LECTIO BREVIS / 122

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 122
COME (NON) SI SCRIVE UN GIALLO
Consigli non richiesti per scrittori italiani di polizieschi aspiranti alla fama

Stelvio Mestrovich – IL MISTERO DELLE DONNE IMPICCATE (2012)

Di cosa parla: Il ritrovamento di tre donne impiccate in una casa di Lucca è fin da subito un mistero per i Carabinieri locali, e in particolare per il capitano Mosetti, incaricato delle indagini. Gli indizi non mancano: intanto, le tre vittime, di età differenti e sconosciute l’una all’altra, erano tutte appartenenti a logge massoniche locali. E poi ci sono, sul luogo del delitto, tre carte da gioco: tre donne di picche, sulle quali campeggia una sigla enigmatica, od, ripetuta tre volte. L’affare è grosso e farà molto scalpore…

Commento: Da quando il poliziesco ha conquistato pubblico anche in Italia, gli autori (aspiranti e non solo) si sono convertiti al genere. Perdoniamo dunque la debolezza anche a Stelvio Mestrovich, musicologo folgorato sulla strada del giallo. Filone classico, sottofilone procedurale: al centro della storia uno o più crimini e le relative indagini della polizia, con scoperta finale del colpevole. Ma, poiché evidentemente è duro a morire il pregiudizio nei confronti della letteratura di genere (o forse perché si pensa di potersi improvvisare novelli Sciascia), ecco che il delitto diventa sempre metafora, chiave di volta per offrire un quadro della società. Ci prova anche il nostro, con risultati discutibili ma tali da rappresentare un campionario completo di tutti i difetti possibili e immaginabili in materia. Grazie a una storia forzata, con un finale spassoso, divagazioni tra il didascalico e l’inutile, personaggi macchiettistici, cadute nel pecoreccio, velleità di satira sociale e politica, il romanzo è un capolavoro dello sciatto, un gioiello del luogo comune, zeppo di solecismi, di scelte espressive meravigliosamente ignare del senso del ridicolo. Fa più danni alla reputazione dei Carabinieri di tante barzellette.

GIUDIZIO: °

Filippo Fornari – OMICIDI ALL’ISOLA, NEVROTICO EROTICO BLUES (2016)

Di cosa parla: Un serial killer si aggira per il quartiere milanese dell’Isola: ammazza solo prostitute nigeriane, con un complesso e misterioso rito. Si trova, suo malgrado, coinvolto nelle indagini Curzio Malanotte, un imprenditore in crisi esistenzial-familiare, che finisce per essere il sospettato numero uno del commissario Musante e decide, per dimostrare la sua estraneità, di investigare per conto proprio, con l’aiuto di una serie di personaggi di contorno, animati da buoni propositi…  

Commento: Da quando il poliziesco ha conquistato pubblico anche in Italia, le case editrici si sono convertite al genere. Perdoniamo la debolezza anche alla ticinese Todaro editore, che ha abbandonato la pubblicazione di libri di cultura gastronomica, di miti e leggende, di taccuini di viaggio, ecc. per passare ai gialli di autori italiani esordienti (in volumi, va riconosciuto, impeccabili sul piano della cura). E perdoniamo, dunque, anche Filippo Fornari, chimico ed ex istruttore di vela, manager e imprenditore biomedico, di cui questo – a quanto ci consta – è il secondo romanzo pubblicato nella stessa collana. Siamo nel filone noir, sottofilone serial-killer. Ma, poiché evidentemente è duro a morire il pregiudizio nei confronti della letteratura di genere (o forse perché si pensa di potersi improvvisare novelli Scerbanenco), ecco che il delitto diventa sempre metafora, chiave di volta per offrire un quadro d’ambiente. Ci prova anche il nostro, che proprio nella caratterizzazione della vita di quartiere trova, qua e là, una certa verve. Il problema è che il romanzo difetta in struttura narrativa e zoppica nelle scelte espressive e stilistiche, restando un modello di scrittura dilettantesca, carente soprattutto per le velleità di amalgamare toni diversi (i tentativi di alleggerimento affidati al protagonista fanno a pugni con la brutalità dei delitti seriali).

GIUDIZIO: *

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Per capire la lunga diffidenza che la cultura ufficiale italiana ha nutrito nei confronti del giallo (e di tutta la cosiddetta letteratura di genere), niente di più chiaro, e profetico, di quanto scriveva Ennio Flaiano nel 1955, quando in Italia il giallo non godeva certo di grande considerazione presso gli scrittori di casa nostra (eravamo ancora fermi, grosso modo, a Il cappello del prete di Emilio De Marchi, capolavoro del 1888, rimasto pressoché senza seguito; la svolta sarebbe arrivata di lì a breve con il Pasticciaccio di Gadda). Nel racconto Fine di un caso (compreso in Diario notturno), ambientato di notte in un coca-party in casa di un tale Pallicca, “snob ricco e socievole” dell’Alta Italia, si ragiona del caso Wilma Montesi, la ragazza ammazzata a Roma nel 1953 (il delitto fece scalpore ma rimase insoluto per il coinvolgimento di personaggi illustri); a un editore americano che chiede perché non si scriva un romanzo poliziesco sul Caso, così risponde il narratore:

“«Signore: in Italia non è possibile scrivere romanzi polizieschi. Negli altri paesi il romanzo poliziesco è letteratura diversiva, qui diverrebbe engagée. Non si tratterebbe mai di scoprire il colpevole ma di capire chi è che lo nasconde, come e perché, insomma di fare ogni volta un processo a noi stessi; alla società, voglio dire. Sherlock Holmes, che in Inghilterra è finito nelle edizioni di Oxford, qui finirebbe al Parlamento, a capo di una commissione per la riforma di qualcosa, o finirebbe nel ridicolo, annegando nella vastità dell’indagine. Capito?»”

Se Flaiano sembra scettico sulla possibilità di scrivere gialli in Italia (ma, in fondo, la strada da lui indicata sarà, almeno in parte, quella dei polizieschi di Sciascia), nessuna perplessità, per la nostra gioia di lettori, ha mai turbato la più grande coppia italiana di scrittori di gialli, Fruttero & Lucentini, i quali, nel raccontare la genesi di uno dei loro romanzi, Enigma in luogo di mare, attraverso un “Diario segreto” pubblicato nel sublime manuale di scrittura I ferri del mestiere, così tratteggiano il quadro del genere alla fine degli anni Ottanta.

“GIUGNO 1988. Abbiamo cominciato a prendere appunti, ispirandoci a quanto passa attualmente il convento “giallo”. Come personaggio centrale pensiamo a un benzinaio transessuale che riempie di super suo padre e gli dà fuoco infilandogli nel naso una treccina in fiamme formata dai peli ascellari di una vigilessa urbana da lui stesso in precedenza ridotta a spezzatino con funghi e mangiata. O forse l’antropofago potrebbe essere più credibilmente il padre, cocainomane e stupratore recidivo, scarcerato per buona condotta e assunto come custode in un istituto Usl per bambine handicappate. Un po’ forzato? Un filino inverosimile? Niente affatto, di trame simili traboccano libri e giornali. Il punto è solo: saremo all’altezza?”

F&L
Carlo Fruttero e Franco Lucentini

Testi citati
Ennio Flaiano – DIARIO NOTTURNO (1956)
Fruttero & Lucentini – I FERRI DEL MESTIERE (2003)