# 277 – Jean Echenoz – ‘14 (Adelphi, 2014, pagg. 110)
Agosto 1914: il giovane Anthime, che abita in un piccolo paese della Francia rurale e vive serenamente senza particolari ambizioni (a parte conquistare l’amore della bella Blanche) e senza ombre, si ritrova improvvisamente a dover partire per il fronte di una guerra che, per fortuna, si prospetta velocissima e indolore. “In quindici giorni ce la sbrigheremo”, è il motto che si sente serpeggiare tra le giovani reclute, certe di una rapida soluzione della crisi e neanche particolarmente scontente di poter fare – come i loro padri e i loro nonni – l’esperienza formativa della guerra. Il conflitto, però, contro tutte le previsioni, finirà per durare quattro interminabili anni, e tutta la gagliardia della partenza si trasformerà in dolore e senso di perdita, delle amicizie come dell’innocenza. Partito con gli inseparabili amici Bossis, Arcenel e Padioleau, nonché con il supponente rivale in amore Charles, Anthime tornerà mutilato nel corpo e nell’anima, e ritroverà Blanche ma la vita, fatalmente, non sarà mai più la stessa…
Intitolando il suo libro, significativamente, con l’anno d’inizio (peraltro in forma abbreviata) della Grande Guerra, Jean Echenoz compie fin da subito una scelta importante, dal doppio significato: da una parte, infatti, egli fa capire immediatamente la sua intenzione di scarnificare la materia del racconto, riducendola all’essenziale che più essenziale non si può; dall’altra, mette al centro dell’attenzione l’anno che è stato un turning point senza precedenti nella storia dell’Umanità in generale e del XX secolo in particolare, il 1914, l’anno che ha chiuso la Belle Époque e il “mondo di ieri” per aprire il “secolo delle idee assassine”. Nulla sarà più lo stesso dopo il fatale agosto del ’14, il mondo intero cambierà volto, la società si trasformerà e verranno gettati i semi delle successive dittature nazionaliste e comuniste.
La scrittura di Echenoz, che sceglie il passato prossimo per avvicinare un po’ caratteri e personaggi al lettore, evitando di chiuderli nella rievocazione di un passato lontano (che poi così lontano non è), si presenta nitida e consapevole, molto ben calibrata e giustamente distaccata, quasi raggelata nell’osservare dapprima le illusioni dei ragazzi che partono per il fronte, e che si preoccupano per le misure delle divise, e quindi lo spaesamento dell’impossibile ritorno a una vita normale dopo la carneficina della guerra. Non cedendo mai al sentimentalismo e al patetismo, Echenoz si dimostra scrittore di carattere, capace di dare forma e stile a una materia comunque, nonostante la distanza di tempo dai fatti, ribollente e incandescente. Raccontare la guerra non è mai facile, anzi, in un certo senso è impossibile, a volte anche per chi la guerra l’ha fatta, figuriamoci per chi se la deve solo immaginare; eppure, il libro di Echenoz riesce nell’intento di far percepire al lettore tutto lo scarto, terribile, tra un prima fatto di amori e illusioni e un dopo fatto di mancanza e di dolore.
George Grosz, “Esplosione 1917” (Olio su tavola, 1917) Mario Sironi, “Sarabanda finale” (copertina de “Il Montello” n. 3, 15 ottobre 1918)
Non è tanto la pratica della guerra al centro di questo breve, pregnante romanzo, quanto piuttosto tutto ciò che alla guerra sta attorno: rapporti umani troncati, illusioni crollate, progetti devastati, sogni infranti. Echenoz fa sentire al lettore ciò che la guerra può sottrarre alle persone (non importa, ovviamente, se uomini o donne) col suo stesso porsi, col suo stesso accadere, e lo fa ostentando uno stile scarno e semplice, che predilige la descrizione delle azioni a quella delle psicologie (i personaggi, compreso il protagonista Anthime, non sono particolarmente approfonditi, per scelta, ma restano quasi delle funzioni del racconto, dei nomi e dei volti inespressivi che, come in uno spettacolo di teatro Nō, recitano come in trance) e che ha nel suo distacco e nella sua freddezza tanto il principale pregio quanto il maggior difetto.
Infatti, se è impossibile non ammettere che il libro colpisce a fondo per la sua durezza, è altresì innegabile che al lettore vien praticamente fatto divieto di empatizzare con chiunque, e questo si traduce in una lettura a tratti angosciosa, priva di reali punti di riferimento morali e affettivi, tanto che nello straordinario finale lo stesso Anthime e la stessa Blanche, lungi dall’essere la coppia innamorata che ogni lettore si augura, paiono piuttosto due automi privati di vita e di sentimento, due personaggi che agiscono più per meccanica costrizione che non per autonoma volontà. E, dietro di loro e dopo di loro, è impossibile non vedere noi stessi, i discendenti, la loro progenie cresciuta in un mondo cambiato, un mondo che avrebbe benissimo potuto essere diverso, se si fossero fatte altre scelte e se solo la realtà fosse andata in un altro modo, più logico, più comprensibile e più umano.
Ma non c’è nulla di logico e comprensibile nella guerra, sembra dire Echenoz con la sua calma glaciale, con la sua gelida e analitica penna, e il romanzo si chiude, volutamente, senza squilli e senza soddisfazione, per nessuno, su un semplice dato di fatto, così come si era aperto col dato di fatto – annunciato dalle campane che suonano a martello e accettato acriticamente dai ragazzi del paese – di una guerra che, fatalmente, inizia, decisa in alto loco e dalle motivazioni oscure, incomprensibili e tragiche.

(Recensione scritta ascoltando “La Marsigliese” cantata da Edith Piaf)
PREGI:
asciutto e raggelato, è un libro sulla guerra diverso da molti altri, che non cerca di stabilire alcuna vera empatia col lettore, consapevole che per raccontare un orrore come quello della Prima Guerra Mondiale non occorrano ricatti emotivi, e rappresenta senza dubbio una lettura interessante e originale
DIFETTI:
anche se giustificato dall’impianto concettuale del libro, il fatto che i personaggi siano così scarsamente descritti e che il lettore non si senta veramente legato a nessuno, neanche al protagonista Anthime, volutamente grigio e anonimo, alla lunga può rappresentare un problema. Resta straordinario, a mio modo di vedere, il gelido e desolato finale
CITAZIONE:
“Ma non è che uno può mollare la guerra come niente fosse. La situazione è semplice, sei in trappola: di fronte a te il nemico, insieme a te topi e pidocchi e, dietro di te, i gendarmi. Non c’è che una soluzione, diventare inabili, sicché, in mancanza di meglio, non resta che aspettare la ferita provvidenziale, quella che si finisce per desiderare […]. Questa benefica ferita c’è chi ha dunque tentato di infliggersela da sé senza farsi troppo notare, ad esempio sparandosi a una mano, ma in genere gli è andata male: è stato smascherato, processato e poi fucilato per tradimento. Essere fucilato dai commilitoni anziché asfissiato, carbonizzato, dilaniato dai gas, dai lanciafiamme o dalle granate dei nemici, poteva anche essere un’opzione. E c’è anche chi si è fucilato da sé, alluce sul grilletto e canna in bocca, un modo come un altro per andarsene, poteva essere una seconda opzione.” (pagg. 84-85)
GIUDIZIO SINTETICO: **½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…