluidità ed è ben scritto.
GIUDIZIO: **
PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
“Chi non l’ha ancora sperimentato crede il matrimonio più importante di quanto non sia. La compagna che si sceglie rinnoverà, peggiorando o migliorando, la propria razza nei figli, ma madre natura che questo vuole e che per via diretta non saprebbe dirigerci, perché in allora ai figli non pensiamo affatto, ci dà a credere che dalla moglie risulterà anche un rinnovamento nostro, ciò ch’è un’illusione curiosa non autorizzata da alcun testo. Infatti si vive poi uno accanto all’altro, immutati, salvo che per una nuova antipatia per chi è tanto dissimile da noi o per un’invidia per chi a noi è superiore”.
Queste le premesse con cui, nel terzo capitolo de La coscienza di Zeno, Italo Svevo introduce il racconto delle peripezie che hanno portato il suo (anti)eroe Zeno Cosini a prendere moglie. Delle quattro figlie di Giovanni Malfenti, l’uomo che, dopo la morte del padre, Zeno eleggerà a suo sostituto, ben due lo respingono (ma l’ultima, Anna, è ancora una bambina). Ada, la primogenita, cui egli indirizza le proprie mire matrimoniali, gli si mostra indifferente e finirà per preferirgli un altro corteggiatore, l’uomo d’affari e violinista Guido Speier che Zeno arriverà a considerare, al contempo, suo rivale e suo modello. Alberta, la terza, alla quale Zeno fa la sua proposta sull’onda della delusione del rifiuto di Ada, gli risponde che non pensa di sposarsi ma di continuare i propri studi. Non gli resta, dunque, che rivolgersi alla non bella Augusta, con una richiesta che suona tutt’altro che lusinghiera: “Domandai dapprima la sua mano ad Ada che me la rifiutò con ira, poi domandai ad Alberta di sposarmi ed essa, con belle parole, vi si rifiutò anch’essa. Non serbo rancore né all’una né all’altra. Solo mi sento molto, ma molto infelice”. Non solo: Zeno le fa capire che, non potendo essere il marito di Ada, l’unica che egli ami davvero, e pur di poterle stare vicino, si accontenterà di diventarne il cognato. Alberta non solo non lo schiaffeggia indignata, ma, dimostrando una capacità di comprensione e uno spirito di sacrificio eccezionali, accetta la proposta con una formula che assomiglia a tutti gli effetti alla stipula di un contratto: “Voi, Zeno, avete bisogno di una donna che voglia vivere per voi e vi assista. Io voglio essere quella donna.” Il matrimonio si farà, dunque: basterà rinunciare all’amore.
Non si farà, invece, il matrimonio di Elio, il protagonista di un delizioso bozzetto satirico di Carlo Emilio Gadda. La fidanzata, Luisa, è il paradigma della perfezione borghese: per Elio, reduce di guerra, orfano del padre, caduto in guerra (“morto come può morire un colonnello di fanteria «che deve impadronirsi ad ogni costo di quota 960»”), le virtù della promessa sposa diventano motivo di una sottile quanto indicibile oppressione:
“Luisa non beveva vino né liquori, il caffè raramente, e quelle rarissime volte ci metteva pochissimo zucchero. Luisa andava alla Messa, egli ve l’aveva accompagnata, e una zia di Luisa li aveva accompagnati tutti e due, così la Messa l’avevano sentita tutti e tre. Davanti Domine Dio stava diritta, si chinava con misura, nulla faceva che potesse spiacere al buon Dio: si soffiava il naso con tanto riguardo! Oh! «non desiderare la donna d’altri!», diceva un’antica legge: ed Elio si studiava di osservare la legge. Ma i sogni erano cosa che non poteva rattener sempre, come le nuvole di primavera non si rattengono, se il vento, a marzo, le sospinga ad oscurare, trasvolando, la campagna fiorita”.
Impietoso e irresistibile, agli occhi del giovane, il confronto con la “donna d’un altro”, la moglie di un commilitone di cui è stato ospite “in una cittadina dolcissima della dolce Italia”. La premurosa attenzione nei suoi confronti, il comportarsi con lui da “mamma indulgente”, la generosità nel servirgli da mangiare (“Nel caffè lo zucchero, molto caffè, molto zucchero”) non possono che rammentargli, per contrasto, la freddezza di Luisa, già indaffarata in troppe cose per occuparsi davvero del suo futuro marito. E così il matrimonio si prospetta ad Elio come una trappola asfissiante:
“Egli vedeva, accanto a Luisa, la sua vita; ci sarebbe stato il pranzo: un dolce rimprovero, per il ritardo, un rimprovero dolce, per l’anticipo: una guardata rapida, in traverso, all’orologio alto di sala; ci sarebbe stato il bacio, un bacio castissimo, al marmo di Carrara. E così per sempre, per tutta la vita. Una vita entusiasta dei châlets, del lago di Lucerna, del lago di Ginevra, dei pelapatate automatici. Una vita drappeggiata di linòleum, risfolgorata di nichelio”. L’aspirazione borghese da realizzare a tutti i costi per Zeno Cosini è per Elio un incubo al quale sottrarsi finché si è in tempo. Con buona pace delle zie, che già si erano spese in “felicitazioni” e “benedizioni supreme” all’annuncio del fidanzamento e ora, rimaste di sasso alla notizia della rottura, non possono che augurare, balbettanti, al nipote di trovare presto “chi… chi… ti sappia comprendere… apprezzare…”.
Testi citati:
Italo Svevo – LA COSCIENZA DI ZENO, capitolo III (1923)
Carlo Emilio Gadda – LA FIDANZATA DI ELIO, in “Il castello di Udine” (1934)