Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 181
NON VEDO, NON SENTO
Ciechi e sordi nella letteratura, tra thriller, gialli e poesia
Pierre Boileau e Thomas Narcejac – I VOLTI DELL’OMBRA (1953)
Di cosa parla: Richard Hermantier è diventato cieco in seguito all’esplosione di una bomba sepolta in giardino. Grande industriale, proprietario di una fabbrica di lampadine e avvezzo al comando, l’uomo è costretto a un periodo di riposo forzato. La moglie Christiane ha optato per la tranquillità della loro villa in Vandea. Lì Richard, in compagnia anche del fratello Maxime e del suo socio Hubert, potrà trascorrere l’estate in attesa di riprendere a occuparsi degli affari. Ma Hermantier, col passare dei giorni, comincia a nutrire tra sé e sé dubbi sempre più assillanti sulla realtà che lo circonda: è possibile che le persone intorno a lui, approfittando delle sue condizioni, non gli stiano raccontando tutta la verità? E, nel caso, che cosa gli stanno nascondendo, e perché?
Commento: Che qualcosa non torni, si capisce fin da subito (se anche non bastasse il nome degli autori in copertina, garanzia di per sé già più che sufficiente). Nel primo capitolo, Hermantier è nervoso e il dialogo con la moglie Christiane, accomodante e premurosa oltre il dovuto, lascia intendere che, sotto le apparenze che paiono giustificare i comportamenti di entrambi, cova qualcos’altro. Quando, poi, poche pagine dopo, veniamo a sapere che la vecchia e fedele domestica di casa è stata allontanata con un pretesto banale e che nella villa in Vandea dove i due coniugi si apprestano a trasferirsi non c’è neppure il telefono (sono le condizioni ideali per il riposo assoluto, secondo quanto prescritto dal medico), ecco che anche il lettore più ingenuo comincia a stare all’erta. Boileau e Narcejac, a questo punto, giocano al gatto col topo, tenendoci in sospeso a lungo (un po’ troppo?), distillando, goccia dopo goccia, tutta una serie di indizi in un crescendo di tensione che, come da copione, culmina in un finale tutt’altro che consolatorio. Gli autori sanno il fatto loro e mostrano un’abilità eccezionale a ricamare intorno alla cecità del protagonista (ottimamente tratteggiato, come quasi tutti i personaggi) una trama forse non imprevedibile ma perfettamente congegnata: ennesima dimostrazione che la suspense, come diceva Hitchcock (La donna che visse due volte è tratto da un romanzo dei due scrittori francesi), è un fatto emotivo e non razionale, e la capacità di chi racconta è la condizione necessaria e sufficiente per tenere in ansia il lettore, anche quando questi ha capito fin dall’inizio che qualcosa non tornava…
GIUDIZIO: ***

Colin Dexter – IL MONDO SILENZIOSO DI NICHOLAS QUINN (1977)
Di cosa parla: La nomina di Nicholas Quinn a membro del Comitato Esami Esteri di Oxford è stata oggetto di contrasto tra i professori chiamati a valutare le candidature. Il fatto è che Quinn è affetto da sordità e questo pregiudicherebbe, a giudizio di alcuni, lo svolgimento di certe mansioni connesse al ruolo. A dispetto di qualche diffidenza, il giovane professore si dimostra fin da subito ben inserito nel nuovo ambiente lavorativo. Finché, poco tempo dopo, viene ritrovato cadavere nel suo appartamento. Avvelenato con il cianuro. Le indagini dell’ispettore Morse, aiutato dal fido Lewis, saranno rese complicate dalla reticenza del mondo accademico: non c’è da capire solo chi è il colpevole e qual è il movente, ma persino ricostruire quando Quinn è stato ucciso non sarà affatto facile…
Commento: Il terzo romanzo di Colin Dexter è il primo che tocca il mondo accademico che l’autore frequentò sia da studente (si laureò in Lettere Classiche, ma a Cambridge) sia da assistente amministrativo (ruolo che rivestì per una ventina d’anni, proprio all’Università di Oxford). I riferimenti, almeno vagamente autobiografici, non si fermano qui: anche Dexter, come Nicholas Quinn, fu afflitto da sordità (e costretto dal progredire della malattia a ritirarsi dall’insegnamento). Il libro conferma come, per muoversi con disinvoltura nel campo minato del giallo classico, bisogna conoscerne bene le regole e rispettarle con dedizione: una buona trama, personaggi interessanti e tutti sospettabili, un’indagine rigorosa, una giusta dose di colpi di scena e una bella idea conclusiva per risolvere il caso. Tutti elementi che Dexter padroneggia alla perfezione, grazie a una scrittura sobria ma raffinata e a una buona dose di ironia. Ma, a distanza di quasi cinquant’anni dall’uscita, il libro sa regalare anche un (pudico) ritratto di un’epoca tramontata, quella in cui, ad esempio, i cinema a luci rosse si chiamavano, anonimamente, Studio 2, e sapevano ancora coniugare il gusto della trasgressione con un certo qual divertimento. Morse tornerà a visitare l’ambiente universitario anche più avanti, ne Il mistero del terzo miglio, sesto dei tredici romanzi con l’ispettore della Thames Valley Police.
GIUDIZIO: ***

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Tre omicidi a New York: un uomo viene ucciso su un tram, un secondo su un traghetto, un terzo su un treno. È questo, in estrema sintesi, il plot de La tragedia di X, il primo dei quattro gialli scritti da Ellery Queen (ma pubblicati inizialmente con lo pseudonimo di Barnaby Ros) con protagonista Drury Lane, attore shakespeariano a riposo, il cui nome è ispirato a una celebre via londinese legata al teatro elisabettiano. Il romanzo è un giallo a enigma classico: personaggi forse un po’ schematici, ma intrigo solido e spiegazione finale dettagliatissima, in puro stile Ellery Queen. Se già nel 1914 lo scrittore inglese Ernest Bramah aveva dato forma, nell’ambito della letteratura gialla, alla prima figura letteraria di investigatore cieco con i racconti di Max Carrados (apprezzatissimi, peraltro, proprio da Ellery Queen), ai cugini Dannay e Lee spetta probabilmente l’invenzione, con Drury Lane, del primo detective sordo: qui, come nei libri successivi che lo vedono in campo (sono quattro in tutti: i più notevoli sono il secondo, La tragedia di Y, e l’ultimo, Cala la tela), l’attore dà prova di un acume investigativo che offusca completamente il suo difetto fisico. Ennesima forma di superiorità che il dilettante dimostra sia nei confronti della polizia ordinaria sia nei riguardi del povero lettore, alle prese con rompicapo apparentemente insolubili.
D’altronde, è appena il caso di ricordare che all’origine stessa della letteratura occidentale c’è un poeta cieco: poco importa che di Omero non si sappia quasi nulla di certo e che la stessa tradizione che lo vuole cieco possa essere frutto della falsa etimologia sul suo nome. Basterebbe, a dare forza alla potenza della suggestione, il fatto che cieco è senz’altro Demodoco, l’aedo che nell’Odissea intona i canti sulla caduta di Troia che fanno commuovere Ulisse alla corte dei Feaci. Di tutto ciò si ricorda anche Edgar Lee Masters, che nell’Antologia di Spoon River fa scrivere al violinista Jack, nel suo stesso epitaffio, che la morte violenta cui è andato incontro è in qualche modo riscattata proprio dal privilegio di potersi porre, come tutti i musicisti e i cantastorie, all’ombra di Omero ad ascoltarlo per sempre:
Avevo sviolinato tutto il giorno alla fiera in campagna.
Ma ritornando a casa “Butch” Weldy e Jack McGuire
ubriachi fradici, mi fecero ancora strimpellare
Susie Skinner, mentre frustavano i cavalli
fino a che questi fuggirono.
Cieco com’ero, cercai di uscire
mentre la carrozza precipitava nel fosso,
fui preso nelle ruote e ucciso.
C’è un uomo cieco qui con una fronte
grande e bianca come una nuvola.
E tutti noi violinisti, dal più grande al più umile,
scrittori di musica e cantastorie,
sediamo ai suoi piedi,
e lo ascoltiamo cantare della caduta di Troia.

Testi citati
Ellery Queen – LA TRAGEDIA DI X (1932)
Edgar Lee Masters – JACK IL CIECO, in “Antologia di Spoon River” – traduzione di Letizia Ciotti Miller (1915)