TEMPO FUOR DI SESTO – Philip K. Dick

# 153 – Philip K. Dick – TEMPO FUOR DI SESTO (Fanucci, 2003, ediz. orig. 1959, pagg. 238)

Fine anni ’50: Ragle Gumm vive, con la sorella e il cognato, nella piccola Old Town, cittadina americana che non ha nulla di straordinario. Reduce di guerra, Gumm si guadagna da vivere in modo bizzarro: ogni giorno risolve un complesso problema di calcolo, dal titolo Dove si troverà l’omino verde?, proposto dal quotidiano locale. Incassando praticamente ogni giorno il premio messo in palio dal giornale, Ragle Gumm sbarca il lunario in quella che sembra un’esistenza felice, e si permette pure di corteggiare June Black, la moglie del vicino di casa Bill, personaggio un po’ invadente e forse fin troppo interessato all’attività di Ragle… Cosa si nasconde dietro il mondo perfetto di Old Town? Perché Ragle Gumm ha sempre più spesso l’impressione che il tessuto stesso della realtà si stia sfaldando, e che lui ne sia responsabile?

Philip Dick, a mio avviso, non scriveva particolarmente bene, ma neanche male, se è per questo. Per mantenersi, per un sacco di tempo ha scritto vari romanzi e racconti all’anno: alcuni li pubblicava, e gli davano da mangiare, altri non interessavano, e sarebbero stati riscoperti solo dopo la sua morte. Ogni volta che inizio a leggere un romanzo di Dick, la prima impressione è di ripulsa.

Dopo dieci, quindici o venti pagine, immancabilmente mi chiedo: ma perché sto leggendo questa roba?! Come può interessarmi la storia (improbabile) di un tale che ogni giorno risolve un gioco a premi tipo l’immarcescibile “Quesito con la Susi” dell’altrettanto immarcescibile “Settimana enigmistica” e, spedendo la soluzione, viene premiato con fior di quattrini? E perché dovrebbe interessarmi la famiglia di costui, ridotta peraltro a sorella, cognato e nipote, “assediati” da una coppia di fastidiosi e invadenti vicini di casa, i coniugi Black, che si presentano ogni giorno con scuse varie e pretendono di chiacchierare e socializzare? Insomma, non conosco un romanzo di Philip Dick – e ne ho letti parecchi! – che non appaia, all’inizio, scostante e futile, e che non imponga nel lettore la tentazione di lasciar perdere, di passare ad altro.

Ma poi succede qualcosa, sempre. Dick è così: bisogna dargli fiducia, guardare ogni tanto la sua foto in quarta di copertina, guardare quel volto barbuto e triste, immensamente, desolatamente triste, come fosse consumato da una mestizia senza fine, e leggere ancora qualche pagina, concedergli il beneficio del dubbio. Dove ci starà portando stavolta quest’Autore così strano e chiuso in sé stesso, avviluppato in un universo solo apparentemente “normale”, e in realtà attraversato da tensioni e paure inenarrabili? Qual è il mistero dietro questo libro? Dove sta il trucco? Sì, perché in Dick un trucco c’è sempre, e il libro – improvvisamente – esplode in un bagliore di sconcerto e consapevolezza: sconcerto per l’azzardo autoriale di proporre soluzioni narrative e concettuali in netto anticipo sui tempi, consapevolezza per l’estrema coerenza di quella che sembra, a tutti gli effetti, follia sistematizzata.

Affetto per molti anni da una grave forma di paranoia, Philip Dick ne fece la propria stessa cifra stilistica, e quello che emerge dai suoi libri (comunque un po’ diseguali nella resa stilistica, alcuni molto buoni, altri francamente dimenticabili) è un mondo inquietante la cui realtà viene continuamente messa in scacco da un gioco meta-letterario che tocca vette di autentica genialità. “Tempo fuor di sesto” è un perfetto esempio di letteratura dickiana: sconvolgentemente banale e macchinoso in certi sviluppi, il libro è però, nel complesso, una straordinaria prefigurazione di problematiche che tanto nella letteratura quanto al cinema si sarebbero imposte trent’anni dopo. Ragle Gumm è un “wrong man” hitchcockiano portato agli estremi, poiché non si sente solo al centro di un intrigo, bensì al centro del mondo! L’esistenza di tutti, nella paranoia di Gumm, dipende dalla soluzione dell’innocuo enigma proposto dalla Gazette, mentre la realtà tutt’intorno a lui – e a noi – si sfalda e lascia intravedere una struttura retrostante, come se non abitassimo un mondo “reale” ma solo un simulacro, una ricostruzione, come se l’esistenza non fosse spontanea ma eterodiretta, pilotata da misteriosi “agenti” per un fine che non conosciamo. Come se, in definitiva, quello che chiamiamo “realtà” non fosse altro che un velo sottile: basta scostarlo, per scoprire una verità allucinante che cambia definitivamente il nostro stesso modo di pensare e di pensarci.

E arrivati a questo punto, il gioco è fatto e Dick ci ha conquistati, con la sua scrittura e con la sua paranoia, con la sua intelligenza mai banale. Incredibile il numero di anticipazioni – non solo concettuali ma anche visive! – che si ravvisano sempre nei romanzi di Dick. In questo “Tempo fuor di sesto”, impossibile non vedere già ipotizzato un film come “The Truman Show”, ma anche una serie come “Fringe” e tante, tante opere successive sulla natura mendace della realtà (un titolo su tutti? “Matrix”!). Insomma, si parte prevenuti, si mugugna un po’, ma poi non si può fare a meno di pensare che il mondo d’oggi non sarebbe uguale se non ci fosse stato Philip Dick, con le sue allucinate e allucinatorie previsioni.

(Recensione scritta ascoltando Jackson C. Frank, “My name is Carnival”)

PREGI:
asciutto e ben costruito, il libro ha il suo punto di forza nella parte centrale, con la costruzione dell’atmosfera enigmatica di mistero attorno alla figura di Ragle Gumm e agli strani accadimenti che lo riguardano. Alcune sequenze, poi, sono da antologia, come il viaggio di Vic Nielson sull’autobus trasparente (che sembra una scena di “Fringe” o di “X Files”!) e il tentativo di fuga di Ragle da Old Town

DIFETTI:
giocoforza un po’ irrisolto, il libro delude tanto all’inizio (lento e un po’ confuso) quanto, soprattutto, nel finale. Il mistero, così sapientemente costruito, non regge alla prova della trama e, fatalmente, si banalizza un po’, senza peraltro togliere forza all’immaginativa dickiana, che resta mirabile    

CITAZIONE:
“Parole, pensava. Il problema centrale della filosofia. La relazione tra parola e oggetto… Che cos’è una parola? Un simbolo arbitrario. Eppure viviamo tra le parole. La nostra realtà è fatta di parole, non di cose. Comunque non esistono cose; una gestalt nella mente. La cosità… Il senso della sostanza. Un’illusione. La parola è più reale dell’oggetto che rappresenta.” (pag. 68)

GIUDIZIO SINTETICO: **½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO