# 262 – Emmanuel Carrère – V13 (Adelphi, 2023, pagg. 267)
Dal settembre del 2021 al luglio del 2022, per quasi un anno, Emmanuel Carrère ha seguito per conto del “Nouvel Observateur” le udienze del processo per gli attentati a Parigi del 13 novembre 2015, che vedeva tra gli imputati l’unico del kamikaze a non essersi fatto esplodere e a non essere stato ucciso, Salah Abdeslam, teppistello radicalizzato originario della malfamata Molenbeek, in Belgio, e una serie di fiancheggiatori e di personaggi di secondo piano, tutti coinvolti, chi più chi meno, nell’organizzazione della barbarie che causò la morte di centotrentuno persone tra alcuni locali dell’XI Arrondissement, il Bataclan e lo Stade de France, dove quella sera si teneva una partita amichevole tra Francia e Germania. Il più grave atto terroristico della storia francese ha richiesto un processo unico, sia per durata che per implicazioni giuridiche e morali, e Carrère ha scelto di raccontarlo da par suo, dapprima in reportages settimanali di 7800 battute e quindi, in un secondo tempo, in questo libro di assoluta importanza civile e morale.
Credo che tutti gli adulti europei dovrebbero leggere un libro come “V13”, anche chi non ama particolarmente la lettura (fermo restando che non riesco a capire come si possa non amare la lettura). Non perché sia un libro particolarmente bello (dello stesso Carrère, i capolavori sono altri), ma perché è un libro importante, un libro doveroso, un libro “collettivo”. In che senso, vi chiederete, lo definisci “collettivo”, visto che l’Autore è uno solo? Nel senso che se è vero che la penna è quella (sempre sapiente) di Emmanuel Carrère, le voci e i volti che animano “V13” sono quelli delle vittime degli attentati del 13 novembre, e dei loro familiari e amici (vittime anch’essi, senza dubbio, della follia omicida del volto peggiore dell’Islam), e di chi si è salvato dal massacro ma ha perso la serenità e la gioia di vivere, e di chi non può evitare di chiedersi ogni giorno, da quel giorno: perché? Come è stato possibile? Cosa è accaduto realmente, quali solo le sfumature di quella nottata da incubo, che avrebbe conosciuto di lì a neanche un anno la più terribile delle repliche con l’assurdo attentato di Nizza del 14 luglio 2016?
Carrère, però, non riporta solo il dolore insanabile di vittime e sopravvissuti, di genitori e fratelli, di amici e parenti. Se così fosse, il libro si limiterebbe ad essere una sorta di “cahier des doléances”, toccante ma sterile, vigoroso ma ricattatorio. Carrère è un giornalista troppo scrupoloso e uno scrittore troppo bravo per non sapere che un reportage che si rispetti deve rendere conto anche degli attentatori (o meglio, di quelli che si è potuto sottoporre a processo) e dell’immenso parterre di avvocati, tanto dell’accusa quanto della difesa, che hanno incrociato le spade per dieci mesi, tutte le settimane, tutti i giorni, in uno sfibrante lavoro da una parte per vedere resa giustizia (ma è poi possibile “rendere giustizia” a chi è stato ucciso in modo tanto barbaro e assurdo?) alle vittime degli attacchi e dall’altra per garantire – giusta ossessione occidentale – la miglior difesa possibile agli indifendibili terroristi. Che non sono dei mostri a tre teste con gli occhi rossi e la bava alla bocca, ma dei semplici ragazzotti di borgata (di banlieue, direbbe certamente un francese), difficili da immaginare con addosso le cinture esplosive e in mano un kalashnikov, eppure capaci – sotto la guida di alcuni esperti dell’ISIS – di realizzare una serie di assalti belluini e orribili, tra i quali la palma della vergogna spetta senza dubbio al terrificante massacro del Bataclan, questo teatro vecchiotto e datato, che fa tanto “vecchia Parigi” e che la sera del 13 novembre ospitava il concerto rock di una band denominata “Eagles of Death Metal”, ben nota agli appassionati ma, credo, del tutto sconosciuta alla stragrande maggioranza dei francesi e degli europei.
Carrère racconta, in capitoli brevi e sapientemente costruiti, tanto le impressioni dei sopravvissuti quanto il dolore dei parenti delle vittime, tanto le battaglie giuridiche degli avvocati quanto le dichiarazioni – a volte arroganti, altre volte inaspettatamente sincere e umane – degli imputati, il cui esponente più illustre è quel Salah Abdeslam che, in un mondo perfetto, non sarebbe stato altro che un ragazzotto di banlieue, magari irrequieto e cannaiolo, portato alle risse e alle marachelle, ma certo ben lontano dalla radicalizzazione religiosa e degli attentati terroristici.
È questo, forse, il tratto che sconvolge maggiormente in ciò che è accaduto a Parigi il 13 novembre 2015 ma anche, a ben vedere, nel gennaio dello stesso anno, con la strage alla redazione di “Charlie Hebdo”: il fatto che a commettere crimini così mostruosi siano stati dei ragazzi nati in Francia o in Belgio, Paesi che non esiteremmo a definire civili e ordinati, ragazzi che si sono trovati a sparare su altri ragazzi, nei locali e al Bataclan, e tra di loro un ragazzo in particolare, Abdeslam, che forse ha rinunciato a sparare e a farsi esplodere proprio perché all’ultimo momento si è reso conto di quello che stava facendo, di quanto fosse assurdo uccidere dei suoi coetanei completamente innocenti per “risarcire” in qualche maniera lo Stato Islamico (questo sì un mostro a più teste!) delle vittime fatte dalle bombe sganciate dalla Francia di Hollande in Siria.
E allora, come ha fatto un sagace avvocato della difesa, viene da chiedersi se la radicalizzazione di questi ragazzi sia davvero legata alla religione e non piuttosto alla guerra, altro mostro a mille teste che si ripresenta continuamente nella storia dell’Umanità – quella in Ucraina non è che l’ultima in termini di tempo – e che genera lutti e ricadute, orrori e dannazioni anche a distanza, abbattendosi sugli innocenti siriani come su quelli francesi, belgi, spagnoli, americani e di qualunque altro Paese abbia conosciuto la piaga del terrorismo di matrice religiosa o politica. Bello e importante, il libro di Carrère non è esente – per il carattere dell’Autore – da qualche tratto di eccessivo understatement, ma resta una lettura da fare, armandosi di coraggio, che certo sarà immensamente inferiore a quello di cui hanno avuto bisogno le vittime e i loro familiari per continuare a vivere dopo il 13 novembre 2015.

(Recensione scritta ascoltando gli Eagles of Death Metal, “Save a Prayer”)
PREGI:
letteratura civile nel vero senso della parola, cioè per come sa contrapporre riflessione e raziocinio alla belluinità dei terroristi e di chi li manda a compiere il loro infame lavoro, “V13” va letto anche come testimonianza, come racconto dall’interno di un fatto storico – il processo per i fatti del 13 novembre 2015 – che un giorno, come tutti i fatti storici, verrà rivisitato e rivalutato. Importante dunque saperne di più, e affidarsi a una penna equilibrata come quella di Carrère
DIFETTI:
da buon membro di quella che – e non lo nascondo, con un certo spregio – chiamo “gauche caviar”, Emmanuel Carrère è un uomo colto e assolutorio, capace di trovare buone ragioni nelle azioni di quasi tutti, e dunque fatalmente un po’ cerchiobottista, un po’ terzomondista, un po’ “papa laico” che non fa mancare una parola di benedizione a chiunque, un po’ banderuola (per sua stessa ammissione) e un po’ democristiano. Insomma, “V13” è un libro “inclusivo”, per usare un orribile aggettivo che ora come ora va assolutamente di moda, con tutti i pregi e i difetti di questa posizione. Chissà cosa avrebbe scritto Michel Houellebecq assistendo allo stesso processo…
CITAZIONE:
“Ci siamo chiesti fino alla nausea, io come gli altri, cosa abbia provato Salah Abdeslam. La sua cintura esplosiva ha fatto cilecca? O lui ha avuto paura? O ha avuto un rigurgito di umanità? Le sue scuse sono sincere? Ma che importanza ha la sua sincerità? Che interesse ha cosa provava Salah Abdeslam? Misero mistero: un vuoto abissale avvolto da menzogne, su cui, a posteriori, siamo un po’ sgomenti di esserci interrogati con tanta attenzione.” (pag. 229)
GIUDIZIO SINTETICO: ***
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…