SHAKESPEARE. UNA BIOGRAFIA – Peter Ackroyd

# 329 – Peter Ackroyd – SHAKESPEARE. UNA BIOGRAFIA (BEAT, 2016, ediz. orig. 2005, pagg. 670)

La vita e l’opera del più grande drammaturgo di lingua inglese, William Shakespeare, viene raccontata da Peter Ackroyd attraverso capitoli brevi e pregnanti che approfondiscono tutti gli aspetti: le origini cattoliche nell’Inghilterra dello Scisma anglicano, il matrimonio con Anne Hathaway, il trasferimento a Londra, il mestiere d’attore, gli inizi come scrittore, la passione per il teatro che diventa un lavoro ben remunerato, al punto che lo Shakespeare di Ackroyd, alla fine, appare quasi più un oculato uomo d’affari che un geniale artista della parola. O meglio: era entrambe le cose, in un’epoca, però, in cui la scrittura per il teatro non era considerata in sé una forma d’arte, bensì un puro sostrato tecnico necessario alla produzione dell’intrattenimento preferito dai londinesi in particolare e dagli inglesi in generale, il teatro, appunto, che proprio tra ‘500 e ‘600 va codificando le regole e le forme espressive che lo caratterizzeranno per i secoli successivi, fino ai giorni nostri. L’Autore segue Shakespeare passo passo, attraverso le scarne testimonianze che possediamo e analizzando i testi delle sue opere e così ci restituisce, tra ipotesi e certezze, l’immagine sfaccettata e complessa di un uomo del Cinquecento che ha fatto carriera nel suo campo, a prezzo di sacrifici e investimenti rischiosi, e che solo cinquant’anni dopo la morte ha iniziato a essere considerato il padre della lingua inglese moderna, e il più geniale e vigoroso Autore di teatro che l’isola avesse mai visto.

Chi era realmente William Shakespeare? Tutti conosciamo questo nome, tutti sappiamo che le sue opere vengono rappresentate ancor oggi nei migliori teatri del mondo e offrono spunti ancora validi persino per il cinema, che infatti se ne serve a mani basse. Perché il teatro di Shakespeare è sia colto che popolare, sia raffinato che di grana grossa, insomma, è capace tanto di solleticare gli spiriti elevati quanto di eccitare il grande pubblico con le sue virulente contrapposizioni, con le sue storie d’amore e i suoi sovrani divorati dal tarlo del potere, con i suoi buffoni (di cui Falstaff divenne ben presto il paradigma assoluto) e i suoi eroi contrastati e ambigui (di cui Amleto è senza dubbio il più celebre e discusso).

In tutto, i suoi autografi certificati si contano sulle dita di una mano, quando di altri Autori cinque e seicenteschi molto meno noti se ne possiedono a bizzeffe; le citazioni del suo nome nei documenti dell’epoca sono scarse (per quanto non inesistenti) e a volte a sorprendere di più è proprio l’assenza di una citazione diretta dell’Autore di teatro più importante del suo tempo.

La verità è che Shakespeare ottenne un notevole successo in vita e si arricchì col teatro, ma non per questo fu stimato dai suoi contemporanei più di altri. Anzi, un Ben Jonson e un Christopher Marlowe, suoi degni concorrenti, ottennero maggiore risonanza. Shakespeare, a quanto pare, era considerato un ottimo mestierante del teatro, una figura ibrida a metà tra l’attore, il regista (ruolo che all’epoca non esisteva), il drammaturgo e l’impresario. In un ambiente teatrale fatto di spietata concorrenza tra compagnie di attori e animato da un pubblico spesso ingovernabile (a teatro si stava in piedi, bevendo e mangiando durante la rappresentazione, e non erano infrequenti le risse in platea o le proteste se lo spettacolo non piaceva), Shakespeare seppe andare incontro ai gusti del pubblico sia nell’ambito della commedia che della tragedia, con titoli divenuti emblematici come Sogno di una notte di mezza estate, Pene d’amor perdute, Molto rumore per nulla, Amleto, Romeo e Giulietta, Otello, La tempesta, Re Lear e Riccardo III, solo per citarne alcuni, in ordine sparso.

Il teatro elisabettiano era molto diverso da quello contemporaneo, non avendo la suddivisione in atti e, soprattutto, basandosi su un’intergenericità che lascerebbe decisamente basito lo spettatore d’oggi: nel bel mezzo d’una tragedia poteva infilarsi un intermezzo comico, di tanto in tanto facevano capolino canzoni e numeri musicali e, in generale, non esistevano i generi teatrali propriamente detti, lo spettacolo doveva semplicemente appassionare e divertire, rievocando fatti storici o mettendo in scena beffe coniugali e sotterfugi amorosi, il tutto senza poter ricorrere alle attrici, visto che all’epoca il palcoscenico era riservato agli uomini. La prima Giulietta della storia si deve, insomma, a un ragazzo vestito da donna, il cui nome non ci è stato tramandato.

In tutto questo, alle prese con una materia vastissima e con una quantità esorbitante di teorie e ipotesi, Peter Ackroyd propone un libro asciutto e comprensibile, lucidissimo tanto nella disamina delle opere teatrali quanto nell’analisi degli snodi biografici dell’uomo che fu chiamato William Shakespeare, la cui esistenza il biografo non mette mai in dubbio, pur ammettendo la stranezza delle poche tracce rimaste di lui. Documenti alla mano, infatti, non ci sono dubbi che William Shakespeare sia esistito e abbia scritto commedie e tragedie; la vera domanda è: perché un uomo simile, nella sua epoca, si impose così poco all’attenzione di tutti? Perché sembra sempre scivolare sugli eventi, senza mai prendere posizione, nemmeno su questioni etiche e morali?

La contestata e discussissima vicenda della sua appartenenza religiosa (era cattolico o protestante?) ne è l’esempio più lampante: pochi dubbi che Shakespeare fosse di famiglia cattolica, e che sia cresciuto in ambiente profondamente cattolico, ma questo non gli ha impedito di affermarsi come autore di teatro alla corte di una regina sperticatamente riformista, perché – e qui sta la tesi di fondo di Ackroyd – Shakespeare era un uomo perfettamente calato nel suo tempo, un uomo che voleva guadagnare e vivere bene, rispettabilmente e con successo. Non gli interessavano le polemiche e le battaglie ideologiche, gli interessava riempire il teatro per il quale lavorava (e del quale arrivò a possedere delle quote, come un vero impresario) e gli interessava garantire alla sua famiglia introiti sempre maggiori (fu un notevole investitore, tanto in terreni quanto in immobili, e alla sua morte lasciò in eredità alle figlie e agli amici somme ingenti).

Evitando accuratamente di rimestare nel torbido di ipotesi tanto affascinanti quanto improbabili, come quelle che vedono in Shakespeare il nome d’arte di Christopher Marlowe o di Ben Jonson, o di una cricca di Autori vari, Peter Ackroyd svolge un racconto cronologico e accuratissimo che non si limita a ricostruire quello che sappiamo della vita e dell’esistenza di William Shakespeare, ma che – come ogni vera biografia dovrebbe saper fare – fa percepire chiaramente al lettore il tempo stesso in cui il protagonista del libro nacque, visse e operò, il tardo Cinquecento inglese, l’epoca di Elisabetta I e, poi, di Giacomo I, un periodo storico denso di cambiamenti e trasformazioni, attraversato da grandi tensioni che travalicavano ampiamente l’orizzonte inglese, tensioni che, non a caso, ritroviamo nelle opere immortali di alcuni contemporanei di Shakespeare, due dei quali diranno certo qualcosa al lettore: Caravaggio e Cervantes!

 Libro di eventi e di documenti (bellissima, per esempio, la disamina dei pochi ritratti di Shakespeare che ci sono pervenuti) ma anche di atmosfere e di personaggi, quella di Ackroyd è una biografia vasta e completa, distaccata quanto basta per non essere una rievocazione emotiva ma anche colorata da sani tocchi di ammirazione per l’opera di un uomo che, come Cervantes fece per lo spagnolo, contribuì in maniera decisiva alla strutturazione della lingua inglese moderna, nonché alla nascita della grande tradizione teatrale occidentale. La scelta dei tanti capitoli brevi, oltretutto, lungi dal frammentare la narrazione, la rende al contrario più gradevole anche per il lettore completamente digiuno di Shakespeare e di storia inglese del Cinquecento, e questo è forse il principale merito di un Autore che sa coniugare l’indubbia competenza in materia con un tono consapevolmente divulgativo e sottilmente narrativo.           

(Recensione scritta ascoltando David Gilmour, “Luck and Strange”)

PREGI:
scritta con grande capacità di arrivare a tutti e strutturata benissimo, è una biografia appassionante e ricca di informazioni anche minimali, che contribuiscono in maniera decisiva a tratteggiare il gusto e il sapore di un’epoca intera, quella elisabettiana

DIFETTI:
la lunghezza può frenare chi non è estremamente interessato alla figura di Shakespeare e al teatro in generale, ma per il resto il libro non ha difetti e la lettura scorre benissimo, veloce e fluida

CITAZIONE:
“Shakespeare è fissato con il cambiamento e il contrasto, come se solo nelle opere in cui compaiono le differenze si possa esprimere la vita. […] Perciò è lo spirito della differenza, e dell’opposizione, a essere rappresentato. Nei traguardi più alti dell’arte di Shakespeare non c’è traccia di etica. C’è solo la sublime volontà umana unita all’immaginazione.” (pag. 325)

GIUDIZIO SINTETICO: ****

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO