# 320 – Ian McEwan – AMSTERDAM (Einaudi, 1998, pagg. 170)
Incontratisi al funerale di una loro vecchia amante, Molly Lane, spirito libero piegato solo da una breve quanto feroce malattia, il musicista di fama internazionale Clive Linley e il giornalista Vernon Halliday rinsaldano la propria amicizia unendo le forze contro l’odioso marito di Molly, George Lane, che peraltro possiede una piccola quota azionaria del giornale diretto da Vernon, e soprattutto contro Julian Garmony, Ministro degli Esteri del Regno Unito, a sua volta amante della scatenata Molly, conservatore e bacchettone, interessato alla carica di Primo Ministro ma osteggiato da buona parte degli intellettuali, Clive e Vernon in testa. E così, quando a Vernon verrà servito su un piatto d’argento lo scoop del secolo che rovina proprio la figura di Garmony, non si farà scappare l’occasione, nonostante Clive – concentrato sulla composizione della Sinfonia del Millennio che gli è stata commissionata – predichi prudenza; ma anche Clive ha qualcosa da rimproverarsi, perché durante una gita in montagna non ha fatto nulla per aiutare una donna indifesa, non volendo perdere la sua preziosa concentrazione da compositore di successo. Messi uno contro l’altro dal reciproco risentimento e dal sotterraneo e mai sopito rancore per essere stati entrambi amori della bellissima Molly, Clive e Vernon si incontreranno ad Amsterdam, apparentemente per fare pace, ma in realtà con intenti bellicosi. E il finale volgerà inaspettatamente in tragedia…
È decisamente degno di un film dei fratelli Coen questo piccolo romanzo di McEwan datato 1998, anzi, andrebbe inviato ai celebri registi con preghiera di farci un pensierino, perché la disamina che l’Autore svolge sul tema della meschinità etica e morale è la cosa più bella di un libro che, per il resto, pur scritto molto bene come al solito, non ha forse il respiro e la profondità delle opere migliori di McEwan. Si potrebbe considerarlo dunque una “opera minore” del grande scrittore inglese? Sì, ma solo aggiungendo una precisazione: averne, di simili “opere minori”!
Perché, dopotutto, “Amsterdam” è un romanzo bello e perfettamente calibrato, che deraglia un po’ soltanto nel finale, allo stesso tempo tragico e farsesco, tutto sommato meno riuscito rispetto alle parti precedenti, che descrivono le fatali défaillances di Clive e Vernon di fronte a fondamentali scelte etiche: pubblicare o no delle fotografie private che potrebbero rovinare completamente la carriera e la vita di un uomo, per quanto quell’uomo possa essere un avversario politico e ideologico? Interrompere il lavoro creativo per compiere un’azione altruista in favore di una donna in difficoltà?
Entrambi, sia Vernon che Clive, scelgono per il peggio, si macchiano di colpe non punibili penalmente, ma destinate ad essere scontate nella vita, destinate a scavare un solco tra di loro, dimostrando quanto – fondamentalmente – entrambi siano stati indegni dell’amore di Molly Lane, figura fantasmatica che resta perennemente sullo sfondo (è già morta quando il libro inizia, e viene soltanto rievocata nel ricordo dai vari personaggi che l’hanno conosciuta) ma che rappresenta una sorta di cartina tornasole della moralità e della rettitudine, lei che ha avuto una vita scatenata ma mai scriteriata, lei che ha sempre rispettato la privacy dei suoi amanti, lei che ha difeso fino all’ultimo il diritto di ciascuno di vivere a modo suo. Puro rimasuglio dei libertari anni ’60, Molly è il “vuoto” centrale attorno a cui ruota la materia di questo curioso romanzo che s’impernia sulle scelte sbagliate di due uomini di successo e sulla loro ingloriosa fine, celebrata da uomini altrettanto indegni (Julian Garmony e George Lane non sono certo individui specchiati!) in un mondo che sembra aver perso qualunque bussola morale e comportamentale.
Se contano solo le copie vendute e le celebrazioni della critica, in una parola, se il metro di giudizio di ogni cosa è il successo, sembra dire McEwan, allora non possiamo stupirci che gli anni ’90 del secolo scorso abbiano partorito uomini come Clive e Vernon, che non avrebbero sfigurato nella “Famiglia Winshaw” di Jonathan Coe, altro incredibile catalogo di orrori etici e altro libro che, curiosamente, cade proprio nel finale. Se la caduta di Coe è fragorosa, quella di McEwan è molto più morbida, però una piccola caduta c’è, va ammesso, e la chiusa di questo romanzo cattivello e desolante è fin troppo ghignante e simbolica, fin troppo black comedy per essere realmente credibile. Ma forse, dopotutto, hanno ragione i Coen: non esiste più un genere in grado di raccontare lo squallore (soprattutto morale) del mondo, e bene ha fatto – a questo punto – Ian McEwan a calare i suoi personaggi in una farsa dal finale tragico. Sipario.
(Recensione scritta ascoltando Antonín Dvořák, Sinfonia n. 9 in Mi minore, “Dal nuovo mondo”)
PREGI:
per essere un’opera minore, il romanzo regge benissimo e si legge che è un piacere, pregi non da poco. Molto bella la descrizione impietosa di come l’amicizia tra i protagonisti trascolori in rancore e in vero e proprio odio: non basta a rendere pienamente credibile e giustificabile il finale, ma la parabola dei personaggi è perfettamente disegnata
DIFETTI:
a parte la chiusa che suscita qualche dubbio, il libro ha un tono di fondo oggettivamente desolante, e vuole essere una panoramica sul nulla etico e morale che non risparmia nessuno, a prescindere dal colore politico e dagli ideali, tranne forse la grande assente: Molly Lane.
CITAZIONE:
“Eccola qui la mia generazione. Che energia, che fortuna. Nutriti negli anni di assestamento post bellico a suon di latte e di zuppa passati dallo stato, poi mantenuti dalla timida, innocente prosperità dei genitori, avevano raggiunto la maggiore età con un lavoro in tasca, nuove prospettive universitarie, buoni libri in edizione economica; l’età dell’oro del rock and roll, degli ideali alla portata di tutti. Quando la scala incominciò a cedere, quando lo Stato smise di fare la balia e diventò severo come un’istitutrice, loro si erano già messi al riparo, si erano irrobustiti, per dedicarsi a varie imprese: orientare gusti, opinioni, fortune.” (pag. 15)
GIUDIZIO SINTETICO: **½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…