LA FAMIGLIA MANZONI – Natalia Ginzburg

# 311 – Natalia Ginzburg – LA FAMIGLIA MANZONI (Einaudi, 1983, pagg. 347)

Attraverso la pubblicazione di una gran quantità di passi scelti dalle lettere dei (tanti) membri della famiglia di Alessandro Manzoni, l’Autrice punta a svelare le meccaniche interne dei due matrimoni (con Enrichetta Blondel e Teresa Borri) e delle famiglie “collaterali” dei figli e delle figlie del celeberrimo scrittore, Autore dei “Promessi Sposi”. Dalla madre Giulia Beccaria alla figlia Vittoria, dai figli “scapestrati” Enrico e Filippo al ben più affidabile e quadrato Pietro, che morì a poche settimane di distanza dal padre, e ancora, dai generi Massimo D’Azeglio e Bista Giorgini, da lui stimatissimi, al figliastro Stefano Stampa, quello di Manzoni è stato più un “clan” che una famiglia, e Natalia Ginzburg ci conduce, di lettera in lettera, di malattia in malattia in un viaggio che si dipana di pari passo attraverso il complesso reticolo dei rapporti familiari e la Storia della nascita del Regno d’Italia, di cui Manzoni fece in tempo a essere nominato Senatore. 

Corredato da un bell’apparato iconografico, fatto di disegni, ritratti e fotografie d’epoca, questo saggio di Natalia Ginzburg gode di una certa fama, meritata per quanto riguarda la mole di informazioni e dati che esso contiene e offre al lettore, meno meritata per lo stile della scrittura e l’apporto concettuale dell’Autrice, che è oggettivamente piuttosto scarso.

Come spesso le capita, infatti, Natalia Ginzburg tende a nascondersi, a “mandare avanti” – in questo caso – le voci dei protagonisti della storia che racconta, che poi non è veramente una storia, ma molte storie, molte vicende umane intrecciate una all’altra. Da quelle del grande scrittore e dei suoi due matrimoni a quelle delle sue due mogli, la ginevrina Enrichetta Blondel, che per sposarlo lasciò la fede calvinista per quella cattolica, rompendo dolorosamente, per anni, i rapporti con la famiglia, e la vedova del conte Decio Stampa, Teresa Borri, ipocondriaca e spesso incapace di farsi benvolere dalla nutrita progenie del Manzoni.

E ancora, al centro della trattazione ci sono le vite delle figlie Vittoria e Matilde, del figliastro Stefano Stampa, dei figli “difficili” Enrico (imprenditore fallito) e Filippo (bravo solo a indebitarsi), nonché di tutta una serie di personaggi collaterali, dall’amico francese Fauriel al canonico Luigi Tosi, guida spirituale della famiglia, che divenne vescovo di Pavia e rimase sempre in contatto coi Manzoni, dall’amico fraterno di Alessandro, Tommaso Grossi, al meno amichevole Cesare Cantù, che non mancò mai di esprimere delle riserve sulla vita e sull’opera del grande romanziere, senza dimenticare la madre Giulia, figlia di quel Cesare Beccaria che fu il principale rappresentante dell’Illuminismo in Italia.

Optando per una struttura molto nitida e chiara, la Ginzburg dedica un capitolo a ciascuno dei protagonisti, ma l’intrico di lettere sulle quali costruisce la trattazione sembra non avere soluzione di continuità, e deborda spesso e volentieri oltre i naturali confini tra capitoli, tanto che praticamente nessun capitolo riesce ad esaurire, seguendola dall’inizio alla fine, la vicenda umana del personaggio cui è dedicato. Il risultato è un racconto dal quale i personaggi entrano ed escono in continuazione, si avvicendano, si passano il testimone per poi riprenderlo, e compongono – alla fine – un mosaico decisamente interessante non solo sul clan Manzoni, ma anche sulla storia di anni appassionanti e tormentati, quelli che vanno dall’ascesa e caduta di Napoleone Bonaparte all’Unità d’Italia.

Il problema, quindi, non è la documentazione, che è abbondante, quanto piuttosto la mancanza di una chiara e incisa voce autoriale. La Ginzburg, bontà sua, tende a nascondersi dietro le lettere che pubblica (spesso dopo averle tradotte, perché la famiglia Manzoni non di rado usava scrivere in francese), non fa sentire quasi mai la sua voce di studiosa, ed è un peccato, perché indubbiamente si tratta di un’ottima ricercatrice, di una sincera appassionata di letteratura e di storia, che avrebbe potuto contribuire al saggio con una maggiore quantità di valutazioni e di considerazioni.

Così com’è, “La famiglia Manzoni” è una sorta di raccolta di epistole (ed epigrafi funerarie, visto quante il povero Manzoni ha dovuto scriverne durante la sua vita!) indubbiamente interessante ma non così esaustiva come si potrebbe pensare, perché manca, paradossalmente, proprio l’apporto della curatrice, che troppo spesso dà l’impressione di lasciare campo libero ai documenti senza neppure azzardare un tentativo d’interpretazione, rendendo così il libro adatto soprattutto (per non dire esclusivamente) a chi ha già una solida competenza in materia storico-letteraria. Peraltro, qui e là, quando l’Autrice decide eccezionalmente di scendere in campo e farsi sentire, si ha quasi l’impressione che le sue considerazioni vengano smentite dai documenti stessi che pubblica, come quando sostiene che Manzoni fosse un padre piuttosto freddo nei confronti delle figlie, salvo poi pubblicare una serie infinita di stralci di lettere tra lui e Vittoria, o Matilde, dalle quali traspaiono invece sincero affetto e trasporto.

Sempre un po’ enigmatica e irresoluta, sia quando scrive romanzi che quando si occupa di saggistica, Natalia Ginzburg è brava nell’organizzare il materiale e ci offre senza dubbio un libro godibile, al quale però manca un po’ di personalità, quel quid che l’avrebbe reso decisamente unico.                

(Recensione scritta ascoltando Franz Schubert, “Ave Maria”)

PREGI:
ottimi l’apporto documentale, sia scritto che visivo, e l’ampiezza di visione, visto che il libro copre un periodo che va da Cesare Beccaria ai primi anni del Novecento. Molto interessante il vastissimo corpus di lettere di cui l’Autrice ha potuto servirsi

DIFETTI:
carente nella sua parte più squisitamente autoriale, è un curioso esempio di “saggio epistolare” che lascia parlare (fin troppo) i suoi personaggi e rinuncia in partenza ad avere una tesi di base, che di solito è l’apporto maggiore dell’Autore

CITAZIONE:
“Manzoni, dai propri figli veri, non era mai rallegrato. […] Libero e leggero e allegro, con i propri figli veri, egli non lo era mai. […] Questa abituale assenza di naturalezza e semplicità, nei suoi rapporti con i veri figli, nasceva dal fatto che egli non aveva, in verità, mai avuto un padre. […] Renzo, nei ‘Promessi sposi’, non ha né padre né madre. Lucia non ha padre. La Monaca di Monza ha un padre terribile, che le rovina l’esistenza per sempre.” (pagg. 233-234)

GIUDIZIO SINTETICO: **½

Famiglia Manzoni
Alessandro Manzoni, anziano, con la famiglia di suo figlio Pietro

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
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QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO