Benvenuti nel flessibile Inferno della Gig Economy

SORRY WE MISSED YOU di Ken Loach (GB, Belgio, Francia 2019 – 101′)

locandina Sorry We Missed YouRicky Taylor è un buon padre di famiglia, di modesta estrazione e di ancor più modesta cultura, ma è un gran lavoratore e sogna di poter comprare casa; sua moglie Abby fa l’infermiera a domicilio, mentre i due figli – Sebastian e Liza Jane – sono agli antipodi: lui è un writer che marina la scuola e vive di inquietudini adolescenziali e smania di contestazione (soprattutto nei confronti del padre); lei è una ragazzina intelligente e sensibile, segnata dalle tensioni familiari. La soluzione, per Ricky, sembra il lavoro “in proprio” che gli offre una società di spedizioni: comprarsi un furgone e gestire il proprio tempo, purché con le consegne si spacchi il minuto e non ci si assenti mai, neppure per andare al gabinetto…
Eterno Loach! Nessun altro regista come lui riesce, ancor oggi, in tempo di flessibilità, Gig Economy e altre baggianate, a far riflettere sui giusti limiti di un modo di intendere il lavoro e la retribuzione che ormai sembra averci preso la mano.

Sì, perché ammettiamolo: ormai molte cose le diamo per scontate! Ordiniamo un paio di scarpe e ci servono per il giorno dopo, ergo le pretendiamo alle 9 del mattino sul nostro uscio di casa; ordiniamo la cena a Deliveroo o simili e la vogliamo a casa nostra, fumante sulla tavola, alle otto in punto; paghiamo il servizio urgenza, e il corriere deve suonare il nostro campanello all’ora pattuita, non un minuto prima e non uno dopo. Amazon ci ha abituati ad avere tutto quello che vogliamo quando lo vogliamo, senza fare fatica e con prezzi competitivi. Ma – si chiede Loach – qual è il lavoro che sta dietro a queste comodità? E, soprattutto, è possibile vivere dignitosamente con un’occupazione in questo enorme, mostruoso “indotto” reso possibile dall’e-commerce?

Il film – scritto da Paul Laverty – non nega le ampie opportunità lavorative create dalla Gig Economy, e Loach è troppo intelligente per non accorgersi che le antiche battaglie sindacali non sono più nemmeno pensabili in un mondo che viaggia a questa velocità, e che richiede nuove figure lavorative. Però, allo stesso tempo, con l’osservazione impietosa del “tritacarne” in cui finisce Ricky Taylor, governato dall’inflessibile capetto Maloney, cui interessano solo la crescita del fatturato e la puntualità delle consegne, Loach svela tutte le magagne di un mondo classista più che mai, in cui chi può ordinare (ovvero spendere) governa – anche inconsapevolmente – la vita di una miriade di poveracci che debbono arrabattarsi perché il nostro nuovo iPhone arrivi nelle nostre mani al momento giusto, e chissenefrega se il furgone il povero Ricky ha dovuto comprarselo, se ogni giorno di assenza dal lavoro lo paga con una multa e con la necessità di trovare un sostituto a sue spese, se l’infernale macchinetta con la quale si scannerizzano i pacchi alla consegna è totalmente sotto al sua responsabilità, e se si guastasse o venisse smarrita gli verrebbe addebitata in toto… Non c’è più neanche l’ombra di una garanzia, in questo mondo sclerotico in cui conta solo la puntualità dei pacchi e si è costretti a lavorare sotto la sferza di un marcatempo insensibile e ottuso.

Certo, non tutto funziona, nel film di Loach, perché insomma… Loach è sempre Loach! Non sarebbe lui se non ci infilasse qualche esagerazione, se non ci mettesse – insomma – il carico. Questo però non toglie che il ragionamento non solo stia in piedi, ma sia anche perfetto nel suo svolgimento drammaturgico: con un lavoro così, nel quale si è totalmente esposti in prima persona, che succede quando le cose in famiglia non vanno benissimo? Che succede quando accade un imprevisto? Semplice: l’individuo, l’onesto lavoratore, è semplicemente abbandonato a sé stesso, non ha tutele, non ha aiuti, non ha appoggi. Perde in un attimo quello che ha impiegato mesi – se non anni – a conquistare. E questo – sembra chiederci Loach – sarebbe il mondo dorato della flessibilità e della Gig Economy? Di questo dovremmo gioire? Di che cosa dovremmo essere grati? Del fatto che qualcuno ci consenta di sbarcare il lunario con 14 ore di consegne al giorno? I guadagni – questo Loach non lo nasconde – possono anche essere alti, certo; ma qual è il prezzo? Qual è il contraccambio?  

Come “Paul, Mick e gli altri” rifletteva – senza fare sconti – sulla privatizzazione delle ferrovie britanniche (con tutte le conseguenze del caso per i lavoratori), così “Sorry We Missed You” riflette e fa riflettere sulle abnormità di un modo di intendere la vita e il lavoro che ci sta sfuggendo decisamente di mano, e che ha già creato mostri (vedi il personaggio di Maloney, insensibile a qualunque istanza che non siano il guadagno e il fatturato).
Belle le prove degli attori (tutti, con una menzione particolare per il protagonista Kris Hitchen) e molto controllata e lineare la sceneggiatura, con qualche “colpo basso” qui e là e, soprattutto, con un finale “sospeso” – più che aperto – che potrebbe deludere qualche spettatore, ma che – personalmente – ho trovato più interessante del finale un po’ ricattatorio del pur pluripremiato “I, Daniel Blake”.  
Insomma, non un capolavoro, ma sicuramente un film da vedere.

GIUDIZIO SINTETICO: **½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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0
1/2
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*1/2
NON GIUDICABILE con i sistemi “classici” di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO