L’OMBRA DEL CARDO – Aki Shimazaki

# 292 – Aki Shimazaki – L’OMBRA DEL CARDO (Feltrinelli, 2023, pagg. 446)

Saga composta da cinque romanzi brevi. In “Azami” (cardo), il buon padre di famiglia Mitsuo Kawano, redattore in una importante rivista, sposato con Atsuko con la quale, però, non ha rapporti sessuali da anni, reincontra una compagna di scuola di cui era innamorato, Mitsuko Tsuji, che oggi fa l’entraîneuse in un bar elegante e che forse in passato è arrivata a prostituirsi. In “Hōzuki” (alkekengi), la ex-prostituta Mitsuki, dopo la storia con il suo ex-compagno di scuola Mitsuo, si è ritirata e vive gestendo una libreria. Vive con la madre, reduce da una detenzione in prigione, e con un bambino di sette anni, sordomuto dalla nascita e non interamente giapponese: Tarō sarebbe infatti figlio di Mitsuko e di uno sfortunato pittore spagnolo, Felipe Santos, morto prima che nascesse. Ma la realtà non è così semplice, e le oscure origini di Tarō verranno a galla quando in libreria si presentano la signora Sato e sua figlia Hanako… In “Suisen” (narciso) Gorō Kida, spocchioso presidente di una grossa azienda di alcolici, che in “Azami” era stato responsabile del reincontro tra Mitsuo e Mitsuko (entrambi suoi ex-compagni di scuola alle elementari), va incontro a una serie incredibile di sventure, sia lavorative che sentimentali e familiari. Detentore di svariate amanti e abituato a trattare le donne come oggetti, egli si vede sfuggire tanto il controllo della società quanto quello della vita privata. In “Fuki-no-tō” (farfaraccio) la ritrovata armonia familiare di Mitsuo Kawano, che si è licenziato dalla rivista, ha confessato alla moglie Atsuko il tradimento con la ex-compagna di scuola Mitsuko e si è trasferito in campagna con tutta la famiglia, in una fattoria, viene messa a dura prova dall’arrivo di una vecchia conoscenza della stessa Atsuko. Fukiko Yada, infatti, aveva avuto ai tempi del Liceo una “cotta” per Atsuko, e adesso che le due donne sono adulte l’antico amore riprende inaspettatamente vigore… Infine, in “Maimai” (lumaca), Tarō – il figlio sordomuto di Mitsuko Tsuji – e Hanako, sua amica d’infanzia, si ritrovano vent’anni dopo e si innamorano. Ma le oscure origini di Tarō si metteranno in mezzo alla loro storia, e il segreto che li unisce rovinerà forse la loro unione.  

Nata in Giappone ma residente in Canada, Aki Shimazaki scrive i suoi libri in francese anche se, evidentemente molto legata alle sue origini linguistiche e culturali, li innerva di caratteri e termini giapponesi. I titoli dei brevi romanzi che compongono questa saga, infatti, sono tutti squisitamente giapponesi, e confermano la passione della scrittrice per le storie brevi e cesellate, dominate dal caso e dal fato, storie fatte di incroci e reincontri, di destini che si separano per poi ritrovarsi e scoprire, in un gioco di agnizioni che non sempre funziona, elementi del passato loro o di altri personaggi.

Il risultato è un intreccio di storie non leggibili separatamente, o meglio: leggibili ma non realmente comprensibili. Ogni vicenda, infatti, getta luce sulle altre, le azioni di ogni personaggio si riverberano sulle vite di altri, e il principale merito di questa Autrice curiosa e a suo modo unica è proprio la capacità di cogliere con apparente semplicità i nessi causali, ma anche casuali, tra le storie di uomini e donne che si amano e si respingono, si cercano e si sfuggono, in un gioco di calamite in cui il lettore, guidato dalla scrittura, cerca di incastrare le tessere trovandosi spesso con una in più, o una in meno, insomma con qualcosa che non torna. Ed è proprio quello che vuole l’Autrice: farci fare i conti con l’impossibilità di guidare fino in fondo le nostre esistenze, con la necessità – a volte – di abbandonarci al caso e al destino, di accettare fatalisticamente (confucianamente?) gli accadimenti, siano essi piacevoli e positivi (la rinascita d’un antico amore) o tristi e negativi (la fine di un’illusione, il crollo di una certezza).

Già nel precedente (e più riuscito) “Il peso dei segreti”, Aki Shimazaki aveva intrecciato, nel Tempo, le storie di diversi personaggi, riuscendo a dire qualcosa di non banale sulla storia del Giappone e sui sentimenti umani. Purtroppo, la magia non si ripete con “L’ombra del cardo”, e non perché la scrittura sia di cattiva qualità (per quanto io l’abbia trovata meno brillante rispetto a quella della saga precedente).

Il problema sembra, piuttosto, lo spessore dei personaggi, alcuni dei quali oggettivamente esili tanto nelle motivazioni quanto nel carattere. Se la palma del peggiore va, per banalità, all’imbelle uomo d’affari Gorō Kida, becero esempio fin troppo smaccato d’un patriarcato (per usare un termine oggi in gran voga, e spesso a sproposito) vuoto tanto di significato quanto di contenuti, non è che i migliori e più sfaccettati (il ragazzo sordomuto Tarō, la dolce Hanako, l’entraîneuse Mitsuko, le amiche saffiche Atsuko e Fukiko) siano perfettamente riusciti. Un po’ come il Murakami delle origini, che scriveva in inglese pur pensando in giapponese, e che ha dato vita così a uno stile scarno ed efficace, innovativo, allo stesso modo Aki Shimazaki dà l’impressione di sfruttare il suo non essere madrelingua francese per scrivere in modo lineare e paratattico, espositivo e piano (il racconto è tutto al presente indicativo).

Questo stile, però, se funziona una volta, alla seconda somiglia più a un “trucco” per evitare di approfondire lo sguardo, e “L’ombra del cardo”, purtroppo, è un libro che soffre di semplificazione e di leggerezza, soprattutto nel chiudere le storie, come se in fondo di un finale non ci fosse bisogno. Nulla di male nel lasciare “aperta” una storia, ci mancherebbe; ma l’impressione è che l’Autrice abusi un po’ di questa possibilità, e lasci consapevolmente il lettore sul più bello col proverbiale cerino in mano, non prendendosi la responsabilità di portare le sue storie alle estreme conseguenze, ma anzi, limitandosi (colpevolmente) ad accennarle soltanto, in un atteggiamento tutto giapponese di riserbo e di rinuncia che, alla lunga, non convince.  

(Recensione scritta ascoltando gli Scorpions, “Send Me an Angel”)

PREGI:
una scrittura semplicissima (ma non sempre nitida) che può ricordare quella di Agota Kristof e un intreccio di trame che, pur nella prevedibilità di certi sviluppi, riesce comunque a interessare

DIFETTI:
meno profonda e meno capace di andare fino in fondo alle storie rispetto al precedente “Il peso dei segreti”, questa saga di mini-romanzi non incide a fondo nel lettore, è epidermica e a tratti francamente dimenticabile. Che noia, poi, questi titoli floreali che si giustificano solo con l’insistente (e stucchevole) ripetersi di filastrocche e rimandi consci o inconsci, e il vizio di “puntare” continuamente nomi di città e di luoghi (il bar X., la città di M., la rivista N., il politico K.)

CITAZIONE:
“Traccio mentalmente una catena e ogni maglia mi porta un nome: Shōji – io – il mio ultimo amante Mitsuo – il giornalista della rivista “Azami” – l’uomo che ha dato la rivista al diplomatico – la moglie del diplomatico venuta in libreria – sua figlia Hanako – Tarō. Sono tutti legati tra loro, in modo diretto o indiretto. L’inizio e la fine sono uniti senza conoscersi. Se non avessi incontrato Shōji, forse non avrei avuto Tarō, benché Shōji non sia suo padre.” (pag. 114 – dal romanzo “Hōzuki”)

GIUDIZIO SINTETICO: **

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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1/2
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*1/2
NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO