LECTIO BREVIS / 124

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 124
IL TEMPO PASSA
Nostalgie, rimpianti, rimorsi, occasioni perdute 

Virginia Woolf – GITA AL FARO (1927)

Di cosa parla: Durante una vacanza estiva sull’isola di Skye, nelle Ebridi, la signora Ramsay promette a James, il più piccolo dei suoi otto figli, una gita al faro per l’indomani. Ma il padre del bambino, il signor Ramsay, osserva che ci sarà brutto tempo e che la gita, dunque, non si farà. E così, tra la delusione del bambino e il disappunto della donna, la giornata trascorre insieme agli amici che si sono uniti ai Ramsay: Charles Tansley, ammiratore degli scritti filosofici del signor Ramsay, William Bankes, un anziano botanico, Lily Briscoe, pittrice che nutre forti dubbi sulle proprie capacità artistiche, Augustus Carmichael e infine Paul Rayley e Minta Doyle, che, a quanto pensa la signora Ramsay, si fidanzeranno presto. Il passare del tempo cambierà tutto e quando la gita al faro finalmente si farà le cose non saranno più le stesse per nessuno…

Commento: Quiz letterario: qual è il romanzo in cui il rapporto tra fatti narrati (gli avvenimenti nel senso convenzionale del termine) e numero di pagine e è più basso? Suggerimento: fatevi aiutare da Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale del grande filologo tedesco Erich Auerbach (data di pubblicazione 1946). L’ultimo capitolo del saggio si intitola “Il calzerotto marrone” ed è dedicato all’indumento che la signora Ramsay, nel primo capitolo di Gita al faro, vorrebbe aggiustare per il figlio James (dopo la misurazione, risulterà troppo corto). Non è che un’attività banale, ma Virginia Woolf ne fa una sorta di manifesto del romanzo modernista. Il monologo interiore a più voci adottato dall’autrice dilata la narrazione, dimostrando che il tempo che interessa non è quello della storia, ma quello interiore, della percezione e della coscienza. Riprova ne è che alcuni dei fatti più rilevanti per l’evoluzione della vicenda del romanzo non vengono raccontati ma sono dati per già avvenuti nel secondo dei tre capitoli del libro, intitolato – non a caso – “Il tempo passa”. Al di là della raffinatezza della scrittura, quel che conta in Gita al faro (o solo Al faro, più vicino al titolo originale, To the Lighthouse) è soprattutto il ritratto di una famiglia (ma il discorso si allarga almeno anche al personaggio di Lily Briscoe, sul quale si chiude il romanzo) all’interno della quale, dietro l’apparente rispettabilità, si nascondono emozioni e sensibilità assai più frammentate e sfaccettate. Per tornare al nostro quiz, e volendo rovesciare la domanda: i fatti di un romanzo sono solo gli avvenimenti nel senso convenzionale del termine o gli eventi interiori sono in qualche modo parte integrante di ciò che accade al di fuori? Per la cronaca, gli altri libri menzionati da Auerbach nel capitolo che conclude il suo saggio critico sono Alla ricerca del tempo perduto di Proust e Ulisse di Joyce. Romanzi di ben altra mole rispetto a quello di Virginia Woolf (e comunque precedenti rispetto a Gita al faro), anch’essi – ci sentiamo di dire – di una certa importanza nella letteratura occidentale.   

GIUDIZIO: ***½

Colin Dexter – IL GIORNO DEL RIMORSO (1999)

Di cosa parla: Quando il sovrintendente Strange, sulla scorta di un paio di telefonate anonime ricevute, decide di riaprire il caso dell’omicidio di un’infermiera, trovata cadavere circa un anno prima sul letto di casa sua, nuda, imbavagliata e con le manette ai polsi, non ha dubbi ad affidare le indagini all’ispettore capo Morse e al suo braccio destro Lewis. Ma Morse, ormai sulla soglia della pensione e alle prese con alcuni guai di salute, non pare affatto propenso ad accettare l’incarico, almeno ufficialmente, dato che in realtà si mette all’opera per conto suo. Nel frattempo, infatti, sono stati commessi altri delitti che sembrano collegati a quello dell’infermiera, anche se la relazione tra i crimini non è del tutto chiara…

Commento: È l’ultimo dei tredici romanzi della serie dell’ispettore Morse, grazie alla quale, nell’ultimo quarto del secolo scorso, Colin Dexter ha aggiornato il giallo classico all’inglese, di cui è stata maestra indiscussa Agatha Christie, mantenendone le atmosfere, le ambientazioni tipiche (la storia ruota attorno al villaggio di Lower Swinstead, con i segreti e le passioni che i suoi abitanti coltivano) e la logica rigorosamente deduttiva che porta gli investigatori ad analizzare indizi, alibi, moventi e opportunità dei sospettati. Ma in comune con la Regina del delitto questo romanzo ha anche un’altra caratteristica: come in Sipario – pubblicato un anno prima della sua scomparsa nel 1975 (l’anno a cui risale il primo romanzo con l’ispettore Morse) ma scritto decenni prima – Christie optò per la morte di Hercule Poirot, il più celebre (ma da lei non particolarmente amato) dei suoi investigatori, anche qui Dexter decide di fare uscire definitivamente di scena Morse, segnando al contempo il proprio ritiro dall’attività letteraria con largo anticipo sulla sua morte, avvenuta nel 2017. Certo, la scrittura di Dexter è, per molti versi, lontanissima da quella di Agatha Christie: levigata, colta, infarcita di citazioni dotte (a inizio di ogni capitolo) e rimandi letterari e filosofici (lo scrittore vantava una laurea in Lettere classiche a Cambridge), la sua opera è distante dalla secchezza tipica di buona parte dei polizieschi dell’età dell’oro. Il che può rappresentare un punto di forza sul piano stilistico (i romanzi di Dexter, ben più lunghi rispetto a quelli classici, sono sempre una lettura piacevolissima), ma è bene anche osservare che, per quanto riguarda l’inventiva applicata alle trame e ai colpi di scena nella scoperta del colpevole, cinquecento pagine non aiutano la causa. 

GIUDIZIO: ***

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Il passare del tempo è un tema letterario dei più ricorrenti, motivo di ispirazione soprattutto per i poeti i quali ne hanno tratto meditazioni sulla fugacità della vita che ora approdano a inviti a godere di ogni attimo dell’esistenza (come nell’ode del Carpe diem oraziano), ora indulgono alla nostalgia e alla malinconia. Questo secondo caso diventa un vero e proprio luogo comune nella poesia rinascimentale che i manuali di letteratura definiscono “petrarchista”, in quanto ispirata al modello del Canzoniere di Petrarca. Uno dei più spudorati esempi di imitazione (oggi forse ci sarebbero gli estremi per il plagio, all’epoca i diritti d’autore non esistevano e l’originalità era anzi un limite) è offerto da un sonetto di Francesco Maria Molza, modenese di nascita ma vissuto a Roma all’ombra di illustri cardinali, autore di opere in italiano e in latino, in prosa e in versi:

“Il tempo passa, e più che vento o strale
fugge veloce e non s’arresta un’ora,
e ’n medesmo giorno miete e ’nfiora
questo prato mondan vario e mortale.

Schermo alcun, Donna, contra lui non vale
di fresche guance; e quel che più m’accora,
ei pur di voi fa preda e vi scolora,
e i lieti giorni vostri apron già l’ale.

Sopra le spalle vi vedrete giunta
la stagion tosto in cui per forza suole
Amor con castità muovere il piede.

Allor con mente di dolor compunta
direte: Spento il verde e le viole
hai, mondo; e come poco ne tien fede!”

La poesia è chiaramente modellata su un sonetto di Francesco Petrarca (La vita fugge, et non s’arresta una hora), ma il tema è talmente comune che non si contano i testi di epoca umanistico-rinascimentale in cui compare, pur con sfumature diverse (come non pensare, ad esempio, alla Canzone di Bacco di Lorenzo de’ Medici, con il suo famoso ritornello – in termini tecnici si chiama “ripresa” – “Quant’è bella giovinezza, | che si fugge tuttavia! | Chi vuol esser lieto, sia: | di doman non c’è certezza.”?).

Ma il motivo del passare del tempo non esaurisce la sua forza espressiva col trascorrere dei secoli. E così anche nella poesia del Novecento se ne trovano numerose testimonianze; una delle più interessanti, per la limpidezza dell’espressione, si trova in un autore, Diego Valeri, che proprio della chiarezza e della classicità ha fatto la sua poetica, a dimostrazione che anche nel secolo delle avanguardie e della sperimentazione c’è posto per una voce di semplice linearità:

“I giorni, i mesi, gli anni
dove mai sono andati?
Questo piccolo vento
che trema alla mia porta,
uno a uno, in silenzio,
se li è portati via.
Questo piccolo vento
foglia a foglia mi spoglia
dell’ultimo mio verde
già spento. E così sia.”  

Testi citati
Francesco Maria Molza – “Il tempo passa, e più che vento o strale” (XVI secolo)  
Diego Valeri – I GIORNI, I MESI, GLI ANNI, in “Calle del vento” (1975)