LECTIO BREVIS / 158

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 158
DIFFERENZE DI CLASSE
Regine del delitto e gentiluomini fuori tempo, duchesse e poveri poeti, schiavi arricchiti, signori e non: esistono davvero due “generi umani”?

Dorothy L. Sayers – IL CADAVERE SENZA NOME (1923)

Di cosa parla: È una scoperta sconcertante quella che il povero Mr Thipps fa una mattina: nella vasca da bagno c’è il cadavere di uno sconosciuto, con il viso ben rasato e due preziosi pince-nez. Quando la polizia, senza andare troppo per il sottile, decide di arrestare il padrone di casa, questi si rivolge alla sua amica Lady Denver, il cui figlio, Peter Wimsey, grande cultore di libri antichi, coltiva anche la passione per la criminologia. Con la collaborazione del fidato maggiordomo Mr Bunter e dell’ispettore Parker di Scotland Yard, Lord Peter si lancia in un’indagine particolarmente intricata, visto che il caso sembra collegato anche alla misteriosa sparizione di un importante finanziere…

Commento: È il primo dei dodici romanzi con Peter Wimsey pubblicati da Dorothy L. Sayers, la più colta delle scrittrici di polizieschi: laureata a Oxford in letteratura medievale, si applicò al giallo per ragioni di necessità economica; una volta superate le mere esigenze materiali, preferì dedicarsi a scrivere saggi critici e a tradurre Dante. Il libro uscì tre anni dopo Poirot a Styles court, che segnò l’esordio della regina del giallo anglosassone, Agatha Christie, dalla quale la Sayers è lontanissima non solo per questioni biografiche, ma per formazione e soprattutto risultati letterari. Tanto la prima è meticolosa nella costruzione delle trame e asciutta, al limite dello sciatto (almeno secondo i critici), sul piano stilistico, quanto la seconda, pur rigorosa nell’intreccio, si dimostra attenta al linguaggio. Personalmente abbiamo un debole per la Christie e continuiamo a credere che il realismo dei suoi dialoghi valga più di certe pagine ben scritte, ma in fondo un po’ leziose della Sayers. Ma ciò che ci convince meno dell’inventrice di Lord Wimsey è proprio il suo personaggio, che la stessa scrittrice considerava “un gentiluomo del 18° secolo nato fuori dal suo tempo”: contende a Philo Vance il primato dell’investigatore dilettante più snob della letteratura poliziesca, ma con l’aggravante dell’appartenenza alla nobiltà inglese. Intendiamoci, i libri della Sayers, compreso questo primo, sono scritti bene e si leggono con discreto interesse (anche se a tratti la noia fa capolino), ma forse risentono di una certa letterarietà, come se ci fosse qualcosa di un po’ troppo artificioso, a partire proprio da Lord Wimsey: se Raymond Chandler detestava il giallo classico perché un romanzo poliziesco dovrebbe parlare di gente reale nel mondo reale, possiamo ben credere che i libri di Dorothy L. Sayers non fossero tra i suoi preferiti.

GIUDIZIO: **

Tommaso Landolfi – OTTAVIO DI SAINT-VINCENT (1958)

Di cosa parla: Ottavio è un giovane poeta: sopraffatto dalla noia e della miseria, sembra finalmente intenzionato a suicidarsi. Ma, all’ultimo, si ritrova ad ascoltare il proposito di una duchessa che, a sua volta per noia, confida a un amico di voler raccogliere dalla strada un giovane povero e disperato per conferirgli, temporaneamente, il titolo di duca e farne il suo sposo. Ottavio decide di approfittare dell’occasione e fa in modo di essere proprio lui l’uomo che la duchessa cerca. Comincia così una nuova vita, tra ricchezze, potere e nobili frequentazioni, ma quanto può durare la farsa prima che la noia si riaffacci nuovamente nella sua esistenza e in quella della donna?

Commento: Il testo, a rigor di forma un racconto lungo, è in realtà pensato (e quasi scritto) come una commedia, una rappresentazione teatrale, considerata la netta prevalenza di lunghe sezioni interamente dialogiche rispetto ai brevi inserti narrativi. La scelta, unitamente alla lingua volutamente artificiale che Landolfi adotta (una lingua ancor più ricca di arcaismi e costruzioni letterarie del solito), appare giustificata dal carattere saggistico del racconto. Quel che conta, più che la storia in sé (la trovata di partenza è debole, piuttosto forzata e sostanzialmente priva di veri sviluppi narrativi), è la natura dialettica del testo, che assume, specie nel finale, tratti sempre più marcatamente filosofici. L’autore rappresenta, nel confronto tra lo spiantato Ottavio e l’altolocata duchessa, i due poli coincidenti della stessa condizione umana: entrambi spinti inizialmente dalla volontà di sottrarsi alla noia, finiscono presto per comprendere la necessità di smascherarsi e porre fine alla finzione solo per poter palesare la vanità del loro stesso duplice gioco. Non c’è riscatto possibile neanche nell’illusione dell’amore: la duchessa è contesa da diversi pretendenti, ma li respinge tutti, compreso Ottavio, il quale, nel finale, sembra attaccarsi all’unica cosa che gli resta di tutta l’avventura, ossia i soldi vinti e gli abiti sfarzosi, vendendo i quali potrà almeno guadagnarci. È una morale minima, quella del protagonista, che però ha almeno guadagnato una sorta di nuova consapevolezza, sufficiente, almeno fino alla prossima occasione, a mettere da parte il proposito iniziale di farla finita.

GIUDIZIO: **

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Signori si nasce, non si diventa. Almeno a sentire Orazio, che del senso della misura fa la sua filosofia e che, di conseguenza, non può che esprimere tutta la sua ostilità nei confronti di uno schiavo che, dimentico delle sue umili origini, passeggia boriosamente sfoggiando la sua ricchezza. È un parvenu ma la sua colpa specifica consiste nell’ostentazione, che contrasta da un lato con la morigeratezza di stato imposta dall’imperatore Augusto, dall’altro dà il cattivo esempio, come si capisce dall’indignazione popolare, motivata dal fatto che il soggetto in questione non vanta nessun merito che giustifichi la sua ascesa:

Grande come quella che la sorte ha stabilito tra lupi
e agnelli, è l’avversione che ho per te,
o tu che hai sul dorso cicatrici d’iberiche funi
e alle caviglie quelle dei duri ceppi.
Cammina pure tronfio sfoggiando la tua ricchezza,
la fortuna non cambia le tue origini.
Mentre vai misurando la Via Sacra
con una toga di sei braccia, non vedi
come fa torcere da ogni parte il viso ai passanti
l’aperto sdegno di chi è nato libero?
«Quest’uomo, conciato dalle verghe dei triunviri
fino alla nausea del banditore,
ara mille iugeri di territorio falerno
e con cavalli gallici si scarrozza per l’Appia,
siede da cavaliere borioso ai primi posti
facendosi beffe di Otone.
A che serve condurre tante navi
dalle facce rostrate e di pesante stazza
contro pirati e bande di schiavi, se quest’uomo,
proprio questo, è tribuno militare?»

Le disuguaglianze sociali vincono il tempo e sono ancora motivo di irritazione per Giuseppe Gioachino Belli, che ci aggiunge, di suo, una sorta di spiegazione teologica, impregnata, più che di anticlericalismo, di una feroce critica alla religione stessa: la colpa – dice il poeta – è nientemeno che di Cristo, il quale ha fatto figli e figliastri persino sulla croce:

Noi, se sa, ar Monno semo ussciti fori
impastati de mmerda e dde monnezza.
Er merito, er decoro e la grannezza
sò ttutta marcanzia de li Siggnori.

A su’ Eccellenza, a ssu’ Maestà, a ssu’ Artezza
fumi, patacche, titoli e sprennori;
e a nnoantri artiggiani e sservitori
er bastone, l’imbasto e la capezza.

Cristo creò le case e li palazzi
p’er prencipe, er marchese e ’r cavajjere,
e la terra pe nnoi facce de cazzi.

E cquanno morze in crosce, ebbe er penziere
de sparge, bbontà ssua, fra ttanti strazzi,
pe cquelli er zangue e ppe nnoantri er ziere.

Testi citati
Orazio – EPODI, IV – traduzione di Fernando Bandini (I secolo a.C.)
Giuseppe Gioachino Belli – LI DU’ GGENER’UMANI (1834)  

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO