# 314 – Thomas Keenan, Eyal Weizman – IL TESCHIO DI MENGELE (Meltemi, 2023, pagg. 84)
Gli Autori, che si occupano in pari misura di tutela dei diritti umani, architettura forense e letteratura, raccontano in modo rapido e pregnante le modalità attraverso le quali, nel giugno del 1985, le ossa e il teschio trovati in una tomba a Embu des Artes, in Brasile, vennero attribuiti a Josef Mengele, il terribile “Angelo della Morte” di Auschwitz, il medico che svolse spaventosi esperimenti sui prigionieri (in particolare sulle coppie di gemelli) e che fu direttamente responsabile di innumerevoli uccisioni. Rifugiatosi in Sudamerica dopo la guerra, Mengele fece perdere le proprie tracce nonostante la caccia accanita che gli diedero il Mossad e una mezza dozzina di associazioni private, tra cui la Fondazione Simon Wiesenthal. Quando, nel 1985, si venne a sapere che egli era probabilmente morto da alcuni anni, non furono in pochi ad esigerne l’assoluta certezza. E fu l’occasione per la nascita di una nuova disciplina forense, unica vera scoperta in campo scientifico sulla cui paternità – nel ruolo di “cavia” – può forse avanzare qualche pretesa lo stesso Mengele…
Visto l’argomento macabro, consentitemi di celiare un po’, onde sdrammatizzare: chiunque abbia studiato la figura di Mengele come il sottoscritto sa che una delle cose più allucinanti della sua carriera di medico e di ricercatore risiede nel fatto che, nonostante le migliaia di vittime dei suoi folli esperimenti, l’“Angelo della Morte” non possa vantare alcuna reale scoperta scientifica, insomma, nulla per cui il suo nome potesse venir tramandato. Di lui, ahimè, ci si ricorda solo per l’atrocità dei metodi.
Suona dunque quasi come un risarcimento del fato che una precisa metodologia forense, la sovrimpressione volto-teschio, sia stata messa definitivamente a punto proprio grazie allo scheletro del medico di Günzburg, ritrovato a sei anni dalla morte, avvenuta a Bertioga, in Brasile, il 7 febbraio 1979. Mengele, sotto il falso nome di Wolfgang Gerhardt, viveva presso una coppia di coniugi austriaci, i signori Bossert, che forse non hanno mai saputo a chi avevano realmente affittato una stanza presso la loro abitazione. O forse no: il reticolo di appoggi e favoritismi di cui i criminali nazisti hanno potuto godere in America Latina andrebbe ancora ben approfondito e indagato, ma non è certo questa recensione il luogo adatto a farlo. Posso solo consigliare, in merito, il bellissimo “Operazione Odessa” di Uki Goñi, che peraltro, tra le altre cose, racconta di come Mengele e altri siano arrivati nel continente americano dopo la guerra.
Orbene, Keenan e Weizman, in appena ottantaquattro paginette, raccontano con semplicità e precisione l’importanza delle tecnologie visuali non solo nel riconoscimento dei resti mortali di Mengele, che consentì di chiudere il caso e risparmiare preziose risorse, che altrimenti sarebbero state profuse per dare la caccia a un morto, ma anche nell’identificazione di alcune vittime della dittatura argentina, i cosiddetti desaparecidos. Pochi sanno, infatti, che per imbastire un processo alla dittatura di Videla e ai suoi massimi esponenti, i giudici richiesero l’esibizione di vittime “concrete”, non di semplici corpi mancanti all’appello, ma di resti identificati e sicuri.
L’anatomo-patologo statunitense Clyde Snow, uno dei massimi esperti di sovrimpressione volto-teschio (la sua figura è alla base di un serial come “Bones”, per intenderci, nonché dei romanzi di Kathy Reichs), si recò dunque in Argentina e svolse un lavoro formidabile per identificare perlomeno alcune vittime, e offrire a giudici e pubblici ministeri i giusti appigli per condannare i responsabili. Dall’Argentina al Brasile il passo è breve, e Snow venne chiamato anche a Embu des Artes per l’esumazione del presunto Mengele. Attraverso una procedura innovativa, e con l’inedita collaborazione di scienziati di diverse nazionalità, in breve tempo gli scienziati poterono dare al mondo intero una risposta sicura: quelle ossa, e quel teschio, erano proprio quelli di “Beppo”, come veniva confidenzialmente chiamato Mengele ai tempi di Auschwitz.
Risposta, nel 1985, non banale: ancora non si parlava di prova del DNA, e in sede processuale un teschio non aveva la possibilità di “parlare” che avrebbe avuto in seguito. Clyde Snow va dunque ricordato come uno dei massimi artefici di una nuova estetica forense, basata sulla capacità di “interrogare le ossa”, di farle parlare in luogo della persona cui appartenevano, che non può più testimoniare sull’ingiustizia subita.
E così, il cranio di uno dei più tremendi medici nazisti (per quanto, probabilmente, la vulgata popolare ne abbia leggermente esagerato le colpe, comunque evidenti) servì da apripista per l’affermazione – e qui sta forse l’aspetto più interessante di questo piccolo libro – non solo di una nuova disciplina forense, ma anche di una nuova estetica, di un nuovo modo di guardare (e interrogare) i reperti fisici e i resti mortali. Insomma, i teschi delle vittime diventano gli accusatori che, alla sbarra, condannano i loro stessi assassini. Ma, in una sorta di bizzarro risarcimento, ad aprire questa nuova porta della giustizia, applicabile anche e soprattutto ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità, fu proprio il teschio del macellaio Mengele, nell’unica, vera scoperta scientifica cui abbia mai collaborato – pur da morto, e senza averlo voluto.
(Recensione scritta ascoltando i Rammstein, “Engel”)
PREGI:
brevissimo e asciutto, il libro è quasi un condensato di cultura scientifico-giuridica, impreziosito da qualche dettaglio storico (i desaparecidos, la caccia a Mengele) che non guasta. Ma soprattutto, una volta che lo si è letto, non si guarderanno più “Bones” e “CSI” con gli stessi occhi!
DIFETTI:
forse un po’ troppo osannato dalla critica (eccessiva la nomination come miglior libro dell’anno dall’Institute of Contemporary Arts di Londra), è un saggio non privo di passaggi concettuali un po’ ostici, ma comunque interessante e godibile
CITAZIONE:
Clyde Snow parla di ossa sempre in toni piuttosto enfatici; fa venire in mente il personaggio di Amleto, dato che raramente viene fotografato senza avere in mano un teschio. […] Snow è un ottimo scienziato, che certamente conosce la differenza tra soggetto e oggetto, ma non ha paura dell’atto della personificazione. Restano famose se sue parole: «Le ossa sono dei buoni testimoni. Benché parlino sottovoce, non mentono mai e non dimenticano mai.» (pag. 76)
GIUDIZIO SINTETICO: **½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…