IL PESO DEI SEGRETI – Aki Shimazaki

# 183 – Aki Shimazaki – IL PESO DEI SEGRETI (Feltrinelli, 2021, ediz. orig. 1999-2004, pagg. 394)

Saga composta da cinque romanzi brevi, raccolti in un unico volume, incentrati sugli intrecci tra le vite di alcuni personaggi accomunati, in qualche modo, dall’esplosione della bomba atomica su Nagasaki, il 9 agosto 1945. In “Tsubaki” (“Camelia”) Namiko scopre che sua madre Yukiko, appena deceduta, non solo aveva un fratellastro, Yukio, ma celava anche un terribile segreto, raccontato in una lunga lettera; in “Hamaguri” (“Vongole giapponesi”), Yukio racconta la sua storia di “figlio naturale” di una ragazza di origine coreana, sedotta e messa incinta da un uomo che poi non l’ha sposata, e soprattutto racconta il suo rapporto con la sorellastra Yukiko, quando ancora non sapeva del loro legame di parentela; in “Tsubame” (“Rondine”), la madre di Yukio deve fare i conti con la sua ascendenza coreana in un Paese, il Giappone, che in passato ha trattato gli immigrati coreani in modo infame, fino al tremendo massacro che si consumò il 1° settembre 1923; in “Wasurenagusa” (“Nontiscordardimé”), il dottor Takahashi, rampollo di buona famiglia, decide, dando scandalo e rompendo coi genitori, di sposare la madre di Yukio, conosciuta in una chiesa cattolica, e riconoscere così il bambino come figlio suo, prima di partire per la guerra in Manciuria e finire prigioniero in Siberia; infine, in “Hotaru” (“Lucciola”), l’ormai anziana madre di Yukio ricorda il passato, fatto di segreti e sensi di colpa, e si rappacifica con esso grazie all’amore dei nipoti.

Scopertamente “allieva” di Agota Kristof tanto per le tematiche quanto, soprattutto, per lo stile scarno e concreto (ma non privo di poesia e di tocchi lirici), la giapponese naturalizzata canadese Aki Shimazaki regala, con questa pentalogia raccolta sotto il titolo “Il peso dei segreti”, un’opera bella e delicata, che si legge con grande piacere e con curiosità, nonostante la consueta difficoltà, per il lettore occidentale, di familiarizzare con nomi e vocaboli giapponesi. Si potrebbe forse, a buon titolo, considerare questo libro una raccolta di racconti, se non fosse che i cinque brevi romanzi che lo compongono non hanno soltanto gli stessi protagonisti, ma sono anche talmente intrecciati tra di loro da risultare, decisamente, un’opera unica e compatta, lucida e a tratti un po’ furba, per come aggira certi ostacoli di trama e fa risaltare solo ciò che interessa maggiormente all’Autrice: quanto il “non detto” possa incidere sui rapporti tra le persone, sia positivamente che negativamente.

La scoperta della terribile azione compiuta da Yukiko quand’era solo una ragazza, infatti, getta una luce completamente nuova sul personaggio, non solo agli occhi della figlia Namiko, ma anche e soprattutto agli occhi dei lettori, in un gioco di rivelazioni e contro-rivelazioni che l’Autrice domina alla perfezione, incastonandovi peraltro, con naturalezza, alcune tremende pagine di storia del Giappone – dalla bomba atomica al Kantō-daishinsai, il terremoto che fece centinaia di migliaia di vittime nel 1923 – per restituire, al termine della lettura, non tanto un affresco perfetto nei dettagli e nelle sfumature, quanto piuttosto uno schizzo a carboncino, fascinoso e imperfetto, preparatorio più che definitivo, come un grande “cartone” che l’artista non sia poi riuscito a trasformare in affresco.

Non tutto torna, a livello di trama e di arco narrativo, in questi cinque “episodi” che formano un romanzo polifonico (in quanto raccontato da diversi punti di vista) e frammentario, nel quale le voci dei personaggi si fondono e si parlano sopra, si spiegano e si contraddicono, dialogano a distanza di decenni e, quasi senza volerlo (o senza dare l’impressione di volerlo), gettano una sorta di ponte generazionale che raccorda il terremoto del 1923 alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il massacro dei coreani seguito al terremoto alla tragedia della Guerra Mondiale, combattuta dal Giappone in chiave imperialista – soprattutto ai danni di Cina e Russia – e finita in un bagno di sangue.

Ma, al di là della trama, un po’ arzigogolata e non sempre facilissima da seguire, resta uno stile cristallino nella sua semplicità, capace di parlare di amore e di guerra, di odio e di speranza, di incesto e di violenza con una leggerezza di tocco veramente ammirevole, che scelgo di premiare con una mezza stella in più di quelle che, effettivamente, il libro meriterebbe. Epigona di Agota Kristof, indubbia maestra nella scarnificazione dello stile soprattutto con quel capolavoro assoluto che è la “Trilogia della città di K.”, Aki Shimazaki ha il pregio di non montarsi troppo la testa e di restare ben dentro le storie che racconta, amando e carezzando i suoi personaggi come in fondo finiamo per fare noi lettori, costretti dalla dolcezza e dalla precisione dello stile a non giudicare – né nel bene né nel male – le azioni che si dipanano, capitolo dopo capitolo, davanti ai nostri occhi a volte attoniti, altre volte increduli, e infine – a tratti – commossi.     

(Recensione scritta ascoltando i Pinguini Tattici Nucleari, “Pastello Bianco”)

PREGI:
scritto con indubbia partecipazione ma anche con un controllo quasi ossessivo della lingua, è un libro vibrante nei temi (a partire dalla rievocazione della bomba atomica!) e sorvegliatissimo nella forma, che suggerisce più che svelare, e che soprattutto non rinuncia mai a raccontare e non cede alla tentazione della concettualizzazione

DIFETTI:
ovviamente poco adatto a chi ama forme linguistiche più infiorettate e complesse, è un libro furbo che regge meglio nella prima metà piuttosto che nella seconda perché – e questo vale anche per la maestra conclamata Agota Kristof – questo stile semplice e scarno, una volta “digerito” dal lettore, rischia un po’ la prevedibilità 

CITAZIONE:
“Raggiunsi la valle la sera presto. E vidi solo carneficina. Era tutto pieno di gente che gemeva e gridava: – Acqua! Dappertutto i bambini urlavano: – Mamma! Mamma! Incontravo volti deformati, corpi arsi o già morti per terra. Sul fiume, mi passavano davanti dei cadaveri galleggiando. La valle della morte. Era invasa da odori terrificanti. Vomitavo di continuo. Per strada, c’era un uomo sotto un tetto sfondato. Quando provarono a soccorrerlo tirandolo per la mano, gli si staccò il braccio” (pag. 62)

GIUDIZIO SINTETICO: ***

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO